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— A tale proposito — intervenne Telander, con voce nuovamente gelida, — si ricordi per favore che lei deve obbedire ai miei ordini ed è soggetto al regolamento della spedizione.

— Dannazione! — esplose Reymont. — Per che cosa mi prende? Per un aspirante Mao? Sto chiedendo la sua autorizzazione a scegliere alcuni uomini fidati e prepararli senza tanto chiasso a fronteggiare una situazione d’emergenza. Darò loro delle armi, ma soltanto quelle a salve. Se non accade nulla di storto — o se qualcosa accade ma tutti mantengono il controllo — che cosa ci avremmo perso?

— La fiducia reciproca — disse il capitano.

Erano arrivati al ponte di comando. Reymont entrò insieme al suo compagno, ancora discutendo. Telander fece un brusco gesto della mano per dirgli di stare zitto e si avviò verso gli strumenti di controllo. — Niente di nuovo? — chiese.

— Sì. Gli strumenti hanno cominciato a tracciare una mappa della densità — rispose Lindgren. Vedendo Reymont si era tirata indietro e ora parlava meccanicamente, senza guardarlo. — Si raccomanda… — Indicò gli schermi e l’ultimo stampato.

Telander li studiò. — Mmm… Possiamo passare attraverso una zona leggermente meno densa della nebulosa, a quanto pare, se generiamo un vettore laterale attivando i deceleratori numero tre e quattro in congiunzione con l’intero sistema di accelerazione… Una procedura che ha in sé dei rischi. Bisogna discuterne. — Innestò la comunicazione interfonica e parlò brevemente con Fedoroff e Boudreau. — Nella sala di riunione. Subito!

Si girò per andarsene. — Capitano… — lo fermò Reymont.

— Non ora — rispose Telander. Le sue gambe solcavano il pavimento.

— Ma…

— La risposta è no. — E Telander sparì fuori della porta.

Reymont rimase dov’era, con la testa bassa e le spalle curve, come se stesse per caricare. Ma non sapeva dove andare. Ingrid Lindgren lo guardò per un attimo — un minuto o più, secondo la cronologia dell’astronave, che corrispondeva a un quarto d’ora nella vita delle stelle e dei pianeti — prima di dire, con voce bassa: — Che cosa volevi da lui?

— Oh. — Reymont riprese un atteggiamento normale. — L’autorizzazione a reclutare una squadra speciale. Mi ha risposto con una stupida frase a proposito della mia scarsa fiducia nei miei compagni.

I loro sguardi si incontrarono. — E perché non li lasci in pace in quelle che potrebbero essere le loro ultime ore? — disse la donna. Era la prima volta, da quando si erano lasciati, che si rivolgevano la parola in un tono non solo formalmente corretto.

— Lo so. — Reymont pronunciò con violenza le parole. — Hanno poco da fare, essi pensano, tranne aspettare. Così passeranno il tempo che resta… parlando, leggendo le poesie preferite, mangiando i cibi preferiti, con una razione extra di vino, ascoltando registrazioni di musica, opera, balletto e teatro, o in alcuni casi qualcosa di più allegro, forse di più osceno, e facendo l’amore. Soprattutto facendo l’amore.

— C’è qualcosa di male? — chiese Ingrid. — Se dobbiamo morire, non dovremmo farlo in modo civilizzato, decente, pieno di amore per la vita?

— Essendo un po’ meno civilizzati, eccetera, potremmo accrescere le nostre probabilità di sopravvivenza.

— Hai tanta paura di morire?

— No. Semplicemente, mi piace vivere.

— Mi meraviglio — disse la donna. — Suppongo che tu non possa fare a meno di essere tanto rude. È il tuo modo di essere. Ma che cosa puoi dirmi di questo tuo non voler cambiare, migliorare?

— Sinceramente — rispose Reymont, — avendo visto a che cosa portano l’educazione e la cultura, sono sempre meno interessato ad apprenderle.

