Nilsson fece per alzarsi dalla sedia, ma ricadde giù pesantemente. Deglutì rumorosamente. Reymont sorprese entrambi i suoi interlocutori passando di colpo alle maniere gentili:
— Io non l’ho fatta venire qui soltanto per costringerla a rinunciare alle sue prediche demoralizzanti. Credo di sapere perché non si sta più impegnando a migliorare le nostre possibilità di sopravvivenza.
— E quali potrebbero essere?
— Proprio questo voglio sapere da lei. Lei è l’esperto di osservazioni spaziali. Se ricordo bene, già sulla Terra lei si occupava di alcuni esperimenti grazie ai quali aveva localizzato una cinquantina di sistemi planetari. Lei personalmente aveva identificato alcuni pianeti individuali e li aveva schedati per tipo, nonostante fossero distanti molti anni-luce. Perché non può fare lo stesso per noi?
Nilsson fece un balzo sulla sedia. — Ridicolo! Vedo che dovrò spiegare la questione usando termini che vengono capiti anche dai bambini dell’asilo. Può avere un attimo di pazienza, primo ufficiale? Faccia attenzione, commissario.
«Certamente, un apparecchio estremamente grande situato nello spazio può captare un oggetto della grandezza di Giove a una distanza di molti parsec. Sempre però nella luce del suo sole. Certamente, per mezzo di un’analisi matematica dei dati relativi alle perturbazioni raccolti in un periodo di alcuni anni, possiamo avere un’idea di pianeti simili alla Terra che siano troppo piccoli da poter essere fotografati. Alcune ambiguità nelle equazioni possono, fino a un certo grado, essere risolte per mezzo di un attento studio interferometrico dei fenomeni di tipo luminoso che si verificano sulla stella; i pianeti esercitano un’influenza minore su questi cicli.
«Ma… — e puntò il dito in direzione del torace di Reymont — … lei non si rende conto di quanto siano incerti i risultati. I giornalisti si sono divertiti a strombazzare in giro che un altro mondo simile alla Terra era stato scoperto. Ma il fatto è sempre stato che questa è soltanto una delle possibili interpretazioni dei nostri dati. Soltanto una tra le numerose possibili distribuzioni di grandezza e orbita. E questo, badi bene, con gli strumenti più grandi e più perfezionati che possono essere costruiti. Strumenti di cui qui non possiamo disporre e che, anche se potessimo in qualche modo costruirli, non sapremmo dove mettere.
«No, anche sulla Terra l’unico modo per ottenere informazioni dettagliate sui pianeti extrasolari era mandare una sonda spaziale e, più tardi, una spedizione umana. Nel nostro caso, l’unico modo è decelerare per una verifica da vicino. E poi, ne sono convinto, proseguire. Perché lei deve rendersi conto che un pianeta che da ogni altro punto di vista sembra ideale può essere sterile o avere una biochimica nativa per noi inutilizzabile o addirittura mortale.
«La prego, commissario, impari un po’ di scienza, un po’ di logica e appena un pizzico di realismo. Eh? — Nilsson finì la sua esposizione con un sorrisetto di trionfo.
— Professore… — cercò di intervenire Lindgren.
Reymont sorrise storto. — Non si preoccupi, signora — esclamò. — Non verremo alle mani per così poco. Le sue parole non mi sminuiscono certo.
Fissò poi l’altro uomo. — Che lo creda o meno — proseguì, — io sapevo già ciò che lei ci ha detto. Sapevo anche che lei è, o era, un individuo molto capace. Lei ha fatto innovazioni, disegnato strumenti, che sono responsabili di molte scoperte. Lei stava facendo un buon lavoro per noi finché non ha ceduto le armi. Perché non mette al lavoro il suo cervello per risolvere i problemi che abbiamo?
— Vuol essere così gentile da accondiscendere a suggerirmi un metodo? — replicò Nilsson in tono di scherno.
