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Cirocco scoprì che alcune delle sue idee erano soltanto preconcetti.

In primo luogo, vedendo Si Bemolle così simile a Do Diesis, aveva pensato che fosse difficile distinguere un titanide dall’altro se non fosse stato per la presenza o meno degli organi sessuali.

Il gruppo che arrivò in risposta al richiamo di Do Diesis pareva composto di esseri usciti da un baraccone delle meraviglie.

La guaritrice aveva la testa verde smeraldo e la coda pelosa. Il resto del corpo era ricoperto da un pelo spesso, bianco come la neve. C’era poi un altro titanide tutto peloso, color fragola con striature viola. C’era un pezzato marrone e bianco, e un altro che aveva un po’ di peli solo sulla coda. La sua pelle era di un blu pallido.

L’ultimo titanide del gruppo sembrava nudo, ma non lo era. Era ricoperto di pelo raso anche nella parte umana del corpo, un pelo a strisce gialle e arancione, vivacissimo. La testa era color lavanda, e aveva peli sulla coda.

Anche distogliendo lo sguardo, la sua immagine persisteva a lungo sulla retina.

Non soddisfatti di quell’aspetto sgargiante, i titanidi si dipingevano la pelle nuda e tingevano ciuffi di pelo. Portavano collane e braccialetti, infilavano bastoncini nei fori che si facevano nelle narici e nei lobi delle orecchie, si legavano alle zampe cerchietti di ottone da cui pendevano pietre colorate o fiori intrecciati. Ognuno di loro possedeva uno strumento musicale, ricavato dal legno o da corna di animali o da una conchiglia o dall’ottone.

Il secondo preconcetto — che era poi il primo, poiché discendeva da quanto le aveva detto Calvin — era che i titanidi fossero tutti di sesso femminile. Interrogata con estrema cautela, la guaritrice diede una risposta estremamente esplicita oltre a una chiara dimostrazione. Ogni titanide aveva tre organi sessuali.

Il primo si trovava sul petto, ed era maschile o femminile a seconda dei casi. Era in base a quello, per motivi noti solo ai titanidi, che si decideva se un individuo era maschio o femmina.

Il secondo era appena sotto la coda: una grande apertura vaginale, simile a quella di una cavalla terrestre. La possedevano tutti.

Il terzo era il più sorprendente. Nella regione addominale posta fra le zampe posteriori della guaritrice c’era un rigonfiamento di pelle, da cui la guaritrice fece spuntare un pene perfettamente umano; solo che era lungo e grosso quanto il braccio di Cirocco. Quando lo vide ne fu impressionata e sconvolta.

Cirocco aveva sempre pensato di essere un tipo sofisticato. Aveva visto molti uomini nudi, ed erano ormai molti anni che nessuno di loro aveva qualcosa di nuovo da mostrarle. Gli uomini le piacevano e amava stringere relazioni con loro, ma quello che stava vedendo le fece desiderare di farsi suora. La violenta reazione che aveva avuto la seccava molto. Sapeva che era identico ai sentimenti che anche Gaby aveva espresso, ovvero che si sentiva molto più turbata dalle cose con cui non poteva stabilire un parallelo con quanto già conosceva che non da qualcosa che fosse completamente alieno.

Riflettendo sui tre organi sessuali, si accorse che non sapeva dell’esistenza dei due posteriori finché non glieli aveva mostrati la guaritrice; e ancora non sapeva perché ogni titanide ne possedesse tre.

La sua conoscenza del linguaggio era tutt’altro che perfetta. Coi nomi propri non aveva difficoltà; correre e saltare, nuotare e respirare erano sufficientemente chiari. Ma alcuni verbi, quelli relativi ad azioni che per i titanidi erano normalissime e invece sconosciute ai terrestri, le sfuggivano.

E non capiva assolutamente niente quando si trattava di rapporti di parentela, codici di comportamento, costumi, e parecchie altre cose del tutto nuove per un terrestre. A volte quei concetti erano espressi con pause musicali. Lei traduceva a se stessa o a Gaby quei termini con complessi giri di frase come, per esempio, "colei-che-è-l’ortosorellastra-frontale-della-mia-madre-posteriore", oppure "il senso-di-giusto-disgusto-per-gli-angeli". Ognuna di quelle frasi era una parola sola, nel canto dei titanidi.

