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— Oh oh. Calvin, io adoro il paracadutismo. Penso che sia molto divertente. Però ho il vizio di voler controllare il paracadute che uso. Voglio sapere chi l’ha fabbricato, e se è buono. — Si guardò attorno. — Correggimi se sbaglio, ma non ti ho visto portare nessun paracadute.

— Li ha Finefischio — disse Calvin. — E non si sbaglia mai.

Cirocco non ribatté.

— Andrò prima io. Così potete vedere — continuò lui in tono persuasivo.

— Calvin, siamo sicuri che non c’è altro modo di scendere a terra?

— Possiamo spostarci a est di un centinaio di chilometri, arrivare fino alle pianure. Se vuoi, Finefischio ci porta, ma poi bisogna tornare passando per una palude.

Cirocco guardò il terreno sottostante senza realmente vederlo. Respirò profondamente prima di muoversi.

— D’accordo. Vediamo i paracadute. — Con un sospiro, Cirocco si avvicinò a Gaby e la spinse dolcemente verso il fondo della navicella. Era docile come una bambina. Era gelata, e tremava.

— Non posso farteli vedere — disse Calvin. — Si producono automaticamente quando ci si lancia. Guarda.

Alzò una mano, afferrò una manciata di peduncoli bianchi. I peduncoli si distesero. Lui li separò l’uno dall’altro, formando una reticella abbastanza grande di tessuto organico.

Infilò una gamba in un buco della reticella, poi l’altra. Se la tirò su fino ai fianchi. Infilò le braccia in altri buchi della reticella, finché fu avvolto in una specie di bozzolo.

— Il salto è molto divertente. Sai nuotare bene?

— Benissimo, se si tratta di salvare la pelle. E tu, Gaby?

Le ci vollero alcuni secondi prima che si rendesse conto che le stavano parlando, poi una scintilla d’interesse s’accese nei suoi occhi.

— Eh? Ah, io nuoto come un pesce.

— Ottimo — disse Calvin. — Guardate me e fate quello che faccio io. — Fischiò, e davanti a lui, nel corpo dell’aerostato, si aprì un foro a iride. Calvin salutò, saltò nel foro, e cadde giù come un sasso. In quella gravità ridotta la velocità non era forse spaventosa, ma certo sufficiente per fracassarsi.

La reticella di materia organica era sempre attaccata al corpo di Calvin. Poi, improvvisamente, sulla sua testa si aprì un lenzuolo color blu pallido, con un grande schiocco d’aria. Calvin continuò a scendere dolcemente, agitando le braccia in un saluto.

Gaby era talmente impaziente di scendere che si buttò prima che Cirocco avesse il tempo di controllare se era tutto a posto.

Cirocco s’infilò a sua volta nella terza reticella. Era calda e elastica, persino comoda.

Il lancio fu molto normale, ammesso che su Temi qualcosa potesse essere normale. Il paracadute era un cerchio blu sullo sfondo del cielo giallo. Le sembrava troppo piccolo, ma evidentemente era sufficiente, in quella gravità. Cercò di guidarsi verso la riva del fiume.

Atterrò in piedi e uscì velocemente dalla reticella. Il paracadute si afflosciò sulla riva, seppellendo quasi Gaby. Con i piedi nell’acqua, Cirocco restò immobile a guardare Bill che le correva incontro. Era difficile non scoppiare a ridere. Sembrava un pulcino pallido e spelacchiato, coi pochi peli che gli stavano crescendo su tutto il corpo.

Si portò entrambe le mani alla fronte e le fece scorrere sul cranio spelacchiato, mentre un grande sorriso le riempiva la faccia.

— Sono come mi ricordavi? — gli chiese, quando lui le arrivò vicino.

— Anche meglio. — Bill divorò gli ultimi metri che li separavano, tese le braccia. Si baciarono. Lei non pianse, non sentì il bisogno di pensare che sarebbe morta di felicità.

In sei giorni soltanto, servendosi dei resti metallici delle loro tute, Bill e Agosto avevano fatto meraviglie. Avevano costruito due capanne; una terza possedeva già metà tetto e due pareti. Le capanne erano fatte di rami intrecciati e cementati col fango. I tetti erano in pendenza.

— Meglio di così non si poteva — disse Bill mentre faceva loro da guida. — Volevo costruirle di mattoni ma il sole non asciuga abbastanza in fretta il fango. A ogni modo riparano dal vento e dalla pioggia, più o meno.

