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Lui le strinse la mano. «E lei sapeva che mi sarei messo a strillare se avesse spento le luci?»

«Sì,» disse lei. «L’anno scorso ho fatto dei test per l’udito proprio qui, e i ragazzi della terza si divertivano molto a spegnere le luci mentre uscivano.» Sorrise. «Ho strillato a lungo.» Aveva un sorriso dolce.

«Per un attimo ho pensato che fossi stato io a far saltare la corrente,» disse lui indicando il groviglio di cavi. «Lei ci crede che in tutta la sala c’è un’unica presa?»

«Sì,» disse lei. Lo guardò mentre collegava l’analizzatore a spettro al cavo di alimentazione. «Forse sarebbe una buona idea se domani portassi una torcia, solo nel caso che bruciassimo un fusibile.»

«O una lampada da minatore,» disse lui, dando un’occhiata al retro dell’analizzatore. «Quando ha spento le luci qui è diventato buio pesto.»

«“Buio come un pozzo da polo a polo”,» disse lei.

Andrew la fissò.

«Io la conosco,» disse.

«Eh?» disse lei, socchiudendo gli occhi come si fa quando si cerca di decidere se una persona ha un’aria familiare o no.

«È mai stata alla Duke University?»

«No,» rispose lei, guardinga.

«E immagino che di recente non sia stata in Tibet.»

«No,» disse lei, ancora più guardinga, e Andrew si rese conto tutto a un tratto di come doveva suonare tutto ciò, specialmente laggiù, nel buco nero di Calcutta.

«Mi scusi,» disse. «Non vorrei che pensasse che volevo attaccare bottone. Lei deve ricordarmi qualcuno,» aggiunse, aggrottando la fronte.

Era una menzogna. Non gli ricordava nessuno. Era certissimo di non averla mai vista prima, ma per una frazione di secondo, quando lei aveva detto “buio come un pozzo da polo a polo”, avrebbe giurato di conoscerla già.

Carolyn aveva ancora l’aria guardinga. Lui disse. «Ciò che mi serve da lei è che mi aiuti a sistemare questa attrezzatura in modo che possiamo muoverci. Se riusciamo a spostare quello,» e indicò il convertitore di risonanza, «accanto alla lavagna, poi vediamo di togliere di mezzo le sedie…»

«Certo,» disse lei, infilandosi fra l’oscilloscopio e il magnetometro per dargli una mano. Insieme sollevarono il convertitore di risonanza, lo trascinarono accanto alla lavagna e lo posarono a terra. «Se non ne ha bisogno, possiamo portare un po’ di queste sedie fuori dalla sala,» disse lei. «Possiamo metterle nel ripostiglio.»

«Grande,» disse lui.

«Vado a farmi dare la chiave dal portiere,» disse lei. Fece per sollevare una delle sedie, e invece la rovesciò.

«Io…» disse Andrew, inciampando sulla sedia.

Carolyn raccolse la sedia e lo guardò con aria interrogativa.

«Lasciamone un paio per noi,» disse lui con voce fiacca. «E una per il bambino che sottoporremo ai test. E magari sarà meglio lasciarne altre due per il dottor Young e la dottoressa Lejeune, nel caso vogliano assistere. Lasci cinque sedie.»

«D’accordo,» disse lei e si allontanò.

«Io la conosco,» disse Andrew, seguendola con lo sguardo. «Io la conosco.»

La dottoressa Lejeune passò mezza giornata a mettere insieme i componenti del computer e il resto a cercare il dottor Young.

«Ma l’ha visto quel ripostiglio per scope che chiamate aula di musica?» domandò quando lui finalmente fece ritorno. «È più piccola della mia borsa. Ci sono andata stamattina, e quei due quasi non riuscivano a muoversi, figuriamoci farci entrare dei bambini.»

«Perfetto,» disse il dottor Young.

«Perfetto?» disse la dottoressa Lejeune, dubbiosa. Secondo lui, Carolyn Hendricks era perfetta. E a pensarci bene, aveva detto lo stesso di Andrew. «È perfetto,» aveva detto. «Ha quarantadue anni e ha passato gli ultimi cinque in un monastero tibetano.»

«Perché è perfetto?» chiese la dottoressa Lejeune.

«Parlavo di come ha sistemato il computer,» disse il dottor Young. «Sapevo che l’asilo era il posto dove avrebbe lavorato alla perfezione.»

«Be’, non l’aula di musica.»

