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Inoltre, le zone notturne possedevano altre due file, di cinque cavi ciascuna, che uscivano dai raggi ma toccavano terra nelle zone diurne: la prima inclinata di venti gradi a est, la seconda di venti gradi a nord rispetto ai cavi centrali. Dal raggio posto al di sopra di Oceano, ad esempio, scendevano cavi su Mnemosine e Iperione. Il gruppo di quindici cavi delimitava il terreno sotto uno spazio equivalente a quaranta gradi della circonferenza di Gea.

I cavi che partivano da una zona diurna, attraversavano la linea di confine e arrivavano in una zona notturna, avevano una certa angolazione rispetto al terreno. L’angolazione era di sessanta gradi circa nel punto in cui andavano a congiungersi con la volta.

Poi c’erano le file composte di tre cavi, che si trovavano esclusivamente nelle zone diurne. Erano cavi verticali; partivano dal suolo e scomparivano al di sopra delle loro teste. In quel momento il Titanic si stava avvicinando al cavo di mezzo della fila di tre.

Il cavo diventava sempre più impressionante di giorno in giorno. Non sembrava più inclinato, ma le sue dimensioni erano aumentate. Un conto è sapere che una colonna verticale ha un diametro di cinque chilometri e un’altezza di centoventi, un altro è vedersela sotto gli occhi.

Ofione formava una grande ansa attorno alla base del cavo, un’ansa che partiva da sud e andava verso nord; poi il fiume riprendeva a scorrere in direzione est. La cosa più noiosa di Gea era che anche da lontano si vedevano tutti i particolari del paesaggio. Avvicinandosi, il terreno sembrava appiattirsi fino all’incredibile, e la visuale diminuiva; però, guardando avanti, si scorgevano i segni della curvatura.

— Vuoi ricordarmi perché ci stiamo sobbarcando tutta questa fatica? — urlò Gaby a Cirocco, che la precedeva. — Non me ne ricordo più.

Il viaggio si stava rivelando molto più difficile del previsto. Prima avevano seguito il fiume, che formava una specie di autostrada naturale in mezzo alla vegetazione. Adesso si trovavano davanti una foresta davvero impenetrabile, e per tagliare la vegetazione avevano solo pochi attrezzi a disposizione. Per rendere il tutto ancora peggiore, il terreno diventava sempre più ripido.

— Nemmeno io mi diverto troppo — le gridò in risposta. — Ma sai che dobbiamo farlo. Tra un po’ dovremmo trovarci meglio.

Avevano già ottenuto informazioni utili. In primo luogo sapevano che si trattava davvero di un cavo, composto di trefoli intrecciati. I trefoli erano più di cento, e ognuno aveva un diametro di almeno duecento metri. Intrecciati fittamente, si dividevano l’uno dall’altro a mezzo chilometro di altezza dal suolo, e arrivavano a terra separatamente. La base del cavo era una foresta di torri enormi, moltiplicate all’infinito.

La cosa più interessante era che diversi trefoli erano spezzati. Sulle loro teste pendevano le estremità rotte di due trefoli.

Uscita dalla giungla più fitta, Cirocco vide che la sostanza gommosa posta sottoterra, la sostanza che teneva i cavi incollati al suolo, era uscita alla superficie. Formava un cono alla base di ogni trefolo, e i coni erano coperti di sabbia. C’era tutta una foresta di quei coni che svaniva fra le tenebre.

Il terreno che si frapponeva tra loro e il cavo era sabbioso, con macigni enormi disseminati tutt’attorno. La sabbia era di un rosso giallastro, e i macigni avevano contorni molto netti, senza tracce di erosione. Sembrava che fossero stati strappati dal suolo a viva forza.

Bill piegò la testa all’indietro per seguire il trefolo fino al soffitto traslucido.

— Che spettacolo — disse.

— Mio Dio — disse Gaby, riparandosi gli occhi con le mani. — Che spettacolo. Agli occhi dei nativi può sembrare proprio la corda che regge il cielo.

