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«Allora, questi signori hanno fatto calcoli approssimati, non ancora sicuri al cento per cento, ma i risultati di tali calcoli indicano che possiamo virare a mezza strada attorno alla galassia, con un movimento a spirale rivolto verso l’interno finché potremo tuffarci direttamente nel suo centro e di nuovo fuori da questa parte. In ogni caso la nostra marcia verrebbe rallentata da ogni inversione di rotta. Non possiamo girare attorno a una monetina da dieci ore alla nostra velocità! E questo ci metterà in grado di acquistare il tau necessario. Non dimenticate, quello decrescerà costantemente. Il nostro transito per Beta Vi sarebbe stato un po’ più veloce se non avessimo deciso di fermarci laggiù; se, invece di frenare a metà passaggio, avessimo semplicemente continuato ad aumentare la velocità.

«L’ufficiale di rotta Boudreau valuta — valuta, badate bene; dovremo raccogliere dati mentre andiamo, ma è una buona e informata ipotesi — che, considerando la velocità che già abbiamo, potremo uscire dalla galassia e puntare all’esterno tra un anno o due.

— Per quanto tempo cosmico? — chiese uno dei presenti.

— A chi interessa? — replicò Reymont. — Conoscete le dimensioni. Il disco galattico ha un diametro di circa centomila anni-luce. Attualmente siamo a trentamila anni-luce dal centro. Uno o duecento millenni in tutto? Chi può dirlo? Dipenderà dalla rotta che sceglieremo, la quale a sua volta dipenderà da ciò che un’osservazione a lungo raggio potrà mostrarci.

Puntò un dito verso l’assemblea. — Lo so. Vi state chiedendo che cosa mai succederà se colpiremo una nuvola come quella che ci ha ridotto in una simile misera situazione? Ho due risposte da dare a questa domanda. Primo, dobbiamo correre qualche rischio. Ma, secondo, man mano che il valore di tau decresce sempre più, potremo utilizzare zone che sono sempre più dense. Avremo una massa troppo grande da essere danneggiati come è accaduto stavolta. Capite? Quanto più abbiamo, tanto più possiamo ottenere e tanto più in fretta possiamo andare, secondo il tempo dell’astronave. Non è inconcepibile che si possa lasciare la galassia con un valore inverso di tau dell’ordine di un centinaio di milioni. In tal caso, secondo i nostri orologi saremo fuori dall’intera famiglia galattica in pochi giorni!

— Come faremo a tornare? — chiese Glassgold — ma con voce attenta e vigile.

— Non torneremo — ammise Reymont. — Puntiamo verso l’ammasso, deceleriamo, entriamo in una delle galassie che fanno parte della costellazione, riportiamo il valore tau a qualcosa di sensibile e cominciamo a cercare un pianeta dove sia possibile la vita.

«Sì, sì, sì! — gridò sovrastando il rinnovato insorgere delle loro voci. — Milioni di anni nel futuro. Milioni di anni luce da questo momento. La razza umana probabilmente si estinguerà… in quest’angolo dell’universo. Bene, non possiamo ricominciare, in un altro posto e in un altro tempo? O preferite star seduti in una conchiglia di metallo a commiserare voi stessi, fino a diventare vecchi e a morire senza figli? Sempre che non riusciate a sopportare questa difficile situazione e non vi facciate saltare le cervella. Io preferisco andare, finché le forze ci sorreggeranno. Stimo abbastanza questo gruppo per credere che sarete d’accordo con me. Chiunque la pensi in modo diverso vuol essere così gentile da togliersi dalla nostra strada?

Scese dal podio. Allora intervenne Telander: — Ah, ufficiale di rotta Boudreau, ingegnere capo Fedoroff, professor Nilsson… Vorreste venire qua? Signore e signori, la discussione è aperta…

Chi-Yuen abbracciò Reymont. — Sei stato meraviglioso — singhiozzò.

La sua bocca prese una piega dura. Distolse lo sguardo da lei, da Lindgren, da tutti i presenti, per rivolgerlo alle paratie che li circondavano. — Grazie — replicò bruscamente. — Non è stato granché.

— Oh, lo è stato. Ci hai restituito la speranza. Sono onorata di vivere con te.

