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La voce piatta rispose: — Registrato. Procedere con la correzione.

Adesso sarebbe stato tutto automatico. THX lo sapeva. Le riprocliniche aggiornavano sempre i loro schedari. Se fosse riuscito a cambiare ora lo schedario di LUH, nessuno sarebbe andato a controllare per anni e anni. E allora il pericolo sarebbe ormai passato, nessuno si sarebbe ricordato. A nessuno sarebbe importato. E la bambina sarebbe stata salva.

Cercando sempre di dominare l’emozione, THX disse: — Attuale schedario sbagliato per errore dovuto a programmazione difettosa nella Riproclinica dodici. Cancellate lo schedario attuale e correggete così: «LUH trentaquattro diciassette. Naturale. Cittadina con pieni diritti. Condizione Normale».

Le parole sullo schermo scomparvero e furono sostituite dalla frase che aveva appena dettato.

— Correzione schedario completata — disse il computer.

THX annuì. — Completata.

«Ora non importa. Mi prenderanno, ma non prenderanno lei.»

Disattivò microfono e cuffia, li lasciò cadere in terra e si abbandonò sulla sedia. Poi pensò:

«Lei? Potrebbe essere un maschio.»

— Dobbiamo provare a uscire di qua — gli disse SRT.

THX si strinse nelle spalle.

— Almeno provare.

— Vai tu — disse THX. — Salvati. È me che cercano.

SRT lo scrutò da vicino. — Non vuoi vivere?

— Non me ne importa. Adesso non più.

— Hmm. Sei proprio come quegli embrioni là dentro le bottiglie. Non hai mai vissuto. Sei vivo, ma non hai mai vissuto.

THX disse: — Non importa.

Come per risposta, la voce forte e calma di un robot disse, di là dalla porta:

— Non avete da temere niente. State calmi e cooperate con le autorità. Tutto andrà bene.

21

SRT guardò prima THX, poi la porta. Era chiusa. D’impulso, THX prese la sedia e la poggiò contro la porta, cercando di incastrarla in modo che stesse ferma.

SRT sogghignò. — Dicevi che non importa, eh?

La porta si scosse leggermente, ma la sedia la tenne chiusa.

— Credo che m’importi — disse THX, meravigliandosi di sentirsi parlare così. — Che m’importi ancora.

La voce del robot, tranquilla e impassibile, da perfetto servitore dello Stato, disse: — State calmi. Sembra che la porta sia inceppata. Per favore controllate la serratura dalla vostra parte. Non vi faremo del male. Andrà tutto bene.

Sentirono un debole ronzio, poi l’odore acre di qualcosa che bruciava. Proprio sotto la serratura apparve una macchiolina incandescente.

«Non vogliono farci del male!»

THX si girò di scatto e andò alla cuffia. La attivò, assieme al microfono.

— Emergenza! — gridò. — Emergenza! Incendio alla Stazione DBR ventisei diciotto, Riproclinica dodici. Ripeto. Emergenza. Incendio alla Stazione DBR due sei uno otto. Riproclinica dodici. Priorità assoluta. Situazione rossa!

Si girò verso SRT. — Preparati a correre.

L’altoparlante blaterò:

— Emergenza! Emergenza! Ascoltate! Ascoltate! Incendio alla stazione DBR due sei uno otto, Riproclinica dodici. Interrompete tutte le operazioni finché…

— Adesso! — urlò THX.

SRT sbatté via la sedia, THX spalancò la porta, e tutti e due si precipitarono fuori, aggirando i poliziotti che erano intenti ad ascoltare imbambolati le istruzioni. Prima che i robot potessero reagire, i due uomini erano già fuori della clinica, in corsa trafelata lungo un corridoio principale.

— Andiamo su, alle fabbriche! — disse ansimante THX, — Là c’è più gente, ed è più facile nascondersi…

Il Controllore era proprio fuori di sé. Ingoiò un altro sedativo e ascoltò i rapporti.

— Totale dell’unità monetaria: cinquemila, in aumento. Le spese per THX uno uno tre otto hanno appena superato il budget primitivo.

