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— Be’… sì, forse.

— Chiudi gli occhi. Lasciami accarezzare la tua fronte… qui. Non va già meglio? Ora pensa a cose piacevoli.

— Per esempio?

— Hai dimenticato? Pensa alla Terra. No, questo è meglio di no, suppongo. Pensa alla casa che troveremo. Cielo azzurro, un sole caldo, la luce che filtra tra le foglie, sfaccetta l’ombra, guizza sull’acqua di un fiume; e il fiume scorre, scorre, scorre, cantandoti di dormire.

— Um-m-m.

Lo baciò molto lievemente. — La nostra casa. Un giardino. Strani fiori colorati. Oh, ma vi pianteremo anche i semi portati dalla Terra, rose, caprifogli, meli, rosmarino, in ricordo. I nostri bambini…

Reymont si scosse. L’inquietudine era tornata in lui. — Aspetta un attimo, non possiamo prendere impegni personali. Non ancora. Potresti non volere, uh, alcun dato uomo. Io ti voglio bene, naturalmente, ma…

La donna gli chiuse le palpebre prima che egli riuscisse a scorgere il dolore sul suo viso. — Stiamo sognando a occhi aperti, Charles — disse Ai-Ling, con una risata sorda, — smettila di essere così solenne e ufficiale. Pensa soltanto ai bambini, ai bambini di chiunque, che giocano in un giardino. Pensa al fiume. Foreste. Montagne. Canti di uccelli. Pace.

Reymont strinse con un braccio la sua figura sottile. — Sei una brava persona.

— E tu sei tu. Una brava persona che dovrebbe essere stretta al seno. Vuoi che ti canti qualcosa per indurti al sonno?

— Sì. — Le sue parole stavano incominciando a diventare confuse. — Per favore. Mi piace la musica cinese.

La donna continuò a carezzargli la fronte mentre tirava il fiato.

In quel momento il circuito di comunicazione fonica interna si chiuse. — Commissario — disse la voce di Telander, — lei è lì?

Reymont si svegliò di colpo. — No — lo pregò Chi-Yuen.

— Sì — disse Reymont, — sono qui.

— Può venire sul ponte di comando? È qualcosa di confidenziale.

— Sì, subito. — Reymont si slacciò la cintura e si sfilò il pigiama dalla testa.

— Non possono concederti cinque minuti di riposo, è vero? — esclamò Chi-Yuen.

— Dev’essere una cosa seria — le rispose Reymont. — Non parlarne con nessuno finché non mi avrai rivisto o sentito. — Con pochi rapidi gesti si era rimesso l’abito e le scarpe ed era pronto a uscire.

Telander lo stava aspettando e con lui c’era, stranamente, Nilsson. Il capitano aveva l’aspetto di uno che fosse stato colpito da un pugno allo stomaco. L’astronomo aveva un’aria eccitata ma non aveva perso interamente l’autocontrollo di cui aveva dato prova negli ultimi mesi. Stringeva convulsamente un foglio di carta coperto di scritte.

— Difficoltà di navigazione, eh? — dedusse Reymont. — Dov’è Boudreau?

— Non è direttamente interessato a quanto sto per dirle — esclamò Nilsson. — Stavo esaminando al calcolatore il significato delle osservazioni che ho potuto fare grazie agli ultimi strumenti messi a punto. Ho raggiunto una, ehm, frustrante conclusione.

Reymont afferrò con una mano una maniglia e rimase immobile, guardando i due uomini. La luce al fluoro gettava ombre sul viso incavato. Le striature grige che erano apparse da poco tempo nei suoi capelli spiccavano intensamente per contrasto. — Non possiamo andare in quel clan galattico che si trova davanti a noi — pronosticò.

— Esatto — biascicò Telander.

— No, non è propriamente esatto — esclamò Nilsson in tono pignolo. — Vi passeremo attraverso. In realtà, passeremo non soltanto attraverso quella zona in generale, ma — se sceglieremo così — attraverso un buon numero di galassie in alcune delle famiglie che costituiscono il clan.

— Lei può distinguere già tanti dettagli? — si meravigliò Reymont. — Boudreau non può farlo.