Reymont non parve averla sentita. — Chiunque avrebbe potuto presentare una brillante nuova idea — disse. — Ora si aggrappano a qualsiasi cosa. Io ho soltanto accelerato il processo. Quando accetteranno il programma, allora cominceranno i veri guai.

CAPITOLO UNDICESIMO

I campi di forza si spostarono. Non erano tubi e schermi statici. Ciò che li formava era l’incessante azione reciproca di legami elettromagnetici, la cui produzione, propagazione ed effetto eterodinico dovevano essere tenuti sotto controllo ad ogni nanosecondo, dal livello quantico a quello cosmico. Poiché le condizioni esterne — densità della materia, radiazione, forze di campo che venivano a contatto, curvatura dello spazio gravitazionale — mutavano istante dopo istante, le loro reazioni sulla membrana immateriale dell’astronave venivano registrate e i dati immessi nei calcolatori; trattando un migliaio di serie simultanee di Fourier come il più insignificante dei loro compiti, queste macchine rinviavano la loro risposta; gli apparati generatori e controllori, nuotando a poppa dello scafo in un vortice creato dalla stessa potenza da loro emessa, operavano le loro docili modifiche. In questa omeostasi, in questo camminare su una corda da funamboli sopra la possibilità di ricevere una risposta sbagliata o semplicemente tardiva — il che voleva dire distorsione e collasso dei campi di forza e distruzione dell’astronave — si inseriva un controllo umano. Esso divenne parte dei dati.

Un’immissione a tribordo fu potenziata, una a babordo ridotta: cautamente, molto cautamente, la Leonora Christine virò e si lanciò nella sua nuova rotta.

Le stelle videro il movimento poderoso di una massa costantemente più larga e più appiattita che impiegò mesi e anni prima che la deviazione dalla sua rotta originale diventasse evidente e significativa. Non che l’oggetto su cui scintillavano fosse lento. Era un guscio incandescente, delle dimensioni di un pianeta, in cui gli atomi venivano afferrati dalle frange esterne di forza e stimolati in radiazioni termiche, fluorescenti, sincrotroniche. E ciò andava appena oltre il fronte dell’onda che annunciava il suo incedere. Ma la luminosità della nave si perse ben presto nel corso degli anni-luce. La Leonora Christine avanzava attraverso abissi che apparentemente non avevano fine.

Per il suo tempo interno, la storia era diversa. Si muoveva in un universo che le diventava sempre più estraneo — che invecchiava più rapidamente ed era più massiccio, più compresso. Così il ritmo secondo il quale poteva trangugiare idrogeno, bruciarne una parte come energia e proiettare il resto in un getto fiammeggiante lungo un milione di chilometri, tale ritmo continuava a crescere. Ogni minuto, calcolato sui suoi orologi, toglieva al valore del fattore tau una frazione più ampia di quella tolta nel minuto precedente.

A bordo, nulla cambiava. Aria e metallo trasmettevano ancora le pulsazioni prodotte dall’accelerazione, la cui resistenza aerodinamica interna rimaneva ancora a una uniforme gravità uno. L’impianto energetico interno continuava a fornire luce, elettricità, temperature uniformi. I biosistemi e gli organocicli riciclavano ossigeno e acqua, riutilizzavano i rifiuti, fabbricavano cibo, aiutavano la vita. L’entropia aumentava. La gente invecchiava all’antico ritmo di sessanta secondi al minuto, sessanta minuti all’ora.

Ma queste ore erano sempre meno attinenti alle ore e agli anni che passavano all’esterno dell’astronave. La solitudine si richiudeva sulla Leonora Christine come le dita di una mano.

Jane Sadler fece un affondo. Johann Freiwald cercò di parare. Il fioretto della donna batté contro quello dell’avversario mandando un suono tintinnante. Di colpo, Jane partì all’attacco e Johann esclamò: — Touché! - Poi, ridendo dietro la maschera: — In un vero duello mi avresti trapassato il polmone sinistro. Hai superato l’esame.

— Appena in tempo — ansimò Jane. — Un altro minuto… e io… sarei rimasta… senza fiato. Ho le ginocchia di gomma.