— Non sono uno scienziato e neppure un tecnico — disse Reymont. — Eppure, alcune cose mi sembrano ovvie. Supponiamo di essere entrati nella galassia che ci proponiamo di raggiungere. Abbiamo lasciato cadere il tau ultraridotto di cui avevamo bisogno per arrivare fin là, ma abbiamo ancora un… oh, ciò che più ci convince. Dieci alla meno tre, forse? Bene, ciò ci permetterebbe di fare le nostre osservazioni in un periodo di tempo cosmico terribilmente lungo. Nel corso di settimane o mesi, misuriamo secondo il tempo dell’astronave, si potrebbero raccogliere su una data stella più informazioni di quante se ne potrebbero avere sui dintorni del Sole. Avrei supposto che lei potesse escogitare un modo di utilizzare gli effetti della relatività per ottenere informazioni che sulla Terra non sarebbero state disponibili. E, naturalmente, lei potrebbe osservare simultaneamente un gran numero di stelle dello stesso tipo del Sole. Così sarebbe certo riuscito a trovarne alcune di cui potrebbe provare — provare con figurazioni esatte che non lascino alcun ragionevole dubbio — che hanno pianeti con massa e orbita abbastanza simili a quelle della Terra.
— Anche ammettendo una cosa del genere, il problema dell’atmosfera e della biosfera rimarrebbe. Abbiamo bisogno di una visione a corto raggio.
— Sì, sì. Ma non possiamo fermarci per vedere da vicino? Supponga, invece, che si tracci una traiettoria che ci porti molto in prossimità dei soli più promettenti, uno dopo l’altro, mentre continuiamo a viaggiare a una velocità vicina a quella della luce. Calcolando secondo il tempo cosmico, avremmo ore o giorni per esaminare qualsiasi pianeta ci interessi. Esami spettroscopici, termoscopici, fotografici, magnetici, scriva pure la sua lista di richieste. Possiamo farci un’idea molto esatta delle condizioni che troveremo sulla superficie di un dato pianeta. Anche delle condizioni biologiche. Potremmo cercare elementi come il disequilibrio termodinamico da parte di riflessione clorofilliana, la polarizzazione da parte della popolazione microbica basata sugli L-amminoacidi… sì, immaginiamo che potremmo ottenere dati formidabili sulla abitabilità o meno di un pianeta. A un basso valore di tau, potremmo esaminare un numero qualsiasi di pianeti in una piccola frazione del nostro tempo. Dovremmo utilizzare strumenti automatici ed elettronici, in effetti: noi stessi non potremmo lavorare tanto in fretta. Poi, una volta identificato il mondo che fa per noi, potremmo tornarci. Ci vorrebbero un paio d’anni, sono d’accordo con lei, ma sarebbero anni sopportabili. Sapremmo, con un alto grado di probabilità, di avere una casa che ci aspetta.
I lineamenti di Lindgren si erano lievemente coloriti e i suoi occhi avevano perso un po’ della loro opacità. — Buon Dio — esclamò, — perché non hai mai parlato prima di questa possibilità?
— Ho altri problemi per la mente — rispose Reymont, — ma perché non l’ha fatto lei, professor Nilsson?
— Perché tutta questa storia è assurda — sbuffò l’astronomo. — Lei presuppone un grado di strumentazione che noi non abbiamo.
— Non possiamo costruire tali strumenti? Abbiamo il materiale, un equipaggiamento di precisione, mezzi di costruzione, operatori qualificati. La sua squadra ha già fatto alcuni passi avanti.
— Lei chiede velocità e sensibilità aumentate di interi ordini di grandezza su tutto ciò che sia mai esistito.
— E allora? — chiese Reymont.
Nilsson e Lindgren lo fissarono. L’astronave tremava.
— Be’, perché non dovremmo sviluppare ciò di cui abbiamo bisogno? — chiese Reymont con voce perplessa. — Disponiamo di alcuni degli uomini più dotati di talento e meglio addestrati, le menti più aperte che la nostra civiltà abbia mai prodotto. Conoscono ogni branca della scienza; ciò che non conoscono, possono trovarlo nei micronastri; sono abituati a lavorare anche al di fuori della loro materia specifica.
«Ammettiamo, per esempio, che Emma Glassgold e Norbert Williams lavorino insieme per trovare gli elementi necessari a costruire un congegno per scoprire e analizzare la vita a distanza. Consulterebbero altri nel caso ne avessero bisogno. Alla fine si servirebbero di fisici, esperti in elettronica e altri ancora per la reale costruzione e messa in opera del congegno. Nel frattempo, professor Nilsson, lei avrebbe potuto dirigere un’équipe che preparasse gli strumenti per una planetografia da lontano. In effetti, lei è l’uomo adatto a dirigere l’intero programma.