— I titanidi?
Calvin sorrise, incerto, allargò la mani. — È il termine che uso per tradurre uno dei suoi fischi. Non so bene come siano fatti, perché non riesco a seguire le descrizioni complesse. Dovrebbero avere sei zampe ed essere solo di sesso femminile. Le chiamo titanidi perché è così che i greci chiamavano le femmine dei Titani. Ho dato un nome anche ad altre cose, sai? Le regioni, i fiumi, le montagne. Mi sono servito dei nomi dei Titani.
— Come? Ah, già, ricordo. — L’hobby di Calvin era la mitologia. — E chi erano questi Titani?
— I figli e le figlie di Urano e Gea. Gea apparve dal Caos. Generò Urano, lo rese suo simile, e poi generarono assieme i Titani, sei maschi e sei femmine. Dato che qui ci sono sei zone di luce e sei zone di buio, ho usato i nomi dei Titani.
Calvin sorrise. — Ho dato i nomi un po’ a caso, sai. Prendi il mare ghiacciato, ad esempio. Mi è sembrato giusto chiamarlo Oceano. La terra che stiamo sorvolando ora è Iperione, e la zona notturna che abbiamo di fronte, quella con le montagne e il mare irregolare, è Rea. Se guardi Rea da Iperione, hai il nord a sinistra e il sud a destra. Non ho mai visto tutte le terre, però so che esistono; e le ho chiamate, procedendo in cerchio da Iperione, Crio, Febe, Teti, Tia, Meti, Dione, Giapeto, Crono e Mnemosime. Mnemosine si vede anche da qui, oltre Oceano. Sembra un deserto.
Cirocco si sforzò di ficcarsi in testa quei nomi. — Non li ricorderò mai tutti — disse infine.
— Gli unici che importano in questo momento sono Oceano, Iperione e Rea. Anzi, non ho usato tutti e dodici i nomi dei Titani. Temi era un Titano, e avrebbe creato confusione. Poi… — Un sorriso timido. — Ho dimenticato due nomi. Così ho usato Meti, che significa sapienza, e Dione.
A suo modo, era una terminologia sistematica. — E i fiumi? Ancora mitologia?
— Sì. Ho scelto i nove fiumi maggiori di Iperione, che ne ha moltissimi, come puoi vedere, e ho dato loro i nomi delle Muse. Laggiù a sud ci sono Urania, Calliope, Tersicore ed Euterpe. Polimnia si trova nella zona di confine fra giorno e notte e sfocia a Rea. A nord scorre Melpomene. Più vicini a noi sono Talia ed Erato, che credo formino un unico sistema idrico. E il torrente che avete seguito voi è un affluente di Clio, che è esattamente sotto di noi.
Cirocco guardò giù. Vide una striscia blu che correva in mezzo alla foresta verde, la seguì con gli occhi fino al precipizio che adesso avevano alle spalle, e boccheggiò. Il torrente spuntava dal precipizio, circa mezzo chilometro più in basso del punto in cui si erano fermate loro. Per una cinquantina di metri sembrava duro e solido come metallo, poi la corrente d’acqua si infrangeva. Quando arrivava a terra era una nebbiolina bianca di spuma.
Dalla parete del precipizio usciva un’altra decina di corsi d’acqua, ognuno contrassegnato da un arcobaleno. Era uno spettacolo da mozzare il fiato, quasi troppo bello per essere vero.
— Mi piacerebbe avere la licenza per un ufficio turistico in questo posto — disse lei.
Calvin scoppiò a ridere.
— Tu venderesti pellicole, e io i biglietti. Che ne pensi?
Cirocco lanciò un’occhiata a Gaby, sempre immobile al suo posto d’osservazione.
— E come si chiama il fiume maggiore, quello dove confluiscono tutti gli altri?
— Ofione. Il grande serpente del vento del nord. Se guardi bene, vedrai che esce da un laghetto della zona di confine tra Mnemosine e Oceano. Quel lago deve pur avere una fonte, e io sospetto che sia Ofione stesso che scorre sotto il deserto, ma non si riesce a vedere il punto in cui scompare. A parte questo, scorre senza interruzioni. Entra nei mari ed esce dall’altra parte.
