Lindgren stava per attaccare la strofa seguente, il lamento di Valdemar rivolto alla sua amata perduta; ma esitò e passò direttamente alle parole degli uomini del re quando l’alba si alzava su di loro.
Per un po’ nella cabina regnò il silenzio. Poi Nilsson disse: — Questo colpisce troppo nel segno, mia cara.
Lindgren si girò a guardarlo. La stanchezza aveva steso un velo di pallore sul suo viso. — Non potrei cantarlo in pubblico — rispose.
Preoccupato, l’astronomo si avvicinò alla donna, si sedette sul letto al suo fianco e chiese: — Pensi veramente a noi come esseri costretti alla Caccia Selvaggia dei dannati? Non me n’ero accorto.
— Ho cercato di non farlo capire. — Ingrid guardava fisso davanti a sé. Le sue dita traevano dal liuto accordi simili a brividi. — Talvolta… Ora siamo alla boa del milione di anni-luce, lo sai.
Nilsson le circondò la vita con un braccio. — Cosa posso fare per aiutarti, Ingrid? Nulla?
Ella scosse la testa, leggermente.
— Ti devo tanto — continuò Nilsson. — Per la tua forza, la tua gentilezza, per come sei. Hai fatto di me nuovamente un uomo. — Poi aggiunse, con una certa difficoltà: — Non il migliore uomo vivente, lo ammetto. Non sono certo attraente, o affascinante, o brillante. Spesso mi dimentico anche di essere un buon compagno per te. Ma voglio esserlo.
— Certo, Elof.
— Se tu, be’, ti sei stancata del nostro rapporto… o semplicemente vuoi un po’ di varietà…
— No. Nulla di tutto questo. — Ingrid appoggiò il liuto accanto a sé. — Abbiamo quest’astronave per raggiungere il nostro porto, se mai vi riusciremo. Non possiamo permetterci di dare importanza a qualcos’altro.
Nilsson le rivolse un’occhiata angustiata; ma, prima che potesse chiederle che cosa avesse voluto veramente dire, la donna sorrise, lo baciò ed esclamò: — Eppure una pausa potrebbe farci bene. Un modo per dimenticare. Puoi fare qualcosa per me, Elof: consumiamo la nostra razione d’alcool. Pensa tu a tutto: quando riesci a far sparire la tua timidezza sei simpatico. Inviteremo gente giovane e allegra — Luis, penso, e Maria — e rideremo, faremo qualche gioco, qualche pazzia in questa cabina e vuoteremo una caraffa d’acqua sul primo che dice qualcosa di serio… Lo farai?
— Se posso — rispose Nilsson.
La Leonora Christine entrò nella galassia seguente attraverso la sua sezione equatoriale, per rendere massima la distanza che avrebbe attraversato e sfruttare appieno la sua abbondanza di gas e pulviscolo stellare. Appena giunta al limitare della galassia, dove i soli erano ancora grandemente rarefatti, l’astronave cominciò a essere sospinta a un’alta accelerazione. La furia di quel passaggio inviava vibrazioni ancora più forti e rumorose all’interno dello scafo.
Il capitano Telander era sul ponte di comando, anche se, apparentemente, il suo potere di controllo era minimo. L’obiettivo fu raggiunto; il braccio a spirale curvava davanti a loro come una strada rilucente d’azzurro e d’argento. Occasionali stelle giganti passarono abbastanza vicine da apparire negli schermi ora modificati, con un aspetto distorto dagli effetti della velocità che le faceva roteare via come se fossero scintille sospinte dal vento che urlava contro l’astronave. Di tanto in tanto alcune dense nebulose sembravano racchiudere l’astronave nella notte o nella fluorescenza di incandescenti fuochi stellari appena nati.
Lenkei e Barrios erano gli uomini che stavano attenti a questi corpi celesti, manovrando manualmente l’astronave durante questo fantastico tuffo di centomila anni. Le immagini davanti ai loro occhi, la voce dell’ufficiale di rotta Boudreau che spiegava cosa fosse ciò che sembrava trovarsi davanti a loro, o quella dell’ingegnere Fedoroff che li metteva sull’avviso in caso di tensioni eccessive, servivano loro da guida. Ma il vascello era diventato troppo veloce, troppo massiccio per una brusca inversione di marcia; e, in tali condizioni, gli strumenti che un tempo si erano dimostrati utili erano diventati poco più di un oracolo di Delfi. Per la maggior parte del tempo i piloti manovravano l’astronave basandosi sulla propria abilità e sull’istinto, forse sulle preghiere.
In queste ore, secondo il tempo dell’astronave, il capitano Telander rimase seduto, così immobile da poter sembrare morto. Solo alcune volte si riscosse («È stata identificata una pesante concentrazione di materia, signore. Potrebbe essere troppo spessa per noi. Dobbiamo cercare di evitarla?»). In quelle occasioni da lui venne la risposta («No, continuate così, approfittando di ogni opportunità per diminuire il valore di tau, se ritenete che a nostro favore ci sia un cinquanta per cento di probabilità.»). Il tono era calmo e privo di esitazione.
Le nuvole attorno al nucleo erano più dense e ostacolavano la marcia dell’astronave più di quelle trovate nella galassia natia. Nello scafo risuonavano tuoni e l’astronave rollava e si impennava per le accelerazioni che cambiavano più in fretta di quanto potesse essere compensato. Molte attrezzature furono espulse dai loro contenitori e si ruppero; le luci tremolarono, poi si spensero, furono rimpiazzate in qualche modo da uomini sudati e impegnati con torce a raggi; i passeggeri nelle cabine buie aspettavano la morte. — Procedete su questa rotta — ordinò Telander; e i suoi ordini furono eseguiti.
E l’astronave sopravvisse. Passò attraverso il nucleo per uscire in uno spazio stellare e si lanciò dall’altro lato dell’immensa ruota. In poco più di un’ora, era rientrata nelle regioni intergalattiche. Telander annunciò la notizia senza tanti squilli di tromba. Alcuni applaudirono.
Boudreau si presentò al capitano, tremando come reazione alla tensione di prima, ma con un’espressione viva e raggiante. — Mon Dieu, signore, ce l’abbiamo fatta! Non ero sicuro che fosse possibile. Io non avrei avuto il coraggio di impartire i comandi che ha dato lei. Ha avuto ragione! Lei ha vinto per noi tutto ciò che speravamo di ottenere!
— Non ancora — disse il capitano, ancora seduto. La sua inflessione di voce non era cambiata. Guardò alle spalle di Boudreau. — Avete corretto i vostri dati di navigazione? Potremo utilizzare tutte le altre galassie di questa famiglia?
— Come… be’, sì. Alcune, perché molte di loro sono piccoli sistemi ellittici, e quanto ad altre faremo probabilmente soltanto in modo di tagliarle angolarmente. La velocità sarebbe troppo alta. Per la stessa ragione, però, ogni volta avremo meno inconvenienti e correremo meno rischi, considerando la nostra massa. E possiamo certamente utilizzare almeno altre due famiglie galattiche, forse tre, in modo simile. — Boudreau si tirò la barba. — Io ritengo che saremo nel…, ehm, nello spazio compreso tra i clan — ben all’interno di esso, così da poter fare quelle riparazioni — tra un mese.