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Cirocco penzolava sulla poltroncina, tenuta ferma solo dalla cintura. Le passò davanti agli occhi una bombola d’ossigeno. Il vetro della finestra si ruppe; frammenti argentei si misero a volteggiare davanti a lei. Nel modulo di comando, tutto quello che non era fissato volò nell’enorme bocca che fino a poco prima era la finestra panoramica sullo spazio.

Il sangue le pulsava alle tempie. Sotto di lei c’era un gigantesco pozzo nero senza fondo. Oggetti mastodontici volteggiavano pigramente nel chiarore del Sole. Fra gli altri il motore del modulo di discesa del Ringmaster, che non avrebbe dovuto affatto trovarsi lì. Stava andando tutto in pezzi; qualcosa stava distruggendo la sua nave.

— Oh, merda — disse, e di colpo ricordò vividamente la registrazione della conversazione di un pilota di linea con la torre di controllo. Quella era stata l’ultima parola che il pilota aveva mormorato pochi attimi prima dell’impatto, quando lui ormai sapeva che sarebbe morto. Anche lei lo sapeva, e il pensiero la disgustava.

Terrorizzata, restò a guardare quei tentacoli alieni che si protendevano sui motori. Un serbatoio di carburante si ruppe in silenzio. Il suo mondo stava morendo senza un solo urlo. Una nube di gas compresso si disperse subito, e la cosa coi tentacoli parve non accorgersene nemmeno.

Altri tentacoli stringevano altre parti della nave. L’antenna ad alto rendimento sembrò fluttuare via, si muoveva con estrema lentezza mentre colpiva il pavimento sotto lei.

— È vivo — sussurrò Cirocco. — È vivo.

— Cos’hai detto? — Bill cercava di reggersi in equilibrio puntando le mani sul pannello di comando. Era ancora legato alla poltroncina, ma le viti che la fissavano al pavimento erano saltate.

La nave sussultò di nuovo, la poltroncina di Cirocco venne divelta. Lo spigolo del pannello la colpì alle cosce. Lei urlò, cercando di liberarsi.

— Rocky, sta andando tutto in pezzi. — Non era sicura di chi avesse parlato, ma la paura la contagiò. Si spinse all’indietro, riuscì a slacciare la cintura con una mano mentre con l’altra si teneva lontana dal pannello. Rotolò di fianco. La poltroncina venne risucchiata fuori, nello spazio.

Pensava di avere le gambe rotte, ma scoprì di riuscire a muoverle. Con tutte le energie che le restavano tentò di togliere Bill dalla poltroncina. Troppo tardi; aveva gli occhi chiusi, e la fronte e l’interno del casco erano sporchi di sangue. Il corpo di Bill cominciò a scivolare sul pannello di comando. Lei cercò di afferrarlo alla coscia, al polpaccio, allo stivale, ma lui continuò a cadere, in quella tempesta di vetro.

Quando rinvenne, Cirocco si trovò acquattata sotto il pannello. Non riusciva a ricordare come mai fosse finita lì. Però adesso la spinta della decelerazione non era più tanto forte: Temi era riuscito a portare il Ringmaster, o meglio quello che ne restava, alla propria velocità di rotazione.

Nessuno parlava. L’altoparlante del casco le trasmetteva un uragano di respiri, ma nemmeno una parola. Non c’era niente da dire: urla e bestemmie li avevano esauriti. Si alzò in piedi, afferrò l’orlo del boccaporto sopra la sua testa e si avventurò nel caos.

L’illuminazione non funzionava, ma da un ampio squarcio sulla parete del modulo filtrava la luce del Sole.

Cirocco avanzò fra i detriti finché incontrò una figura in tuta. La testa le faceva un male terribile; un occhio si rifiutava di aprirsi.

I danni erano enormi. Ci sarebbe voluto parecchio tempo per ripulire tutto e rimettere la nave in attività.

— Voglio un rapporto completo sui danni dai vari reparti — disse, a nessuno in particolare. — Il Ringmaster non è stato progettato per un trattamento del genere.

Solo tre figure erano in piedi. Qualcuno, inginocchiato in un angolo, stringeva la mano di un compagno sepolto sotto le macerie.

— Non riesco a muovere le gambe. Non ci riesco.

