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Ma, quando l’evento si verificò, era già vestito. Cullato dalla monotonia del tempo, si era messo a leggere un romanzo proiettato dalla biblioteca e si era assopito sulla sedia. Poi le mascelle dell’universo si erano chiuse di colpo.

Non si accorse delle allegre scene che ora decoravano le pareti dei corridoi dell’astronave, né dell’aspetto primaverile dei tappeti che aveva sotto i piedi, né del profumo di rose e di ozono. Era cosciente soltanto delle sorde vibrazioni del motore. Le scale mandavano un tintinnio metallico sotto i suoi passi frettolosi e il rumore si propagava per tutto il cavedio.

Arrivò al livello superiore ed entrò nel ponte di comando. Lindgren era in piedi vicino al videoscopio. Tale apparecchio in quel momento aveva poca importanza, era quasi un giocattolo. La verità che l’astronave poteva dire si trovava negli strumenti che lampeggiavano sull’intero pannello di fronte. Ma la donna non staccava gli occhi dallo schermo.

Il capitano si precipitò accanto a lei. L’avvertimento che aveva causato la richiesta del suo intervento era ancora registrato su uno schermo collegato al computer astronomico. Lo lesse. Il respiro gli uscì sibilando dai denti. Lo sguardo gli corse all’apparato misuratore e comunicatore che aveva d’intorno. Una macchina ticchettò e produsse un foglio stampato. Il capitano l’afferrò. Lettere e figure rappresentavano una quantizzazione: calcoli dettagliati fino ai valori decimali, dopo che altri dati erano stati immessi nella macchina e altre operazioni erano state portate a termine. Ma il messaggio basilare rimaneva invariato sul pannello.

Telander premette il bottone di allarme generale. Le sirene entrarono in funzione e nei corridoi si diffondeva l’eco degli squilli. Poi, tramite il telefono interno, il capitano ordinò a tutto l’equipaggio che non fosse in servizio attivo di recarsi nella sala delle riunioni insieme con i passeggeri. Dopo un attimo, con voce aspra, aggiunse che sarebbero stati aperti i canali cosicché anche coloro che erano di guardia avrebbero potuto prendere parte alla riunione.

— Che cosa potremo fare? — gridò Lindgren rompendo il silenzio che si era improvvisamente venuto a creare.

— Ben poco, temo. — Telander si avvicinò al videoscopio. — C’è qualcosa di visibile, qui?

— A malapena, direi. Quarto quadrante. — Poi la donna chiuse gli occhi e si girò dall’altra parte.

Avendo capito che la donna alludeva alla proiezione che aveva davanti, la fissò attentamente. Notevolemente ingrandito, lo spazio gli balzò incontro. La scena era in un certo senso confusa e distorta. I circuiti ottici non erano in grado di compensare perfettamente le distorsioni prodotte da velocità come quella a cui viaggiava l’astronave. Ma vide punti stellari, simili a diamanti, ametiste, rubini, topazi, smeraldi, un tesoro degno di Fafnir. Nei pressi del centro bruciava Beta Virginis. Il suo aspetto sarebbe stato molto simile a quello del Sole, ma un certo spostamento dello spettro faceva sì che si tingesse di un azzurro gelido. E, là, sul margine della zona proiettata… quel ciuffetto? Quella nuvoletta di fumo, capace di spazzare via l’astronave e cinquanta vite umane?

La sua concentrazione fu interrotta da rumori, grida, rimbombare di passi, i suoni della paura. Si raddrizzò. — È meglio che vada a poppa — disse con voce incolore. — Devo consultare Boris Fedoroff prima di rivolgermi agli altri. — Lindgren fece per unirsi a lui. — No, resta al tuo posto.

— Perché? — La donna fu sul punto di perdere il controllo di sé. — Regolamento?

Telander annuì. — Sì. Nessuno è ancora venuto a darti il cambio. — Un sorriso malinconico si disegnò sul volto magro. — A meno che tu creda in Dio, il regolamento è adesso l’unico conforto che ci resti.

In quel momento, le tende e ì disegni murali della palestra-sala di riunioni non avevano più significato, non più di quanto ne avessero i canestri da basket o gli abiti borghesi dai vivaci colori dei presenti. Nessuno aveva perso tempo a sistemare al loro posto le sedie. Tutti erano in piedi e il loro sguardo non si staccò un attimo da Telander mentre egli saliva sul podio. Nessuno si muoveva se non per respirare. I volti erano imperlati di sudore scintillante che pervadeva l’aria del suo aspro odore. Tutt’attorno a loro si percepiva il mormorio dell’astronave.

