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L’uomo balzò al suolo e si lanciò nel corridoio. Dapprima fu raggiunto dal rumore, un parlottio concitato. Una dozzina di persone, in quel momento fuori servizio, erano riunite in circolo. Freiwald si aprì un varco tra loro. In mezzo, il secondo pilota Pedro Barrios e l’aiutante cuoco Michael O’Donnell si erano fatti poco male, ma era comunque un brutto spettacolo.

— Smettetela! — ruggì Freiwald.

I due si fermarono, con aria torva. In altre precedenti occasioni la gente aveva avuto modo di sperimentare i trucchi che Reymont aveva insegnato alle sue reclute. — Che cos’è questa farsa? — domandò Freiwald. Poi si rivolse agli spettatori presenti, con voce altrettanto piena di disprezzo: — Perché nessuno di voi è intervenuto? Siete troppo stupidi per capire dove può portarci un comportamento del genere?

— Nessuno può accusarmi di barare alle carte — esclamò O’Donnell.

— L’hai fatto — ritorse Barrios.

Si lanciarono di nuovo l’uno contro l’altro, ma le mani di Freiwald scattarono in avanti. Afferrò i litiganti per il colletto della loro tunica e impresse alle mani un movimento circolare, così da far pressione sul pomo d’Adamo di entrambi. Gli uomini si contorsero e scalciarono, ma Freiwald assestò loro un paio di fumikomi facendoli ansimare per il dolore e gridare.

— Avreste potuto usare i guantoni o i bastoni kendo sul ring — disse Freiwald. — Adesso sarete portati davanti al primo ufficiale.

— Ehm, scusatemi. — Un nuovo arrivato, un uomo magro, dall’aria azzimata, si fece largo tra gli imbarazzati testimoni e batté leggermente la mano sulla spalla di Freiwald: era il cartografo Phra Takh.

— Non credo che sia necessario.

— Fatti gli affari tuoi — grugnì Freiwald.

— Sono affari miei — rispose Takh. — La nostra unità è un fattore essenziale per le nostre vite. Non sarà certo incoraggiata da punizioni ufficiali. Sono amico di entrambi questi uomini e credo di poterli riappacificare.

— Dobbiamo avere rispetto per la legge, o siamo finiti — replicò Freiwald. — Li porto dal primo ufficiale.

Takh prese una decisione. — Posso prima parlarti un attimo in privato? Un minuto solo? — Il suo tono rivelava una certa urgenza.

— Be’… d’accordo — acconsentì Freiwald. — Voi due aspettate qui.

Entrò nella sala da gioco con Takh e chiuse la porta. — Non posso permettermi di lasciarli andare impuniti dopo avermi opposto resistenza — disse. — Da quando il capitano Telander ci ha concesso ufficialmente il grado di agenti, noi operiamo in nome dell’astronave. — Poiché indossava soltanto un paio di calzoncini corti, abbassò una calza per far vedere la contusione sulla caviglia.

— Potresti ignorare questo fatto — suggerì Takh, — far finta di non essertene accorto. Non sono cattivi ragazzi. Sono semplicemente resi furiosi da questa esistenza monotona e priva di scopo, dall’ossessionante domanda se riusciremo a superare ciò che ci aspetta o se finiremo per schiantarci su una stella.

— Se permettiamo che chiunque si sottragga alle conseguenze di un personale atto di violenza…

— Supponiamo che li prenda da un lato e riesca a smussare la loro reciproca ostilità e a convincerli a chiederti scusa. Ciò non servirebbe alla causa più di un arresto e di una punizione sommaria?

— Potrebbe — replicò Freiwald in tono scettico. — Ma chi mi garantisce che tu sia in grado di farlo?

— Anch’io sono un agente speciale — disse Takh.

— Cosa? — Freiwald strabuzzò gli occhi.

— Chiedilo a Reymont, quando riesci a trovarlo solo. Io non dovrei rivelare a nessuno di essere stato reclutato, tranne a un agente regolare in una situazione di emergenza. E io ritengo che questa lo sia.

— Alber… perché?