— Li avete visti? Devono essere da qualche parte nel corridoio tre L settantatré.

— L’analisi indica che sono diretti al livello successivo. Forse vogliono arrivare alla struttura superficiale.

Sullo schermo gigante del Controllore apparve il capo della polizia del Controllo. Con la sua faccia gonfia e i piccoli occhi tondi somigliava quasi al leggendario Primo Controllore. Ma aveva un’aria eccitata e ansiosa.

— Li avevamo quasi in mano — disse al Controllore. Avere la parola per primi, in un colloquio col Controllore, era un privilegio di pochi.

— Sono stati molto in gamba. — Il Controllore manteneva un’apparenza calma solo a costo di grande autocontrollo. — Ma è facile pensare che con una città piena di robopoliziotti, di osservatori, di olocamere nei posti più impensati, eccetera, sia piuttosto elementare catturare due semplici fuggitivi.

— Abbiamo preso SEN cinque due quattro uno — disse il capo della polizia in tono difensivo.

— Ma sono gli altri due che mi interessano — disse il Controllore. — Bisogna prenderli! È antieconomico che rimangano liberi. Le spese per la loro cattura stanno già sbilanciando le previsioni economiche del mese! Se non li prendete subito le previsioni di tutto quanto l’anno dovranno esser rifatte!

Il capo della polizia impallidì. Era raro che il Controllore alzasse la voce e mostrasse di essere arrabbiato. Il capo si sentì tremare.

— Ci stiamo provando. Questo è stato un test severo per le nostre attrezzature e per i nostri piani di azione. Nel mio, ehm, ultimo rapporto annuale ho sottolineato che occorrerebbe un tipo di robot perfezionato. I nostri attuali Mark XV sono troppo lenti per tener testa a un maschio adulto pieno di adrenalina. Poi ci vorrebbero armi adatte alle lunghe distanze. Le sbarre elettriche non vanno bene quando chi scappa si trova con mezzo corridoio di vantaggio.

Tenendosi la testa fra le mani, il Controllore ringhiò: — Trovateli e consegnateli alla giustizia. In fretta!

THX e SRT salirono per un altro pozzo delle scale, diretti al secondo livello. Sotto di loro sentivano voci echeggiare:

— Sì li sentiamo. Tentare localizzazione acustica.

— Collegatemi col Coordinamento del Controllo, operazione uno uno tre otto, prefisso THX.

— Totale dell’unità monetaria: cinquemila settecento cinquanta, in aumento.

Questa volta il corridoio in cui affiorarono era pieno di persone. Non i pazzi frenetici dei livelli acquisti, ma i seri, tranquilli operai della fabbrica, che avevano appena fatto un turno di quattro ore ed erano diretti stancamente a casa.

Gli operai uscivano da enormi porte nel corridoio e si trascinavano di malavoglia verso il terminal dei trasporti, a qualche centinaio di metri dal portello del pozzo da cui erano usciti THX e SRT.

THX vide il terminal. Una lunga fila di tram, che uno alla volta si riempivano di operai disciplinati. Partivano a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro, col motore elettrico che ronzava. Uomini e donne, sulla piattaforma, si tiravano indietro ogni volta che il tram partiva veloce per perdersi quasi subito in lontananza.

Nonostante fossero tranquilli e sotto l’effetto dei sedativi, gli operai, per il fatto stesso di essere tanti, producevano una notevole confusione di voci e suoni. THX fu abbastanza colpito da quel rumore, dopo la quiete della clinica.

Ma stare in mezzo alla folla significava mimetizzarsi, trovare protezione e sicurezza. THX e SRT si lasciarono trasportare dalla gente fino ai tram.

Per una frazione di secondo, mentre salivano sul tram, THX si ricordò del suo ultimo viaggio in tram, e all’improvviso non si sentì più al sicuro. Avrebbe voluto tornare indietro, uscire, ma era troppo tardi. Erano spinti da tutte le parti dalla gente.

Non c’era posto a sedere, naturalmente. Rimasero in piedi, schiacciati contro le altre persone, mentre il tram accelerava velocemente, finché, all’esterno, il tunnel diventò una sola macchia indistinta.