Cirocco si schermò gli occhi. — È ovvio che pensino che lassù vive Dio. Se esistesse un burattinaio che manovra questi fili…

Cominciarono a salire. All’inizio il suolo era compatto, ma più si arrampicavano più diventava cedevole. Era solo sabbia, asciutta in superficie e umida sotto. Impossibile camminarci sopra. Cirocco tentò di fare strada ma, a duecento metri dalla cima, cominciò a scivolare all’indietro. Perse la presa, e si ritrovò ai piedi della collinetta. Il cavo sembrava tanto vicino, eppure era impossibile raggiungerlo.

Imprecando, Cirocco batté il pugno sulla sabbia. — D’accordo — disse. — Arrampicarsi è impossibile. Però voglio dare un’occhiata. C’è qualcuno che se la sente?

Nessuno era particolarmente entusiasta, ma la seguirono nella foresta di trefoli. Ogni trefolo aveva alla base una montagnola di sabbia. Tra un collina e l’altra crescevano erbacce non troppo rigogliose. Mano a mano che si addentravano in quella foresta, l’oscurità aumentava. Il silenzio si fece quasi assoluto; si sentiva soltanto il gemito del vento, e un tintinnio come di campane invisibili. Sentivano il suono dei loro passi, il ritmo affannoso del respiro.

La sensazione comune era quella di essere in una cattedrale. Cirocco aveva già visto un posto simile quando si era trovata fra le gigantesche sequoie della California. Là tutto era verde ma non così silenzioso, ma la calma e la sensazione di solitudine che aveva provato era la stessa. Se si fosse imbattuta in una ragnatela, sapeva che sarebbe corsa a perdifiato fino a che non avesse raggiunto di nuovo la luce naturale.

C’erano cose che pendevano dai trefoli, come brandelli di tappezzeria. Erano immobili in quell’aria ferma, forme senza esistenza fra le ombre alte sopra le loro teste. Una polvere minuta cadeva tutt’attorno a loro, a malapena smossa da una brezza esilissima.

Gaby toccò leggermente il braccio di Cirocco che fece un balzo prima di guardare dove Gaby stava indicando.

Qualcosa era appeso a un lato di un trefolo, cinquanta metri sopra la montagnola di sabbia. Sembrava seduto su una sporgenza, poi lei si chiese se non fosse un’escrescenza.

— Sembra un cirripede — disse Bill.

— O una colonia di cirripedi — sussurrò Gaby, che si mise a tossire ripetutamente, nervosamente. Cirocco sapeva come si sentiva, era come se dovessero per forza sussurrare.

Cirocco scosse la testa. — Mi ricordano le città morte dell’Arizona.

Dopo pochi minuti ne individuarono molti altri, più lontani e meno distinguibili di quello trovato da Gaby. Erano abitazioni o parassiti? Impossibile dirlo.

Cirocco diede uno sguardo circolare e le sembrò di scorgere qualcosa in lontananza, proprio al limite delle tenebre assolute.

Un edificio. Poi capì subito che era in rovina, circondato dalla sabbia.

Comunque era meraviglioso trovare qualcosa che fosse stato costruito su scala umana. L’edificio era grande quanto uno dei "pueblo" più piccoli del Colorado, e non molto diverso. C’erano tre piani di stanze esagonali, senza entrate visibili. Ogni piano possedeva stanze leggermente più grandi di quelle del piano inferiore. Cirocco si avvicinò, toccò una parete: erano strati di pietra appoggiati l’uno sull’altro senza cemento, alla maniera degli Inca.

Guardando più da vicino, scoprì che in effetti c’erano cinque piani. Gli ultimi due erano molto più piccoli dei tre che aveva visto da lontano, costruiti con pietre assai più piccole. Poi si mise a ripulire dalla sabbia la base della parete e trovò un sesto piano, un settimo, ognuno di dimensioni più modeste del precedente.

— Cosa ne pensi? — chiese a Bill.

— È uno strano modo di costruire.

Cirocco continuò a scavare, ma a un certo punto la sabbia prese ad accumularsi troppo in fretta. Il piano più basso che aveva scoperto era fatto di camere non più alte di mezzo metro e larghe altrettanto.

Girarono attorno all’edificio e trovarono un punto in rovina. Le pietre cadute dall’alto, più grandi, avevano rotto quelle piccole sottostanti. Una stanza era ancora intatta, a parte una parete che mancava. Non trovarono nessuna porta all’interno, e nessuna porta per entrare dall’esterno.