— Reymont incontra personalmente molto risentimento, resistenze e scappatelle — gli spiegò Takh. — I suoi agenti a mezzo servizio regolarmente riconosciuti, come è il tuo caso, hanno meno inconvenienti di questo tipo. Raramente vi tocca qualche sporco lavoro. Eppure, una certa opposizione nei vostri riguardi esiste e certamente nessuno vi confiderebbe qualcosa sapendo che Reymont potrebbe obiettare. Io non sono… una spia. Non dobbiamo fronteggiare alcun reale problema criminale. Devo fare piuttosto da elemento moderatore, sfruttando il meglio delle mie possibilità. Come nel caso di oggi.

— Pensavo che a te Reymont non piacesse — disse debolmente Freiwald.

— Non posso dire che mi piaccia — rispose Takh. — Ma, anche se le cose stanno così, egli mi ha preso da parte e mi ha convinto che potevo rendere un servizio all’astronave. Mi auguro che non lascerai trapelare questo segreto.

— Oh, no, certamente no. Non lo confiderò neanche a Jane. Che sorpresa!

— Mi lascerai trattare con Pedro e Michael?

— Sì, certo. — Freiwald parlava in tono assente. — Quanti altri agenti del tuo tipo ci sono in giro?

— Non ne ho la più pallida idea — disse Takh, — ma ho il sospetto che Reymont speri alla fine di reclutarci tutti. — Se ne andò.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Le masse nebulose che si ergevano come un muro al centro della galassia si profilavano nere e torreggianti come cumulonembi. La Leonora Christine ne stava già attraversando il limite esterno. Davanti all’astronave non si scorgevano più soli; altrove, a ogni ora che passava, diventavano sempre più rari e la loro luce si faceva sempre più debole.

In questa concentrazione di materia stellare, l’astronave si muoveva secondo una sorta di misteriosa aerodinamica. Il valore inverso di tau era adesso così enorme che la densità dello spazio non le poneva alcuna preoccupazione. Piuttosto, inghiottiva materia con una ingordigia ancora più accentuata e non si limitava più soltanto agli atomi d’idrogeno. I suoi selettori rimessi in funzione tramutavano tutto ciò che incontravano, fosse gas o pulviscolo o meteoriti, in carburante e massa di reazione. L’energia cinetica e il differenziale di tempo crescevano a un ritmo vertiginoso. L’astronave volava come sospinta da un vento che soffiasse tra gli ammassi di soli.

Nonostante quella situazione, Reymont trascinò Nilsson nella stanza dei colloqui.

Ingrid Lindgren prese posto dietro la sua scrivania, indossando l’uniforme. Era dimagrita e gli occhi erano leggermente incavati e stanchi. Nella cabina risuonava il monotono pulsare dei motori, ma in modo stranamente forte, e ogni tanto dal ponte e dalle paratie giungevano colpi. L’astronave avvertiva delle irregolarità negli ammassi nebulosi sotto forma di vuoti, correnti, vortici di una creazione di mondi non ancora compiuta.

— Non possiamo rimandare tutto a dopo che avremo compiuto il nostro giro d’ispezione, commissario? — chiese la donna, in preda alla rabbia e alla stanchezza insieme.

— Non lo ritengo possibile, signora — replicò Reymont. — Se dovesse verificarsi uno stato d’emergenza, abbiamo bisogno che la nostra gente sia convinta che valga la pena di lottare.

— Lei accusa il professor Nilsson di contagioso atteggiamento disfattista. Gli articoli del regolamento contemplano la libertà di parola.

La sedia su cui era seduto l’astronomo scricchiolò sotto il suo peso, mentre l’uomo cambiava posizione. — Io sono uno scienziato — dichiarò in tono bisbetico. — Ho non soltanto il diritto ma anche l’obbligo di dichiarare il vero.

Lindgren l’osservò con disapprovazione. L’uomo aveva la barba lunga, non doveva essersi lavato da parecchio tempo e indossava un abito sudicio.

— Lei non ha però il diritto di diffondere in giro storie orripilanti — esclamò Reymont. — Non si è reso conto di ciò che stava facendo ad alcune donne, in modo particolare, quando a mensa ha parlato come ha fatto? Proprio questo mi ha convinto a intervenire; ma lei, Nilsson, sta rimestando nel torbido già da un pezzo.