Dentro, le capanne erano due metri per due, col pavimento ricoperto di paglia secca. Cirocco era troppo alta per stare ritta in piedi, ma non trovò niente da obiettare. Dormire al chiuso era già una grossa conquista.

— Se lavoriamo tutti e cinque, in un giorno avremo finito la terza. Gaby, questa è per te e Calvin. Cirocco e io ci trasferiremo in quella lì, che era di Agosto. Lei vuole la nuova. — Calvin e Gaby non dissero niente, ma Gaby stava sempre vicina a Cirocco.

Agosto era distrutta, invecchiata di almeno cinque anni. Era uno spettro magro, con le mani scosse da un tremito continuo. Sembrava aver perso metà di se stessa.

— Oggi non abbiamo fatto in tempo a procurarci carne fresca — disse Bill. — Avevamo troppo da fare con la nuova capanna. Agosto, pensi che sia rimasto cibo a sufficienza?

— Credo di sì — rispose lei.

— Vuoi portarcelo, eh?

Agosto uscì. Bill incontrò lo sguardo di Cirocco, si umettò le labbra e scosse lentamente la testa.

— Non si sa niente di Aprile, eh? — chiese dolcemente.

— Niente. Non abbiamo notizie nemmeno di Gene.

Dopo pranzo Bill li mise al lavoro per finire la terza capanna. Trasportare i pezzi di legno era facilissimo, mentre era terribilmente difficile romperli. Il risultato fu una capanna non proprio stupenda.

Finito il lavoro, Calvin entrò nella capanna che gli era stata assegnata, e Agosto si trasferì nell’altra. Gaby sembrava disorientata. Alla fine disse che sarebbe partita per un giro d’esplorazione e che sarebbe rimasta via qualche ora.

Bill e Cirocco si guardarono. Bill si strinse nelle spalle e fece un gesto verso la capanna. Entrarono e si sedettero. Lei voleva fargli tante domande, ma esitava a cominciare.

— Per te com’è stato? — gli chiese alla fine.

— Se alludi al periodo tra la collisione e il risveglio qui, dovrò deluderti. Non ricordo niente.

Lei tese una mano e gli carezzò la fronte.

— Non hai mal di testa? Vertigini? Fatti dare un’occhiata da Calvin.

Lui fece una smorfia. — Ero ferito?

— Parecchio. Avevi la faccia piena di sangue. Credevo che ti fossi rotto il cranio.

Bill si passò una mano sulla testa, si tastò la fronte e i parietali.

— Non c’è più niente. Non una ferita o un’ammaccatura. Cirocco, io…

— Chiamami Rocky, Bill. Prima mi chiamavi così — disse lei allacciandosi le ginocchia con le braccia.

Lui allontanò lo sguardo da lei.

— D’accordo, Rocky. Proprio di questo volevo parlarti. Non è solo il… il periodo buio, come lo chiama Agosto. È che non riconosco tante altre cose. Sono confuso. C’è un sacco di cose che mi confondono.

— Quali cose per esempio?

— Per esempio non ricordo dove sono nato, quanti anni ho, dove sono cresciuto. Rivedo la faccia di mia madre, però non so come si chiama e se è viva o morta.

— Sta bene. Vive a Denver, dove sei cresciuto. — La voce di Cirocco era molto dolce. — Almeno, stava bene quando ci ha mandato un messaggio per il tuo quarantesimo compleanno. Si chiama Betty. È piaciuta a tutti.

Bill parve sollevato, poi di nuovo depresso.

— Penso che questo significhi qualcosa — disse. — Me la ricordavo, perché per me è molto importante. E mi ricordavo anche di te.

Cirocco lo fissò negli occhi. — Ma non ricordavi il mio nome. È questo che ti era difficile dirmi?

— Già. — Aveva un’aria sconsolata. — Non è pazzesco? Me l’ha detto Agosto, però non mi ha raccontato che ti chiamavo Rocky. Rocky è molto bello, fra l’altro. Mi piace.

Cirocco rise. — Oh, in genere non mi va che mi chiamino Rocky, ma ci casco sempre quando qualcuno me lo sussurrra all’orecchio. — Lo guardò sorridendo. — Cos’altro ti ricordi di me? Ricordi che ero il Comandante?