Cirocco seguì il percorso complicato del fiume. Calvin aveva ragione. — Un geografo ti direbbe che il fiume che esce da un mare è lo stesso fiume che vi entra. Però so che queste regole valgono solo sulla Terra. D’accordo, lo chiameremo fiume circolare…
— Bill e Agosto sono lì — disse Calvin, puntando l’indice. — A metà circa del percorso del Clio, dove il terzo affluente…
— Santo cielo, dovevamo chiamarli! Ce ne siamo dimenticati.
— Ti ho rubato la radio. Sono svegli e ci aspettano. Puoi chiamarli, se vuoi.
Cirocco si fece dare microfono e trasmettitore da Gaby.
— Bill, mi senti? Sono Cirocco.
— Sì, sì, ti sento! Come va?
— Non c’è male, anche se mi trovo nello stomaco di una bestia. E tu stai bene? Non sei ferito?
— No, sto benissimo. Senti, vorrei… vorrei farti capire quanto sia meraviglioso sentire la tua voce.
Cirocco sentì una lacrima scivolare sulla guancia, l’asciugò.
— È meraviglioso sentire te, Bill. Quando sei volato fuori dalla finestra… Al diavolo, non lo ricorderai.
— Ci sono un sacco di cose che non ricordo. Parleremo di tutto.
— Muoio dalla voglia di vederti.
— Ancora un po’ di pazienza. Abbiamo tante cose da dirci, tu, io, Calvin e…
— E Gaby — aggiunse lei, dopo quella che le era sembrata una pausa lunghissima.
— Gaby — disse lui senza molta convinzione. — Mi rendo conto di essere un po’ confuso riguardo a tante cose. Ma non costituiscono un problema.
— Sei sicuro di star bene? — Di colpo sentì freddo, e si sfregò le braccia vigorosamente.
— Sicurissimo. Quando arriverete qui?
Cirocco lo chiese a Calvin che fischiò un breve motivetto. Come risposta vennero altre note da qualche posto sopra la loro testa.
— I dirigibili non hanno dimestichezza col tempo — disse.
— Ci vorranno tre o quattro ore.
— Ma è così che si dirige un’aerolinea?
8
Cirocco andò a isolarsi in un angolo della navicella (non riusciva a pensare a quel posto come a uno stomaco). Gaby era sempre pietrificata, e la conversazione con Calvin languiva, perché lui non voleva rispondere alle altre domande di Cirocco.
Una ringhiera ci sarebbe stata proprio bene. La parete della navicella era trasparente fino a dove poggiavano i piedi, e forse anche sotto lo era se non fosse stata ricoperta da quelle foglie semi digerite e dai rami. Era una vista alquanto sconcertante.
Stavano sorvolando una giungla fitta, simile alla foresta in cima al precipizio. Il terreno era costellato di laghi. Il fiume Clio, grande e giallastro, scorreva in tutto quel territorio: un nastro d’acqua gettato sul terreno perché serpeggiasse dove meglio voleva.
L’aria era incredibilmente limpida. Sopra Rea c’erano nubi che si addensavano con aria minacciosa lungo la riva est del mare, ma Cirocco riusciva a vedere al di sopra di quelle nubi. Vedeva tutto in ogni direzione, fin quasi ai limiti della curvatura di Temi.
Un gruppo di grandi aerostati era sospeso, a altezze diverse, a fianco dei cavi più vicini a Finefischio. Forse stavano mangiando: i cavi erano abbastanza grossi perché vi crescessero gli alberi.
Guardando giù, vedeva l’ombra gigantesca proiettata da Finefischio. Più scendevano, più l’ombra ingrandiva. Era enorme, anche se si trovavano ancora al di sopra delle cime degli alberi. Però non capiva come avrebbero fatto ad atterrare: non c’erano zone libere adatte alla mole dell’aerostato.
Improvvisamente, accanto a un’ansa del fiume, vide due figure che agitavano le braccia. Rispose al saluto, anche se non era sicura che potessero vederla.
— Allora, come atterriamo? — chiese a Calvin.
Lui fece un mezzo sorriso. — Finora non te ne avevo parlato perché pensavo che l’idea non ti andasse a genio. Ed è inutile preoccuparsi prima del tempo. Ci lanciamo col paracadute.
Cirocco non reagì, al che lui parve sollevato.
— È uno scherzetto. Sicuro al cento per cento.