«Sì, lo so,» disse, scuotendo tristemente la testa calva. «Ho tentato di farmi dare la biblioteca, ma il signor Paprocki ha detto che era occupata per la settimana della prevenzione degli incendi. Forse quando sarà finita potremo spostarci.» disse, e se ne andò prima che gli si potesse chiedere altro.

Lei salì in ufficio. «C’è il signor Paprocki?» chiese a Sherri, che stava piegando in due una pila di fogli arancioni, uno alla volta.

«È in giardino. Brendan James ha fatto a botte con qualcuno. Oggi è la terza volta. Sua madre è scappata con Lasciatevi Stupire.»

La dottoressa Lejeune raccolse uno dei fogli piegati e lo aprì. C’era scritto, “ATTENTI, GENITORI: È ARRIVATA LA VARICELLA!” La dottoressa Lejeune lo ripiegò. «Lasciatevi Stupire?» disse.

«Sì, lo sa, ti dice che colori ti stanno bene addosso in base alle tonalità della pelle. E poi scappa con te, almeno se sei la madre di Brendan James. A me ha solo detto di comprarmi vestiti color fucsia.»

La dottoressa Lejeune prese un po’ di fogli arancioni e cominciò a piegarli.

«In effetti, la cosa non mi ha sorpreso affatto. C’era un articolo sul Woman’s Day che parlava delle Crisi da Scimmia. Sa, quel periodo del matrimonio quando ti senti solo una bestia da soma. Solo la settimana prima aveva portato il pranzo a Brendan, che l’aveva dimenticato a casa, e mi aveva detto che ormai il marito si accorgeva di lei solo quando non trovava più le chiavi di casa. Però mi fa rabbia. Voglio dire. Lasciatevi Stupire era quasi l’unico scapolo rimasto in città.»

«È sposato il signor Paprocki?» chiese la dottoressa Lejeune, piegando i volantini.

«Il Vecchio Scartafaccio?» replicò Sherri, sorpresa. Piegò l’ultimo foglio che aveva ed estrasse timbro e tampone dal cassetto della scrivania. «Sposato? Vuole scherzare? Non alza mai gli occhi dai suoi moduli in triplice copia abbastanza a lungo per notare che sei una donna, figuriamoci se ti si sposa!» Passò il timbro due o tre volte nel tampone e lo sbatté sul volantino. Era una faccina sorridente. Passò al successivo. «E il dottor Simons? Immagino che sia troppo bello per non essere sposato.»

«No,» disse la dottoressa Lejeune, pensando a qualcun altro. «Ha passato gli ultimi cinque anni in un monastero tibetano.»

«Sta scherzando!» disse Sherri. «È perfetto!»

La dottoressa Lejeune socchiuse gli occhi. «Perché dice così?»

«Be’, perché probabilmente é disperato. Io lo sarei dopo cinque anni senza sesso,» disse, continuando a timbrare. «Ma che dico? Io sono disperata dopo cinque anni senza sesso. Da quel punto di vista, scommetto che può prenderselo la prima che passa.»

«Verrò a cercare il signor Paprocki più tardi,» disse la dottoressa Lejeune, passando a Sherri la pila di fogli piegati. «Gli dica solo che gli vorrei parlare a proposito dell’aula di musica.»

«Che problema c’è?»

«È troppo piccola. C’è tutta l’attrezzatura là dentro e quasi non ci si riesce a muovere. Mi chiedevo se non ci fosse qualche altra stanza disponibile.»

«Me l’ha chiesto Carolyn Hendricks stamattina, e io ho domandato al Vecchio… al signor Paprocki. Ha risposto che sapeva che era troppo piccola e aveva proposto al dottor Young di spostarsi in biblioteca, ma quello aveva insistito nel rimanere laggiù. Ha detto che era perfetta per le sue esigenze.»

Mentre Carolyn aspettava Wendy dall’ortodontista, tolse la grappetta dal volantino arancione che aveva ricevuto da Sherri prima di uscire e lo lesse.

“ATTENTI, GENITORI: È ARRIVATA LA VARICELLA!” c’era scritto in lettere maiuscole. C’erano dei sottotitoli: State all’erta, Preparatevi e Informatevi, ognuna con un simpatico disegnino di un’ape accanto. “State all’erta. Dall’inizio dell’anno scolastico sono stati segnalati sedici casi nel nostro Stato, di cui due a Henley, ma finora non ce n’è stato nessuno nelle scuole.”