Telander appoggiò le dita al leggio. — Signore e signori — cominciò, nel silenzio generale, — ho cattive notizie. — Poi proseguì velocemente: — Lasciatemi dire subito che le nostre prospettive di sopravvivenza sono lungi dall’essere disperate, a giudicare dalle attuali informazioni di cui disponiamo. Però siamo in una situazione pericolosa. Un simile rischio era stato previsto, ma per la sua stessa natura non poteva essere prevenuto, almeno a questo stadio iniziale della tecnologia basata sul motore Bussard…

— Venga al punto, dannazione! — gridò Norbert Williams.

— Stia zitto, lei — disse Reymont. Diversamente dalla maggior parte dei presenti, che si erano divisi a coppie e stavano con le mani dell’uomo strette a quelle della donna, il poliziotto si era messo da un lato, appartato da tutti, vicino al podio. Sull’abito grigio che indossava aveva attaccato il suo distintivo, segno dell’autorità.

— Lei non può… — Qualcuno doveva aver dato di gomito a Williams, perché le sue parole si spensero in un confuso borbottio.

L’atteggiamento di Telander diventò visibilmente più teso. — Gli strumenti hanno… hanno captato un ostacolo. Una piccola nebulosa. Estremamente piccola, un grumo di polvere e gas, non oltre alcuni miliardi di chilometri da noi. Viaggia a una velocità anormale. Forse è il residuo di qualcosa di più grosso prodotto da una supernova, un residuo tenuto ancora insieme da forze idromagnetiche. O forse è una protostella. Non so.

«Il fatto è che tra noi avverrà un impatto. Tra circa ventiquattr’ore, secondo il tempo della nave. Ciò che accadrà allora, non so neanche questo. Se avremo fortuna, potremo sopportare l’impatto e uscirne senza aver subito danni seri. Altrimenti… se i campi di forze diventano troppo sovraccarichi da continuare a proteggerci… be’, sapevamo che questo viaggio non era esente da rischi.

Udì respiri mozzati, come era accaduto a lui sul ponte di comando, e vide occhi spalancarsi fino a mostrare il bianco, labbra tremare, dita tracciare segni nell’aria. Continuò: — Non possiamo fare molto per prepararci a un simile evento. Possiamo cercare di rafforzare tutto ciò che è possibile, certo; ma in generale la nave è già fortificata al massimo. Quando si avvicinerà il momento, indosseremo l’armatura anticolpi e la tuta spaziale. Così… Ora, se qualcuno ha qualcosa da dire, il dibattito è aperto. — La mano di Williams venne subito sparata verso l’alto, oltre la spalla dell’imponente M’Botu. — Sì?

Sul volto dal colorito acceso del chimico c’era un’espressione indignata più che impaurita. — Signor capitano! La Sonda inviata in esplorazione non aveva riscontrato alcun pericolo su questa rotta. È esatto? Allora chi è responsabile del nostro andare a incappare in questo fango?

Le voci si innalzarono in un confuso mormorio. — Silenzio! — esclamò Charles Reymont. Sebbene non avesse parlato a voce molto alta, fece uscire il suono dai suoi polmoni in modo tale da imporsi a tutti. Numerosi sguardi pieni di risentimento si appuntarono su di lui, ma tra i presenti tornò a regnare l’ordine.

— Pensavo di essermi spiegato — intervenne Telander. — La nuvola è estremamente piccola secondo gii standard cosmici, non è luminosa e non è rilevabile a qualsiasi grande distanza. Ha una velocità molto alta, diversi chilometri al secondo. Così, ammettendo che la sonda spaziale abbia percorso il nostro identico cammino, la nebulosa in quel momento sarebbe stata molto lontana — a oltre cinquant’anni di distanza, ricordate. Inoltre… possiamo essere sicuri del fatto che la sonda non ha percorso esattamente la nostra stessa rotta. Oltre al movimento relativo dei Sole e di Beta Virginis, considerate la distanza intermedia. Trentadue anni-luce sono più di quanto le nostre povere menti riescano a immaginare. La minima variazione nella traiettoria da stella a stella significa una differenza di molte unità astronomiche nel mezzo.