— Le ho già detto che ho una nuova apparecchiatura, i cui inconvenienti sono stati ormai tutti eliminati — disse Nilsson. — Vi ricorderete che, dopo che Ingrid mi ha impartito alcune lezioni speciali, sono diventato capace di lavorare in caduta libera con un certo grado di efficienza. La precisione dei miei dati sembra anche maggiore di quella che speravamo allorché, ehm, abbiamo deciso di attuare questo progetto. Sì, ho una mappa ragionevolmente precisa di quella parte del clan che potremmo attraversare. Su tali basi, ho calcolato quali alternative si offrono a noi.

— Arrivi al punto, dannazione! — gridò Reymont. Ma subito si dominò, inspirò profondamente e disse: — Scusatemi. Sono un po’ sovraffaticato. Per favore, continui. Non appena arriveremo in una zona in cui i propulsori abbiano una quantità di materia sufficiente da essere sfruttata, perché non possiamo frenare?

— Possiamo — rispose rapidamente Nilsson. — Lo possiamo certamente fare. Ma il nostro valore inverso di tau è immenso. Si ricordi, l’abbiamo acquistato passando attraverso le zone più dense che potessimo raggiungere nelle diverse galassie, mentre seguivamo la rotta per lo spazio compreso tra i clan stellari. Era necessario, non intendo negare la saggezza di tale decisione. Eppure, il risultato è che ora siamo limitati rispetto alle strade che possiamo prendere per intersecare lo spazio occupato da questo clan. Tali strade formano un volume conoidale abbastanza stretto, come lei può immaginare.

Reymont si mordicchiò il labbro. — E risulta che in quel cono non c’è abbastanza materia.

— Esatto. — La testa di Nilsson si chinò goffamente. — Tra le altre cose, la differenza di velocità tra noi e quelle galassie, dovuta all’espansione dello spazio, riduce l’efficacia del nostro motore Bussard più di quanto riduca il grado di decelerazione richiesto.

Stava riacquistando un tono professorale: — Nella migliore delle ipotesi, riemergeremo dall’altra parte del clan — secondo una valutazione approssimativa, dopo sei mesi del tempo dell’astronave sotto decelerazione, alla meno tre o quattro. Nessun altro importante cambiamento di velocità può essere fatto nello spazio al di là, lo spazio interclan. Perciò per noi sarebbe impossibile raggiungere un altro clan — dato quell’alto valore di tau — prima di morire di vecchiaia.

La voce pomposa si interruppe, gli occhi piccoli e lucenti lo fissarono con un’aria di aspettativa. Reymont preferì incontrare il suo sguardo piuttosto che quello depresso di Telander. — Perché ha detto tutto questo a me, e non a Lindgren?

La tenerezza che traspariva dal tono di Nilsson fece di lui, per dirla in breve, un altro uomo. — Lavora terribilmente duro. Che cosa può fare lei in questo caso? Ho pensato che fosse meglio lasciarla dormire.

— Va bene, ma che cosa posso fare io?

— Darmi… darmi… un suo consiglio — esclamò Telander.

— Ma signore, il capitano è lei!

— Abbiamo già trattato quest’argomento altre volte, Carl. Io posso, be’, sì, suppongo di poter prendere le decisioni necessarie, impartire i comandi, sistemare le cose di ordinaria amministrazione per riuscire ad aprirci un varco nello spazio. — Telander tese in avanti le mani. Tremavano come foglie in autunno. — Più di questo non posso fare, Carl. Non me ne è rimasta la forza. Lei deve dare la notizia ai nostri compagni di viaggio.

— Dire loro che abbiamo fallito? — esclamò Reymont con voce rauca. — Dire loro che, malgrado tutto ciò che abbiamo fatto, siamo condannati a volare finché non impazziremo e moriremo? Non mi chiede molto, vero, capitano?

— Le notizie potrebbero non essere così catastrofiche — disse Nilsson.

Reymont cercò di ghermirlo, non ci riuscì e rimase attaccato al suo sostegno mentre una specie di rantolo gli usciva dalla gola. — Abbiamo qualche speranza? — riuscì finalmente a dire.

Il piccolo uomo grassoccio parlò con una vivacità che tramutò la sua pedanteria in una specie di squillo di tromba:

— Forse, non ho dati attendibili. Le distanze sono troppo grandi. Non possiamo scegliere un altro particolare clan galattico e puntare verso di esso. Lo vedremmo in modo troppo inesatto e attraverso una distanza di troppi milioni di anni di tempo. Però, io credo che si possa nutrire una speranza basandoci sulle leggi del caso.