Un pensiero alieno è sempre un pensiero alieno, se non si possiedono i termini di riferimento.

L’ultima complicazione era quella dei nomi: ce n’erano troppi basati sulle stesse note musicali, per cui diventavano indistinguibili l’uno dall’altro. E Gaby non riusciva a cantarli.

Cirocco decise di cambiarli, restando sempre in ambito musicale. Do Diesis diventò Cornamusa, perché le ricordava la danza dei marinai dallo stesso nome dello strumento musicale, Si Bemolle Banjo. La guaritrice Ninnananna, il titanide color fragola Valzer, il pezzato Clarinetto, e quello blu Foxtrot. Il titanide zebrato in giallo e arancione venne battezzato Organetto.

Prontamente Gaby lasciò perdere le chiavi musicali, così come Cirocco aveva pensato sarebbe successo, e passò a usare solo i nuovi nomi.

L’ambulanza era un lungo carro di legno con quattro ruote che sembravano di gomma, trainato da due titanidi. Possedeva sospensioni pneumatiche e freni a frizione manovrati dai due titanidi che trainavano. Il legno era giallo, meravigliosamente piallato. I diversi pezzi erano incastrati fra loro senza l’uso di chiodi.

Cirocco e Gaby fecero sdraiare Bill su un ampio letto al centro del carro e salirono. Con loro c’era anche Ninnananna, che accoccolata accanto a Bill cantava e gli rinfrescava la fronte con un panno umido. Gli altri titanidi li seguirono, tranne Cornamusa e Banjo che rimasero a curare il gregge. Avevano circa duecento animali delle dimensioni di una mucca, con quattro zampe e un collo esilissimo lungo tre metri. All’estremità del collo spuntava una bocca grinzosa che terminava in una mascella robusta. Si nutrivano infilando la bocca sottoterra e succhiando il latte prodotto da vermi. Possedevano un occhio all’attaccatura del collo, per cui vedevano cosa succedeva all’esterno anche con la testa infilata sottoterra.

Gaby ne guardò uno scandalizzata, restia ad ammettere che una cosa del genere potesse esistere.

— Gea ha i suoi giorni buoni e i suoi giorni cattivi — disse, citando un aforisma che Cirocco le aveva tradotto. — Probabilmente aveva il mal di testa quando ha inventato quelle cose. E le radio, Rocky? Possiamo vederne, una?

— Adesso chiedo. — Si rivolse a Clarinetto, chiedendogli se potevano dare un’occhiata alla sua cantapianta, e si interruppe di colpo appena pronunciato quel termine. — Non le costruiscono — disse poi — le coltivano.

— E perché non me l’hai detto prima?

— Perché non lo sapevo. Abbi pazienza, Gaby. La parola che usano loro significa "il seme della pianta che trasmette il canto". Vediamo.

La cosa legata al bastone di Clarinetto era un seme giallo liscio e allungato, con un soffice rigonfiamento marrone.

— È qui che la pianta ascolta — cantò Clarinetto, indicando il rigonfiamento. — Non lo toccate perché perderebbe l’udito. Canta il nostro canto a sua madre, e se lei è d’accordo lo canta al mondo intero.

— Temo di non capire bene.

Clarinetto indicò un punto dietro le spalle di Gaby. — Lì c’è una madre che possiede ancora i suoi figli.

Trotterellò verso un gruppo di cespugli che crescevano in una depressione. Dal terreno, a fianco di ogni cespuglio, usciva un vegetale a forma di campana. Clarinetto afferrò la campana, la strappò dal suolo e tornò al carro.

— Bisogna cantare ai semi — spiegò. Tirò fuori il suo corno e intonò qualche nota di una canzone in quattro quarti.

— Adesso piegate le orecchie e… — s’arrestò, imbarazzato. — Insomma, fate quello che vi è consono quando dovete ascoltare.

Dopo mezzo minuto, udirono le stesse note, un po’ in sordina, come se uscissero da un cilindro di Edison, ma chiarissime. Clarinetto cantò un’armonica, che il vegetale ripeté immediatamente. Ci fu una pausa, poi i due temi musicali vennero ripetuti contemporaneamente.