— Chi ha parlato? — urlò Cirocco. Scuotere la testa servì solo a peggiorare il dolore. — Calvin, occupati dei feriti. Io vedo cosa si può fare per la nave.

— Sì, capitano.

Nessuno si mosse, e Cirocco si chiese perché. Stavano tutti guardando lei. Perché?

— Se avete bisogno di me mi trovate in cabina. Non… non mi sento molto bene.

Una delle figure in tuta le si avvicinò. Cirocco, per evitarla, andò a sbattere con il piede contro qualcosa.

— Sta arrivando. È lì. Vedi? Adesso vuole prendere noi.

— Dove?

— Non vedo niente. Oh, Dio. Lo vedo.

— Chi ha parlato? Voglio silenzio su questo canale!

— Attenta! È dietro di te!

— Chi ha parlato? — La faccia le si imperlò di sudore. C’era qualcosa che strisciava alle sue spalle, lo sentiva, ed era una di quelle cose che si insinuano in camera da letto quando le luci sono spente. Non un topo; qualcosa di peggio, qualcosa senza volto, un ammasso di putredine con mani fredde, micidiali, artigliate. Cirocco brancolò in quel buio rossastro, vide un serpente agitarsi davanti a lei, illuminato dal Sole.

C’era tanto silenzio. Perché non si sentiva nemmeno un rumore?

Le sue mani si serrarono su qualcosa di duro. Lo alzò in alto e cominciò a colpire la cosa che si avvicinava.

Ma non moriva. Qualcosa le si avvolse attorno alla vita e cominciò a stringere.

Le figure in tuta si misero a correre nello spazio ristretto, ma i tentacoli le afferrarono tutte, implacabilmente. C’erano tentacoli in ogni angolo. Qualcosa stringeva Cirocco per le gambe, tentava di squarciare il suo corpo. Sentì un dolore che in vita sua non aveva mai provato, ma continuò a colpire e colpire finché non scivolò nell’incoscienza.

4

Non c’era luce.

Persino quel frammento d’informazione negativa era qualcosa cui aggrapparsi. Capire che quell’oscurità totale risultava dall’assenza di una cosa chiamata luce le era costato moltissimo, come ricordare che il tempo era fatto di momenti l’uno consecutivo all’altro, come i grani d’un rosario. E ora quei grani le sfuggivano tra le dita. E si assemblavano in una parodia di casualità.

Per tutto è necessario un contesto. Perché l’oscurità significhi qualcosa bisogna possedere il ricordo della luce. E quel ricordo stava scomparendo.

Conm’era già successo, come sarebbe successo ancora. A volte appariva un nome per identificare la consapevolezza disincarnata. Più spesso, c’era solo la coscienza.

Si trovava nel ventre della bestia.

(Quale bestia?)

L’avrebbe ricordato. I ricordi tornano sempre, se si aspetta il tempo necessario. E aspettare era facile. Lì, i millenni non valevano più dei secondi. L’edificio stratificato del tempo era in rovina.

Si chiamava Cirocco.

(Cos’è un Cirocco?)

"Ci-ro-cco. Ricorda un vento caldo del deserto, e anche un vecchio modello della Volkswagen. Mamma, non m’ha mai detto cos’aveva in testa in quel momento." Quella era la sua risposta abituale. S’accorse che la stava ripetendo, anche se avvertiva la forma d’intangibili labbra che ripetevano quelle parole per esse senza senso.

"Chiamami capitano Jones." (Capitano di cosa?)

"Del VSP Ringmaster. VSP significa Vascello Spazio Profondo. Diretto a Saturno con sette persone a bordo. Fra cui Gaby Plauget…"

(Chi è…)

"… e… un altro era… Bill."

(Cos’è quest’altro nome?) L’aveva sulla punta della lingua. La lingua è un pezzo di carne morbida che si trova nella bocca, che è…

Un momento fa lo sapeva, ma cos’è un momento?

Qualcosa che ha a che fare con la luce. Qualunque cosa questa sia.

Non c’era alcuna luce. Ma non era già stata lì? Ma sì, certo, ma non ci pensava, fermati un poco, non lasciare che i pensieri sfuggano. Non c’era luce, non c’era nient’altro. Già, ma cosa vuol dire nient’altro?