Reymont vi batté sopra affettuosamente la mano e ridacchiò. — Un vecchio principio — disse. — Sperimentato nelle organizzazioni militari e paramilitari. Lo stavo applicando qui. L’animale umano vuole un’immagine paterna e materna, ma allo stesso tempo, si irrita per la disciplina cui è soggetto. Si può ottenere una situazione stabile con questo accorgimento: la suprema fonte d’autorità è tenuta lontana, a mo’ di divinità, praticamente inavvicinabile. Il tuo immediato superiore è uno spregevole figlio di puttana che ti costringe a conformarti alle regole e che perciò detesti cordialmente. Ma il superiore di costui è gentile e cordiale per quanto glielo permette il suo rango. Mi segui?
Chi-Yuen si appoggiò un dito alla tempia. — Non del tutto.
— Considera la nostra attuale situazione. Tu non indovinerai mai quanti giochi d’abilità abbia dovuto fare, nei primi mesi trascorsi dopo la nostra collisione con la nebulosa. Non pretendo che mi sia riconosciuto il merito per come si è sviluppata la situazione. In parte era una cosa naturale, quasi inevitabile. La logica insita nel nostro problema ha fatto il resto, grazie anche alla mia opera di controllo. Il risultato finale è stato che il capitano Telander è stato isolato. La sua infallibilità non doveva essere messa a confronto con questioni umane essenzialmente trascurabili come quella di oggi.
— Pover’uomo. — Chi-Yuen fissò attentamente Reymont. — Lindgren è il suo surrogato per simili casi?
Il poliziotto annuì. — Io sono il tradizionale sergente. Duro, severo, esigente, sopraffattore, privo di discrezione, brutale. Non così carogna da convincere tutti a richiedere la mia rimozione, ma abbastanza da irritare, da suscitare antipatie, anche se con un certo rispetto. Ciò funziona alla perfezione nell’esercito. È più salutare prendersela con me che rimuginare le sventure personali… come tu, amore mio, stavi facendo.
«Lindgren smussa le cose. In qualità di primo ufficiale, sostiene il mio potere. Ma di tanto in tanto la sua autorità si impone sulla mia. Si serve del suo grado per eludere il regolamento in favore della compassione. Così aggiunge la benevolenza agli attributi della Suprema Autorità.
Reymont si accigliò. — Il sistema ci ha sostenuto fin qui — concluse. — Ora sta cominciando a mostrare la corda. Dobbiamo aggiungere un nuovo fattore.
Chi-Yuen continuava a fissarlo finché egli cambiò posizione sul materasso, apparentemente a disagio. Alla fine la donna chiese: — Hai preparato questo piano insieme a Ingrid?
— Eh? Oh, no. Il suo ruolo esige che ella non sia il tipo machiavellico che sostenga deliberatamente una certa parte.
— La comprendi così bene… per il rapporto che è intercorso tra voi?
— Sì. — Arrossì. — E con ciò? In questi giorni i nostri rapporti sono puramente formali. Per ovvie ragioni.
— Io credo che tu stia cercando il modo di continuare a respingerla, Charles.
— Mmm… maledizione, lasciami in pace. Ciò che sto cercando di fare è aiutarti a ritrovare una reale volontà di sopravvivenza.
— Cosicché io, a mia volta, possa aiutarti a continuare nella tua parte?
— Be’, uhm, sì. Non sono un superuomo. È trascorso troppo tempo dall’ultima volta in cui qualcuno mi ha offerto una spalla su cui piangere.
— Lo stai dicendo perché lo pensi veramente o perché serve ai tuoi scopi? — Chi-Yuen gettò indietro i capelli. — Non importa. Non rispondere. Faremo tutto ciò che sarà possibile l’uno per l’altra. In seguito saremo sopravvissuti.
I lineamenti di Reymont si addolcirono. — Comunque stai riacquistando il tuo equilibrio — disse. — Eccellente.
Chi-Yuen rise. Con le braccia circondò il collo del compagno. — Vieni qua, tu.
