Era giusto ricordare alla gente che si recava in quel piano per divertirsi un po’, e che così non avrebbe potuto fare a meno di vedere la porta di quelle cabine, che doveva accontentarsi di fantasmagorici sostituti della realtà che si era lasciata alle spalle? Ma, dopo tutto, anche quel procedimento era una specie di ricreazione; e vederlo sullo stesso piano dell’infermeria — ed era questa la sola alternativa possibile — avrebbe potuto rivelarsi spiacevole.
Non vi fu un bisogno immediato di quell’apparecchiatura. Il viaggio era appena agli inizi e un’allegria leggermente isterica pervadeva l’atmosfera. Gli uomini discutevano, le donne chiacchieravano, all’ora dei pasti non si udivano altro che risate, e i frequenti balli diventavano occasioni di aperti corteggiamenti. Passando dalla palestra, che rimaneva sempre aperta, Reymont assistette a una partita di palla a volo. In condizioni di ridotta accelerazione di gravità, quando si può virtualmente camminare su una parete, lo sport assume un aspetto spettacolare. Il poliziotto proseguì in direzione della piscina. Costruita in una specie di alcova a lato del corridoio principale, poteva accogliere molte persone senza che ciò comportasse un eccessivo affollamento; ma a quell’ora, le nove di sera, non c’era nessuno. In piedi sul bordo Reymont vide Jane Sadler, con un’espressione tra accigliata e pensosa. La donna era canadese e svolgeva le mansioni di biotecnica nel settore organociclico. Dal punto di vista fisico era una bruna un po’ formosa, dai lineamenti ordinati ma con il resto del corpo messo in grande evidenza dai calzoncini corti e da una maglietta aderente.
— Guai? — chiese Reymont.
— Oh, salve, commissario — rispose la donna in inglese. — Nulla di male, soltanto non riesco a immaginare quale potrebbe essere la decorazione migliore per questo locale. Dovrei fornire qualche indicazione in tal senso al mio comitato.
— Non avevano deciso di creare un effetto da bagno romano antico?
— Già… Ma il campo è molto vasto. Ninfe e satiri, o boschetti di pioppi, o sagome di templi, o che altro? — Poi rise. — Al diavolo. Suggerirò di fare un po’ di tutto. Se il lavoro alla fine dovesse risultare malfatto, si può sempre ricominciare da capo, finché avremo colori a nostra disposizione. Ciò ci darà la possibilità di non restare disoccupati.
— Chi riesce a concentrarsi su uno stesso hobby per cinque anni di fila… e su altri cinque, se dovremo tornare indietro? — esclamò Reymont, lentamente.
Jane rise di nuovo. — Nessuno si affliggerà. Ognuno dei passeggeri ha un nutrito programma di lavoro già stabilito, che si tratti di una ricerca teoretica o di scrivere un romanzo sulla Grande Età Spaziale o di insegnare il greco in cambio di lezioni sul calcolo tensoriale.
— Naturalmente. Ho visto i progetti. Sono adeguati?
— Commissario, si rilassi! Le altre spedizioni ce l’hanno fatta, più o meno bene. Perché proprio noi non dovremmo riuscire? Si faccia una bella nuotata. — Il suo sorriso diventò più marcato. — E, visto che c’è, si bagni la testa.
Reymont abbozzò una pallida imitazione di sorriso, si tolse gli abiti e li appese a un attaccapanni. La donna lanciò un fischio. — Ehi — disse, — non l’avevo mai vista prima senza divisa. Ha una bella collezione di bicipiti e tricipiti e roba del genere. Fa esercizi atletici?
— Nel mio lavoro, è meglio mantenersi in forma — rispose Reymont, un po’ a disagio.
— Nelle ore libere, quando non ha niente di meglio da fare — suggerì Sadler, — venga un po’ nella mia cabina e mi insegni qualche esercizio.
— Mi piacerebbe — rispose Reymont scrutando la sua compagna da capo a piedi, — ma al momento Ingrid e io…
— Già, certo. Comunque stavo scherzando, più o meno. A quanto pare, anch’io tra breve avrò una relazione fissa.
— Davvero? E con chi, se posso chiederlo?
