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Anche le misure di lunghezza si contraggono; l’osservatore vede l’astronave accorciata, nella direzione del moto, dal fattore tau.

Ora le misurazioni fatte a bordo di un’astronave sono altrettanto valide, in tutto, di quelle fatte altrove. A un cosmonauta, che guardi l’universo davanti a sé, le stelle appaiono compresse e la loro massa risulta aumentata; le distanze tra loro si sono ridotte; esse scintillano e si muovono a un ritmo stranamente ridotto.

Eppure la situazione è ancora più complicata di così. Bisogna tenere bene a mente che l’astronave, in effetti, è stata accelerata e sarà decelerata in relazione a tutto il cosmo che le fa da sfondo. Ciò fa rientrare l’intero problema nell’ambito della teoria generale della relatività. La situazione stelle-astronave non è realmente simmetrica. Il paradosso dei gemelli non si verifica. Quando le velocità si uguagliano ancora una volta e avviene la riunione, per la stella sarà trascorso un tempo più lungo di quello trascorso per l’astronave.

Se il fattore tau si riduce a un centesimo e l’astronave procede in caduta libera, un secolo-luce verrà percorso in un solo anno di vita degli astronauti (sebbene, naturalmente, non si potrà più riguadagnare il secolo che è trascorso sulla Terra, durante il quale gli amici degli astronauti saranno invecchiati e morti). Ciò comporterà inevitabilmente un aumento della massa di cento volte. Un motore Bussard, sfruttando l’idrogeno dello spazio, poteva produrre un simile effetto, ma sarebbe stato folle fermare il motore e proseguire con moto inerziale quando si poteva ottenere la stessa cosa facendo decrescere il fattore tau.

Perciò, raggiungere altri soli è una parte ragionevole della speranza di vita: tanto vale accelerare continuamente, fino al punto intermedio interstellare, dopodiché si attiverà il deceleratore. C’è il limite imposto dalla velocità della luce, che non si può quasi mai raggiungere. Ma non c’è limite all’approssimarsi quanto più è possibile a tale velocità. Così non si hanno limiti per quanto riguarda l’inverso del fattore tau.

Nonostante l’anno trascorso a gravità uno, le differenze tra la Leonora Christine e le stelle che si muovevano lentamente si erano accumulate impercettibilmente. Adesso la curva si accingeva ad affrontare la parte più ripida della sua discesa. Ora, sempre più la distanza che divideva gli astronauti dal loro obiettivo sembrava loro come contratta, non soltanto perché viaggiavano, ma perché, per loro, la geometria dello spazio stava cambiando. Sempre più gli astronauti si rendevano conto di quanto i processi naturali nell’universo esterno si stessero sviluppando con maggior velocità.

Non era ancora niente di spettacolare. Anzi, il valore minimo di tau nel piano di volo dell’astronave era, al punto intermedio, intorno a 0,015. Ma arrivò un momento in cui un minuto a bordo dell’astronave corrispondeva a sessantun secondi nel resto della galassia. Un po’ più tardi, corrispondeva a sessantadue. Poi a sessantatré… sessantaquattro… il tempo dell’astronave tra tali conteggi cresceva gradualmente ma sistematicamente… sessantacinque… sessantasei… sessantasette.

Il primo Natale — Chanukah, ricorrenza del Nuovo Anno, festa del solstizio — che l’equipaggio aveva trascorso insieme era arrivato proprio all’inizio del loro viaggio ed era stato celebrato con febbrili manifestazioni quasi carnascialesche. Il secondo fu più calmo. La gente si era abituata al proprio lavoro e si era fatta degli amici. Comunque, in tutti i ponti erano stati disposti scintillanti ornamenti improvvisati. Le stanze dedicate ai vari passatempi risuonavano di voci, aghi e forbici erano in movimento. La cambusa mandava fragranti profumi di spezie, mentre ognuno cercava di preparare qualche piccolo regalo per tutti gli altri compagni. La sezione idroponica trovò che poteva fare a meno di un po’ di rami verdi e rampicanti da utilizzare per l’allestimento di un albero natalizio nella palestra. Dalla ben fornita biblioteca dove tutto era registrato su micronastri vennero pellicole, a base di distese innevate e slitte, e inni natalizi. Il settore teatrale organizzò un corteo storico. Il capocuoco Carducci preparò i menu per i banchetti. Nelle stanze in comune e nelle cabine private fu un allegro intrecciarsi di feste. Per un tacito accordo, nessuno menzionò il fatto che, ogni secondo che passava, la Terra si allontanava di quasi trecentomila chilometri. Reymont attraversò il piano destinato ai divertimenti, dove ferveva un’allegra animazione. Alcuni gruppetti stavano attaccando decorazioni appena fatte. A bordo non si poteva sciupare nulla, ma le catene di carta d’alluminio, i globi di vetro soffiato, le ghirlande infiocchettate di nastri di stoffa erano cose recuperabili. Altri giocavano, chiacchieravano, offrivano da bere, amoreggiavano, facevano chiasso. Tra i discorsi e le risate e la confusione, tra il ronzio e il crepitio e il fruscio, da un altoparlante usciva una musica: 

Adeste, fideles, Laeti, triumphantes Venite, venite, in Bethlehem.