CAPITOLO TREDICESIMO
Ci si poteva avvicinare alla velocità della luce, ma nessun corpo che possedesse una massa a riposo poteva realmente raggiungerla. Gli incrementi di velocità con cui la Leonora Christine si avvicinava a quel limite impossibile erano sempre più piccoli. Così sarebbe potuto sembrare che l’universo che il suo equipaggio osservava non potesse essere ulteriormente distorto. L’aberrazione poteva, al massimo, spostare una stella di un angolo di 45°; l’effetto Doppler poteva spostare sul rosso i fotoni alle spalle dell’astronave all’infinito, ma soltanto raddoppiare le frequenze che arrivavano dal davanti.
Ma non c’era limite al valore inverso di tau e questa era la misura dei cambiamenti nello spazio percepito e nel tempo sperimentato. Ugualmente, non c’era neanche limite ai mutamenti ottici, e il cosmo davanti e dietro all’astronave poteva contrarsi a uno spessore zero dove erano comprese tutte le galassie.
Così, mentre l’astronave compiva la sua grande oscillazione con un semicerchio attorno alla Via Lattea, e si accingeva a tuffarsi nel suo cuore, il periscopio della Leonora Christine rivelò un fantastico agglomerato. Le stelle più vicine sfrecciavano via di lato sempre più velocemente, finché l’occhio le vide muoversi attraverso il campo visivo: perché in quel momento all’esterno trascorrevano anni mentre all’interno scattavano minuti. Il cielo non era più nero; era di un porpora luccicante, che si faceva più profondo e più brillante man mano che i mesi interni trascorrevano: perché l’interazione dei campi di forza e del corpuscolo interstellare — alla fine, il magnetismo interstellare — stava liberando particelle quantiche. Le stelle più avanti si stavano unendo in due globi, di un azzurro fiammeggiante davanti, di un profondo cremisi dietro. Ma gradatamente quei globi si contrassero fino a diventare punti, affievolendosi sempre più: perché quasi tutta la loro radiazione era stata rimossa dallo spettro visibile, verso i raggi gamma e le onde radio.
Il videoscopio era stato riparato ma riusciva sempre meno a compensare. I circuiti non erano semplicemente più in grado di distinguere i soli individuali a un grado superiore ad alcuni parsec. I tecnici presero lo strumento e lo ricostruirono con accresciute capacità, per paura di dover viaggiare completamente alla cieca.
Questo progetto, e svariate altre modifiche, erano probabilmente più utili a coloro che erano in grado di fare un simile lavoro di quanto lo fossero in sé. Quelle persone, infatti, non si ritiravano nel loro guscio come facevano troppi dei loro compagni di viaggio.
Boris Fedoroff trovò Luis Pereira al piano dove erano situati i laboratori idroponici. Si stava raccogliendo un’intera vasca di alghe. Il capo dei biosistemi lavorava con i suoi uomini, seminudo come loro, gocciolante della stessa acqua e della stessa melma verdastra, per riempire i vasi che stavano su un carrello. — Che schifo! — esclamò l’ingegnere.
I denti di Pereira scintillavano sotto i folti baffi. — Non disprezzare il mio raccolto con tanta enfasi — replicò. — Al momento opportuno lo dovrai mangiare.
— Mi chiedo come potesse riuscire così realistica l’imitazione del formaggio Limburger — disse Fedoroff. — Puoi assentarti un attimo per scambiare quattro parole con me?
— Non potremmo vederci più tardi? Non possiamo smettere finché siamo in ballo. Se il raccolto va a male, ti troveresti a stringere la cinghia per un po’.
— Neanch’io ho tempo da perdere — replicò Fedoroff, con un tono divenuto di colpo pressante. — Penso che sia meglio avere fame che andare in rovina.
— Allora, continuate voi — disse Pereira ai suoi collaboratori. Saltò fuori dalla vasca e si recò a una doccia dove si lavò in fretta. Senza preoccuparsi di asciugarsi o di rivestirsi, su quel piano dell’astronave dove la temperatura era mantenuta sempre a un grado ottimale di calore, condusse Fedoroff al suo ufficio. — In confidenza — ammise, — sono ben contento di avere una scusa per sospendere quel lavoro.
— Sarai meno contento quando sentirai la ragione che mi ha spinto qua. Vuol dire affrontare un duro lavoro.