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— Sì, sì, me ne occuperò — e Fedoroff sospinse con una certa precipitazione Reymont verso la porta aperta. — Domani, per favore…

Era troppo tardi. Ingrid Lindgren apparve sulla soglia. Era in uniforme, essendo venuta direttamente dal ponte di comando quando era terminato il suo turno.

— Gud! - le sfuggì dalle labbra. Poi rimase ferma, immobile.

— Ma guarda, Lindgren — esclamò Fedoroff precipitosamente, — qual buon vento ti porta qui?

Reymont era rimasto con il fiato mozzo. Dal suo viso scomparve ogni espressione. Non faceva il minimo movimento, ma stringeva convulsamente i pugni tanto da conficcarsi le unghie nel palmo delle mani e da far diventare bianca la pelle sulle nocche.

Intanto l’altoparlante aveva cominciato a diffondere un altro canto natalizio.

Lo sguardo di Lindgren passò dall’uno all’altro dei due uomini. I suoi stessi lineamenti erano esangui. Ma di colpo si raddrizzò e disse: — No, Boris. Non dobbiamo mentire.

— Non servirebbe più — assentì Reymont, con voce priva di qualsiasi inflessione.

Fedoroff si girò di scatto verso di lui. — Va bene! — gridò. — Va bene! Siamo stati insieme qualche volta. Lei non è tua moglie.

— Non ho mai sostenuto che lo fosse — rispose Reymont, con gli occhi fissi sulla donna. — Volevo chiederle di diventarlo, non appena fossimo arrivati alla meta.

— Carl — sussurrò Ingrid, — io ti amo.

— Senza dubbio ci si stanca del proprio partner — continuò Reymont, con voce fredda come il ghiaccio. — Hai sentito il bisogno di qualcosa di nuovo, di rinfrescante. Era un tuo diritto, naturalmente. Ma pensavo che non ti saresti abbassata a strisciarmi alle spalle.

— Lasciala in pace! — Fedoroff si gettò su di lui alla cieca.

Il poliziotto si spostò di lato e vibrò un violento colpo con la mano. L’ingegnere emise un rantolo di dolore, cadde a sedere sul letto e si prese il polso ferito nell’altra mano.

— Non è rotto — disse Reymont. — Però, se non te ne stai buono e tranquillo dove sei finché non me ne vado, ti faccio a pezzi. — Tacque per un attimo poi riprese, in tono più tranquillo: — Non è una sfida alla tua mascolinità. Io conosco il combattimento corpo a corpo come tu conosci la fisica nucleare. Rimaniamo gente civilizzata. Lei è tua, comunque, suppongo.

— Carl. — Lindgren fece un passo, poi un altro, verso di lui, finché gli fu davanti. Le lacrime le rigavano le guance.

Reymont abbozzò un inchino. — Porterò via la mia roba dalla tua cabina non appena ne avrò trovata una vacante.

— No, Carl, Carl. — Lo afferrò per la tunica. — Non avrei mai immaginato… Ascolta, Boris aveva bisogno di me. Sì, lo ammetto, mi è piaciuto stare con lui, ma non c’è mai stato nulla di più profondo di un’amicizia… un conforto… mentre per te…

— Perché non mi hai detto che cosa stavi facendo? Io non avevo diritto di sapere?

— Sì, avevi questo diritto, l’avevi, ma io avevo paura… per alcune frasi che ti sei lasciato sfuggire… tu sei geloso… ed è così inutile, perché tu sei il solo che conti, per me.

— Sono stato povero tutta la vita — esclamò Reymont, — e ho una moralità primitiva da pover’uomo, oltre a una certa considerazione per la privacy. Sulla Terra ci potrebbero essere alcuni modi per rimettere le cose… non dico di nuovo a posto, veramente, ma per renderle tollerabili. Potrei fare a pugni con il mio rivale, o andarmene da qualche altra parte. Ma qui nulla di tutto questo è possibile.

— Ma non riesci a capire? — lo implorò la donna.

— E tu ci riesci? — Aveva di nuovo stretto i pugni. — No — disse poi, — tu onestamente — e faccio finta che sia davvero onestamente — non credi di avermi fatto del male. Gli anni che ci aspettano saranno già fin troppo duri senza dover mantenere in vita un rapporto del genere.

Allontanò Ingrid da sé. — E smettila di piagnucolare! — ringhiò.

La donna fu scossa da un tremito e si irrigidì. Fedoroff mandò un grugnito e fece per alzarsi dal letto, ma Ingrid gli fece cenno di stare tranquillo.

— È meglio così. — Reymont si avvicinò alla porta. Sulla soglia si fermò e guardò gli altri due. — Non ci saranno scenate, né tresche, né rancori — affermò. — Quando cinquanta persone sono chiuse insieme in uno stesso posto, o tutti si comportano bene o tutti muoiono. Ingegnere Fedoroff, il capitano Telander e io apprezzeremo un suo rapporto sull’argomento di cui ero venuto a parlare con lei, quanto prima le sarà possibile prepararlo. Può anche chiedere il parere del primo ufficiale, la signorina Lindgren, tenendo però a mente che sarebbe meglio mantenere segreta la cosa finché saremo pronti a fare un annuncio in un senso o nell’altro. — Per un attimo, il dolore e la rabbia ebbero il sopravvento su di lui. — Il nostro dovere è nei confronti dell’astronave, dannazione a voi! — Poi riprese il controllo dei suoi nervi. Batté i tacchi. — Vi porgo le mie scuse. Buonasera.

Se ne andò.

Fedoroff si alzò e andò dietro a Lindgren, circondandole il corpo con le braccia. — Mi dispiace molto — esclamò, con aria goffa e imbarazzata. — Se avessi supposto che poteva accadere qualcosa del genere, non avrei mai…

— Non è colpa tua, Boris. — La donna non si mosse.

— Se vuoi dividere la stanza con me, ne sarei felice.

— No, grazie — rispose Ingrid, con voce opaca. — Resterò fuori del gioco da ora in poi. — Si sciolse dal suo abbraccio. — È meglio che vada. Buonanotte. — Boris rimase solo con i suoi panini imbottiti e il vino.

«O santo bambino di Betlemme,

Discendi su di noi, ti preghiamo.»

Fatte le necessarie correzione, la Leonora Christine aumentò l’accelerazione alcuni giorni dopo l’Epifania.

La cosa non avrebbe prodotto una differenza sensibile riguardo alla durata cosmica del suo passaggio. In entrambi i casi, l’astronave correva a una velocità che rasentava quella della luce. Ma, facendo diminuire più in fretta il fattore tau e raggiungendo al punto intermedio i suoi valori più bassi, la spinta accresciuta accorciava sensibilmente il tempo a bordo dell’astronave.

Estendendo il più possibile le sue membrane, intensificando la palla di fuoco termonucleare che trascinava il motore Bussard, l’astronave passò a gravità tre. Ciò avrebbe aggiunto quasi trenta metri al secondo per ogni secondo a una bassa velocità. Alla sua attuale velocità, provocava aumenti minimi che diventavano costantemente più piccoli.

Ciò valeva per le misurazioni esterne; a bordo, proseguiva la sua marcia in avanti a tre gravità, e tale misurazione era ugualmente reale.

Il carico umano dell’astronave non avrebbe potuto sopportarlo e vivere a lungo. Lo stress sul cuore, sui polmoni e soprattutto sull’equilibrio dei fluidi nel corpo sarebbe stato troppo forte. Alcune medicine avrebbero potuto aiutare gli esseri umani a sopportarlo, ma, fortunatamente, c’era un modo migliore.