— Come credi che sia potuto arrivare così velocemente?
— Non so — gridò Gaby. — Un riscaldamento o un raffreddamento a livello locale, un cambiamento enorme nella pressione atmosferica. Però non capisco da cosa dipenda.
— Credo che il peggio sia passato. Ehi, stai battendo i denti.
— Sì, ma non ho più paura. Ho freddo.
Se n’era accorta anche Cirocco. La temperatura era scesa all’improvviso. Ormai dovevano essere a pochi gradi sopra zero. Si strinsero l’una all’altra, ma sembrava loro che il calore venisse succhiato via dalla schiena.
— Dobbiamo rifugiarci da qualche parte — urlò.
— Sì, ma dove?
Nessuna delle due voleva spostarsi da lì. Cercarono di coprirsi di terriccio e di foglie, ma il vento portò via tutto.
Quando ormai erano sicure che sarebbero morte congelate, il vento si fermò. Non diminuì; scomparve di colpo. Cirocco dovette spalancare e richiudere la bocca per riacquistare l’udito.
— Accidenti, che cambiamento di pressione. Mai sentito nulla di simile.
La foresta era di nuovo immersa nel silenzio. Poi Cirocco scoprì che riusciva ancora a percepire il fantasma di quel gemito spaventoso. Rabbrividì, e non per il freddo. Non aveva mai pensato a se stessa come a una donna con troppa immaginazione, ma quel gemito sembrava così umano, anche se su scala gigantesca. Faceva venire voglia di stendersi a terra e lasciarsi morire.
— Non addormentarti, Rocky. C’è qualcos’altro.
— Cosa? — Cirocco aprì gli occhi e vide un’impalpabile polvere bianca che cadeva dall’aria. Luccicava sotto quella pallida luce.
— Direi che è neve.
Si misero a correre più in fratta che potevano per impedire ai piedi di congelarsi; Cirocco era consapevole che era l’aria molto sottile che li salvava. Faceva freddo, e tanto per cambiare, anche il suolo era freddo. A Cirocco sembrava d’essere stata anestetizzata. Non poteva essere possibile. Lei era il Comandante di un’astronave: come sarebbe finita a correre a quel modo, nuda sotto una tempesta di neve?
Ma la nevicata durò poco. A un certo punto ce n’erano alcuni centimetri a coprire il terreno, poi entrò in funzione il riscaldamento sotterraneo e si sciolse velocemente. Ben presto l’aria tornò a scaldarsi. Finalmente trovarono un posto sicuro nel terreno tornato caldo e s’addormentarono di colpo.
Quando si svegliarono, la carne e la cintura di Gaby puzzavano. Buttarono via tutto e si lavarono nel fiume; poi Gaby uccise un altro degli animali che ormai chiamavano "sorrisoni".
Cominciarono a sentirsi meglio dopo una colazione arricchita da alcuni dei frutti meno esotici che si trovavano in grandi quantità. A Cirocco ne piacque uno che somigliava a una pera ma che mangiò come si mangia un melone. Aveva un sapore che ricordava il formaggio.
Adesso Cirocco si sentiva in forma. Avrebbe potuto affrontare un giorno intero di marcia, ma la cosa si dimostrò impossibile. Il torrente che le aveva guidate sino ad allora scompariva in una grande voragine alla base di una collina.
Restarono a guardare lo specchio d’acqua, perplesse. Il rumore che usciva dalla voragine sembrava quello dello scarico di una vasca da bagno, alternato a gorgoglii improvvisi. Cirocco si tirò indietro, preoccupata.
— Io sarò matta — disse — ma non può darsi che la cosa che ci ha ingoiate si rifornisca di acqua qui?
— Può darsi. Certo non mi tufferò per scoprirlo. E adesso cosa facciamo?
— Vorrei saperlo.
— Potremmo tornare da dove abbiamo cominciato a guardarci attorno. — Gaby non sembrava entusiasta all’idea.
— Accidenti, speravo proprio di trovare un buon punto d’osservazione. Credi che Temi sia tutto una foresta come questa?
— Non ho informazioni a sufficienza, è ovvio — rispose Gaby.
Cirocco meditò un attimo su quella frase. A quanto pareva, Gaby era disposta a lasciar decidere a lei.