 Iwamoto Tetsuo, Hussein Sadek, Yeshu Ben-Zvi, Mohandas Chidambaram, Phara Takh o Kato M’Botu sembravano a loro agio in quel clima quanto Olga Sobieski o Johann Freiwald.

Il macchinista gridò a Reymont, con voce rombante: — Guten Tag, mein lieber Schutzmann! Vieni a dividere con me questa bottiglia! — E l’agitò in aria. La mano che gli restava libera era stretta attorno alla vita di Margarita Jimenes. Sospesa sopra le loro teste c’era una striscia di carta sulla quale era stato scritto: «Vischio».

Reymont si fermò. Se la intendeva con Freiwald. — Grazie, no — disse. — Hai visto Boris Fedoroff? Pensavo che venisse qui dopo aver terminato il suo turno di lavoro.

— N-no. Anch’io pensavo che venisse, data l’allegria di stasera. È diventato molto più gaio negli ultimi tempi, per una ragione o per l’altra, non ti pare? Perché vuoi vederlo?

— Questioni di lavoro.

— Lavoro, sempre lavoro — esclamò Freiwald. — Scommetto che tu personalmente ti diverti soltanto quando puoi tormentarti con qualcosa. Quanto a me, mi sono trovato un divertimento migliore. — Strinse Jimenes contro di sé. La donna si rannicchiò contro il suo corpo. — Hai provato a chiamarlo nella sua cabina?

— Naturalmente, ma non ha risposto. Eppure, forse… — Reymont si girò. — Proverò a vedere lì. Più tardi verrò a bere qualcosa con te — aggiunse, mentre già si stava avviando.

Imboccò le scale e scese oltre il piano dove si trovavano le cabine dell’equipaggio fino al ponte degli ufficiali. La musica lo seguiva. — … Iesu, tibi sit gloria. - Il corridoio tra le cabine era deserto. Reymont premette il campanello di Fedoroff, che mandò un suono armonioso.

L’ingegnere aprì la porta. Indossava un pigiama da casa. Dietro di lui, sul piano del cassettone c’erano una bottiglia di vino francese, due bicchieri, e alcuni panini imbottiti al modo danese, che sembravano aspettarlo. Fedoroff parve sconvolto da quell’arrivo inaspettato e fece un passo indietro. — Chto… lei?

— Posso parlarle?

— Um-m-m. — Lo sguardo di Fedoroff brillò debolmente. — Aspetto un ospite.

Reymont ridacchiò. — Mi sembra evidente. Non si preoccupi, non mi dilungherò troppo. Ma è una questione abbastanza urgente.

L’ingegnere parve risentirsi. — Non si può aspettare fino a quando sarò di servizio?

— Il fatto è che sarebbe meglio discuterne confidenzialmente — disse Reymont. — Il capitano Telander è d’accordo. — Passò oltre Fedoroff ed entrò nella cabina. — Nei nostri piani ci siamo dimenticati di un particolare — continuò, parlando velocemente. — Secondo quanto è stato previsto, dovremmo entrare nella fase di alta accelerazione il sette gennaio. Lei sa meglio di me come ciò presupponga due o tre giorni di lavoro preliminare da parte della sua squadra e un considerevole sconvolgimento nel lavoro di routine di tutti gli altri componenti dell’equipaggio. Bene, non so come, ma coloro che hanno preparato i nostri piani di volo si sono dimenticati che il sei gennaio è una data importante nelle tradizioni dell’Europa occidentale. La Dodicesima Notte, la Vigilia dei Tre Re Magi, la chiami come vuole, essa è il culmine dei festeggiamenti di questo periodo festivo. Le celebrazioni dell’anno scorso furono così sregolate che nessuno se ne accorse. Ma io sono venuto a sapere che quest’anno si è parlato di una festa finale, con ballo e vecchi rituali, qualcosa di molto piacevole se appena fosse possibile. Pensi quanto un ricordo delle nostre origini potrebbe aiutare a migliorare il morale. Il capitano e io vorremmo che lei verificasse la possibilità di posporre di alcuni giorni il passaggio all’alta accelerazione.