— Elof Nilsson. — La donna sollevò una mano. — No, non lo dica. Non è propriamente un Adone e le sue maniere non sono sempre le più dolci. Ma ha un cervello splendido, il migliore di questa astronave, ho il sospetto. Non ci si annoia mai a starlo a sentire. — Distolse lo sguardo. — Anche lui è molto solo.
Reymont rimase in silenzio per un attimo. — E tu sei molto carina, Jane — disse poi. — Ingrid sarà qui a momenti. Perché non ti unisci a noi?
La donna alzò la testa. — Perbacco, sotto quell’aspetto da poliziotto nascondi un essere umano. Non ti preoccupare, non rivelerò il tuo segreto. E non resterò neppure qui. È difficile godere di un momento d’intimità e voi due fatene buon uso, dato che lo potete avere.
Fece un segno di saluto e se ne andò. Reymont la osservò allontanarsi, poi tornò a fissare l’acqua della piscina. Era in piedi sul bordo quando arrivò Lindgren.
— Mi dispiace di essere in ritardo — disse. — Abbiamo ricevuto una comunicazione via raggi dalla Luna. Un’altra stupida richiesta di informazioni su come stavano andando le cose per noi. Sarò veramente felice quando saremo entrati nel Profondo Oceano. — Lo baciò. Egli la ricambiò appena. Ingrìd fece un passo indietro, con il volto rannuvolato. — Che cosa c’è, caro?
— Credi che io sia troppo freddo e riservato? — le domandò Reymont.
Per un momento la donna non rispose. La luce al fluoro risplendeva sui suoi capelli fulvi, l’aria emessa da un ventilatore glieli arruffava un po’, il rumore della partita a palla arrivava a loro dall’arco d’ingresso della piscina. Alla fine la donna disse: — Perché te lo chiedi?
— Un’osservazione che mi è stata fatta. Senza cattive intenzioni, ma ciò nonostante per me è stato un leggero colpo.
Lindgren si accigliò. — Te l’ho già detto altre volte, hai avuto la mano un po’ più dura di quanto mi sarebbe piaciuto, le poche volte in cui hai dovuto costringere qualcuno a conformarsi alle regole. A bordo non c’è nessuno che possa dirsi pazzo, simulatore o sabotatore.
— Non avrei dovuto dire a Norbert Williams di tacere l’altro giorno, quando ha cominciato a inveire contro gli svedesi, mentre eravamo a mensa? Fatti del genere possono avere un risultato abbastanza spiacevole. — Reymont picchiò un pugno chiuso nel palmo dell’altra mano. — Lo so — disse. — La disciplina di tipo militare non è necessaria né desiderabile… per ora. Ma io ho visto troppa gente morire, Ingrid. Verrà il momento in cui non sopravviveremo a meno che noi non si sia capaci di agire come una persona sola e saltare al primo comando.
— Be’, probabilmente su Beta Tre — ammise Lindgren. — Sebbene i robot non abbiano trasmesso dati che facciano supporre l’esistenza di una vita intelligente. Al massimo, potremmo imbatterci in selvaggi armati di lancia… che probabilmente non ci sarebbero ostili.
— Io stavo pensando a eventualità quali bufere, smottamenti, malattie, Dio solo sa cos’altro su un intero mondo che non è la Terra. O un disastro prima di arrivare laggiù. Io non sono convinto che gli uomini moderni conoscano tutto dell’universo.
— Troppe volte ci siamo occupati di questo problema.
— Sì. È vecchio come il volo spaziale; anche più vecchio. Ciò non lo rende meno reale. — Reymont brancolò in cerca delle parole. — Ciò che sto tentando di dire è… Non ne sono sicuro. Questa situazione è diversa da qualunque altra in cui io mi sia mai trovato. Sto cercando di… in un certo senso… mantenere viva una certa idea dell’autorità. Al di là della semplice obbedienza alle regole e ai rappresentanti di tale autorità. Un’autorità che abbia il diritto di comandare qualsiasi cosa, di costringere un uomo alla morte, se questo è necessario per la salvezza degli altri… — Fissò il suo volto sconcertato. — No — sospirò, — tu non capisci. Non puoi. Il tuo mondo è sempre stato improntato alla bontà.