Uno spirito battagliero tornò a invadere la donna. Con lo sguardo offuscato, si fece avanti verso di lui e disse: — Oh, Carl, combatteremo ancora la stessa vecchia battaglia, in quello che è forse il nostro ultimo giorno di vita? — Reymont rimase fermo e Ingrid proseguì, in fretta: — Ti amavo. Volevo che tu fossi il compagno della mia vita, il padre dei miei bambini, non importa se su Beta Tre o sulla Terra. Ma siamo così soli, tutti noi, qui tra le stelle. Dobbiamo dare tutta la gentilezza di cui siamo capaci e accettarla dagli altri, o siamo peggio che morti.

— A meno che si riesca a controllare i nostri sentimenti.

— Credi che tra me e Boris ci fosse un sentimento… che non fosse l’amicizia e il desiderio di aiutarlo a superare il suo dolore e… e la sicurezza che egli non si sarebbe innamorato seriamente di me? E il regolamento stabilisce, in poche parole, che noi non possiamo contrarre matrimoni formali durante il viaggio, perché siamo troppo soggetti a costrizioni e privazioni come…

— Così tu e io abbiamo posto fine a una relazione che era diventata insoddisfacente.

— Ne hai avute molte altre! — s’infiammò Ingrid.

— Per un po’, finché non ho incontrato Ai-Ling. Mentre tu hai ricominciato a dormire un po’ dappertutto.

— Ho esigenze normali. Non mi sono sistemata… impegnata… — ansimò — … come te.

— Neppure io, ma non si abbandona un compagno quando le cose vanno male. — Reymont si strinse nelle spalle. — Non importa. Come hai supposto, siamo entrambi individui liberi. Non è stato facile, ma mi sono finalmente convinto che non è un atteggiamento ragionevole né giusto nutrire rancore perché tu e Fedoroff avevate esercitato questa libertà. Non lasciare che ti rovini il divertimento dopo che avrai finito il tuo turno.

— Né io voglio rovinare il tuo. — Lindgren si fregò violentemente gli occhi.

— In realtà, sarò occupato quasi fino all’ultimo minuto. Poiché non mi è stato dato il permesso di agire regolarmente, chiederò l’aiuto di alcuni volontari.

— Non puoi farlo!

— Non mi è stato proibito. Riunirò in privato alcuni uomini che ritengo dovrebbero accettare. Formeremo una squadra di riserva, pronta a fare tutto ciò di cui ci sia bisogno. Intendi dirlo al capitano?

La donna gli girò le spalle. — No — disse. — Ora, per favore, vattene.

I suoi stivali risuonarono pesantemente nel corridoio.

CAPITOLO OTTAVO

Era stato fatto tutto il possibile. Ora, rivestiti delle tute spaziali, stretti da cinghie dentro specie di bozzoli di sicurezza ancorati ai letti, i passeggeri della Leonora Christine aspettavano che avvenisse la collisione. Alcuni si erano tenuti in testa i loro elmetti radio in modo da poter comunicare con i compagni di stanza; altri avevano preferito la solitudine. Con la testa protetta da un casco, nessuno era in grado di scambiare occhiate con un compagno né di vedere alcunché tranne il vuoto che si apriva davanti allo schermo che proteggeva il viso.

La cabina di Reymont e di Chi-Yuen sembrava più desolata di tante altre. La donna aveva messo al sicuro i drappi di seta che rendevano più leggiadre le pareti metalliche della stanza e il soffitto, il tavolino basso che ella stessa aveva costruito per sostenere un vaso della dinastia Han che conteneva acqua e una sola pietra, il rotolo di pergamena con il suo sereno panorama di montagne e la calligrafia del nonno, gli abiti, la scatola con l’occorrente per cucire, il flauto di bambù. La luce al fluoro scendeva lugubre sulle superfici spoglie.

Per un po’ i due erano rimasti in silenzio, sebbene le loro tute fossero collegate radiofonicamente. Reymont ascoltava il respiro di lei e il lento battere del proprio cuore. — Charles — disse alla fine Chi-Yuen.

— Sì? — Reymont rispose con la stessa calma.

— È stato bello con te. Vorrei poterti toccare.

— Anch’io.

— C’è un modo. Lasciami toccare il tuo io. — Sconcertato, Reymont non riuscì a trovare una risposta pronta. La donna proseguì: — Hai sempre tenuto nascosta la maggior parte di te. Non credo di essere la prima donna a dirti una cosa del genere.