— Va bene. Per prima cosa saliamo in cima a questa collina e diamo un’occhiata in giro. Se non troviamo niente d’interessante, vorrei provare ad arrampicarmi su uno degli alberi. Forse dall’alto di una cima riusciremo a vedere qualcosa. Con una gravità così leggera non dovrebbe essere difficile.
Gaby osservò attentamente un tronco. — Sono d’accordo per la gravità. Ma questo non ci garantisce che saremo in grado di riuscire a guardare al di sopra delle cime.
— Lo so. Cominciamo a salire la collina.
Il fianco della collina era alquanto scosceso. In certi punti dovettero usare mani e piedi. Fece strada Gaby, che aveva più esperienza di arrampicate in montagna. Era agile, molto più piccola e snella di Cirocco. Dopo un po’, Cirocco sentiva tutto il peso della differenza d’età.
— Signore santissimo, vieni a vedere!
— Cosa c’è?
Cirocco si trovava indietro di alcuni metri. Quando alzò lo sguardo scorse solo le gambe e le natiche di Gaby da un punto di vista alquanto insolito. Quant’è strano, pensò, aver visto nudi tutti gli uomini dell’equipaggio e dover venire su Temi per vedere Gaby. Che strana creatura sembrava, così senza peli né capelli.
— Abbiamo trovato il punto panoramico che cercavamo — disse Gaby, girandosi a darle una mano.
In cima alla collina crescevano alberi, ma erano molto più piccoli degli altri. Per quanto ricchi di fogliame e di rampicanti che si intrecciavano, non superavano i dieci metri d’altezza.
Cirocco aveva voluto scalare la collina per vedere cosa c’era sull’altro lato. Adesso lo sapeva: non esisteva un altro lato.
Gaby era ferma a qualche metro dall’orlo di un precipizio. A ogni passo la visuale di Cirocco migliorava, abbracciando nuovi spazi. Quando arrivò a fianco di Gaby non riusciva ancora a vedere la parete del precipizio, ma aveva un’idea approssimativa della sua altezza. Erano chilometri di roccia. Il suo stomaco si contrasse.
Erano affacciate a una finestra naturale, formata da un vuoto di venti metri fra gli alberi. Davanti a loro non c’era niente, solo duecento chilometri d’aria.
Si trovavano sul margine esterno di Temi. Davanti a loro, lontana, un’ombra affilata che poteva essere un precipizio simile a quello su cui si trovavano loro. Sull’ombra si vedeva un terreno verde che diventava gradualmente bianco, poi grigio e finalmente giallo acceso, incurvandosi verso la zona traslucida della volta.
Gli occhi di Cirocco tornarono al precipizio lontano. Sotto c’era altra terra verde, con nubi bianche sospese sopra il suolo o alte nel cielo. Sembrava di stare in cima a una montagna della Terra, tranne che per un particolare: il terreno sembrava piano finché non guardava a destra o a sinistra.
Allora s’incurvava. Cirocco deglutì, piegò il collo, si spostò. Era incredibile vedere che il terreno, in lontananza, era più alto del punto in cui si trovava lei senza avere la minima pendenza.
Si gettò a quattro zampe, per sentirsi più sicura, poi si avvicinò un po’ di più all’orlo dell’abisso e guardò verso sinistra. Lontana, una terra d’ombre sembrava piegata di fianco su se stessa. Un mare nero brillava nella notte, un mare che sembrava sempre sul punto di precipitarle addosso. Oltre il mare c’era un’altra zona di luce come quella che aveva davanti. Era impossibile spingersi oltre con lo sguardo: la visuale era bloccata dalla volta, che sembrava scendere fino a congiungersi con la terra. Ovviamente era un’illusione prospettica; la volta aveva la stessa altezza in ogni punto di Temi.
Si trovavano al limite di una delle zone di luce continua. Alla sua destra, la linea di confine tra giorno e notte tagliava in due il terreno. Non era una linea netta, decisa; c’era una zona di crepuscolo ampia trenta-quaranta chilometri. Oltre quella zona c’era la notte, ma non le tenebre. Un mare enorme, grande due volte quello che aveva a sinistra, brillava come illuminato dal chiarore lunare. Sembrava un mare di diamanti.