Mi lanciò un’occhiata fulminea. «Un’altra complicazione», disse, cupo.
Aprì la portiera con una mossa veloce e in un istante si spostò per evitare il contatto con me.
La mia attenzione fu catturata da un paio di fari nella pioggia e da un’auto scura che procedeva sull’asfalto verso di noi.
«Charlie è dietro l’angolo», mi avvertì, osservando il veicolo sotto lo strato di pioggia che copriva il parabrezza.
Scesi dall’auto con un balzo, malgrado la confusione e la curiosità. All’aperto, la pioggia colpiva rumorosa la mia giacca a vento.
Cercai di identificare le sagome sul sedile anteriore dell’altra auto, ma era troppo buio. Vidi Edward illuminato dal fascio dei fari della macchina ferma di fronte a noi; guardava dritto di fronte a sé, con gli occhi fissi su qualcuno o qualcosa che non riuscivo a scorgere. La sua espressione era un misto di frustrazione e sfida.
Poi mise in moto, e le gomme stridettero sull’asfalto fradicio. La Volvo sparì nel giro di pochi secondi.
«Ehi, Bella», disse una voce roca, familiare, dal posto di guida della piccola auto nera.
«Jacob?». Scrutai attraverso la pioggia socchiudendo gli occhi. Proprio in quel momento la volante di Charlie svoltò l’angolo e illuminò gli occupanti del veicolo che mi stava di fronte.
Jacob era intento a scendere, il suo sorriso ampio si distingueva persino nell’oscurità. Dalla parte del passeggero era seduto un uomo molto più anziano di lui, un volto dai lineamenti marcati, difficile da dimenticare: un volto che quasi tracimava, con le guance che poggiavano sulle spalle, e la pelle bronzea attraversata da rughe simili alle increspature di una vecchia giacca di pelle. E gli occhi, neri, sorprendentemente familiari, che sembravano allo stesso tempo troppo giovani e troppo antichi per l’ampio viso che li conteneva. Era Billy Black, il padre di Jacob. Lo riconobbi all’istante, benché nei cinque anni passati dal nostro ultimo incontro mi fossi dimenticata anche del suo nome, richiamato alla memoria da Charlie soltanto il giorno del mio arrivo a Forks. Mi guardava fisso, perciò tentai un sorriso. Spalancava gli occhi e le narici, come fosse spaventato. Il mio sorriso svanì.
Un’altra complicazione, aveva detto Edward.
Billy seguitava a fissarmi con uno sguardo intenso, ansioso. Soffocai un gemito di fastidio. Era stato così facile, per Billy, riconoscere subito Edward? Credeva davvero alle leggende impossibili di cui suo figlio si era preso gioco?
La risposta nei suoi occhi era chiara: sì, ci credeva.
12
Equilibrio
«Billy!», esclamò Charlie, appena sceso dall’auto.
Mi voltai verso casa e feci un cenno a Jacob dalla veranda, sotto cui ero riparata. Sentivo Charlie salutarli a gran voce.
«Farò finta di non averti visto al volante, Jake», disse al ragazzo, rimproverandolo.
«Alla riserva la patente si prende prima», rispose Jacob, mentre aprivo la porta e accendevo la luce della veranda.
«Ah, sì, come no». Rideva.
«Dovrò pure muovermi in qualche modo, no?». Riconobbi la voce profonda di Billy all’istante, malgrado gli anni trascorsi. Sentirla mi riportò immediatamente all’infanzia.
Entrai, lasciando la porta aperta alle mie spalle, e prima di appendere il giubbotto accesi tutte le luci. Poi restai sulla soglia a osservare ansiosa Charlie e Jacob che tiravano fuori Billy dall’auto e lo facevano accomodare sulla sedia a rotelle.
Feci largo ai tre che entrarono in fretta, scrollandosi per asciugarsi dalla pioggia.
«Che sorpresa», esclamò Charlie.
«È una vita che non ci si vede», rispose Billy. «Spero che non sia un momento sbagliato». Mi inchiodò di nuovo con quegli occhi scuri e indecifrabili.
«No, va benissimo. C’è la partita, perché non rimanete?».
Jacob sorrise: «Questo era il piano: il nostro televisore si è rotto la settimana scorsa».
Billy guardò di traverso suo figlio: «E ovviamente, Jacob era impaziente di rivedere Bella». Jacob, serio, chinò la testa, mentre io cercavo di mettere a tacere il rimorso. Forse sulla spiaggia ero stata troppo convincente.
«Avete fame?», chiesi, diretta in cucina. Non vedevo l’ora di sfuggire allo sguardo indagatore di Billy.
«No, abbiamo mangiato prima di venire qui», rispose Jacob.
«E tu, Charlie?», chiesi, già da dietro l’angolo.
«Certo», rispose, e si precipitò in salotto di fronte alla TV. Sentivo il rumore della sedia a rotelle di Billy che lo seguiva.
I sandwich al formaggio erano già in padella, e mentre affettavo un pomodoro mi accorsi di una presenza accanto a me.
«E allora, come va?», chiese Jacob.
«Piuttosto bene», sorrisi. Era difficile resistere al suo entusiasmo. «E tu? Hai finito la macchina?».
«No», si rabbuiò. «Mi manca ancora qualche pezzo. Questa è in prestito». Con il pollice indicò l’auto parcheggiata nel vialetto.
«Mi dispiace. Non ho visto nessun... cos’era che stavi cercando?».
«Un cilindro freni». Sorrise. «Il pick-up ha qualche problema?», chiese subito dopo.
«No».
«Ah. Ho notato che non lo stavi guidando».
Abbassai lo sguardo sulla padella, sollevando un sandwich per controllarne il fondo. «Un amico mi ha dato un passaggio».
«Bella macchina», la voce di Jacob era piena di ammirazione. «Però non ho riconosciuto il guidatore. Pensavo di conoscere la maggior parte dei ragazzi della zona».
Annuii appena, senza staccare gli occhi dai sandwich che avevo appena girato.
«A papà sembrava di conoscerlo».
«Jacob, mi passi i piatti? Sono nella credenza, sopra il lavandino».
«Certo».
Mi allungò le stoviglie in silenzio. Speravo che il discorso morisse lì.
«Insomma, chi era?», chiese, sistemando i due piatti sul piano di cottura accanto a me.
Mi arresi, con un sospiro: «Edward Cullen».
Con mia grande sorpresa, scoppiò a ridere. Alzai lo sguardo su di lui. Sembrava vagamente imbarazzato.
«Ah, questo spiega tutto», disse. «Mi chiedevo perché mio padre avesse reagito cosi».
«Già», simulai un’espressione innocente. «I Cullen non gli piacciono».
«Vecchio superstizioso», mormorò Jacob, tra sé.
«Pensi che dirà qualcosa a Charlie?». Non riuscii a trattenermi, le parole mi sfuggirono, ansiose e veloci.
Per un istante Jacob mi colpì con uno sguardo indecifrabile, poi rispose: «Secondo me no: l’ultima volta Charlie gli ha fatto una testa così. Da allora non parlano granché. Quella di stasera è una specie di riconciliazione. Non credo che avrà voglia di tornare sull’argomento».
«Ah». Ostentavo indifferenza.
Portai la cena a Charlie e rimasi in salotto a fingere di guardare la partita mentre Jacob chiacchierava. In realtà badavo alla conversazione tra i due uomini, in attesa del momento in cui Billy avrebbe cercato di stanarmi, pensando alla maniera migliore di arginarlo se avesse cominciato.
Fu una serata molto lunga. Avevo un sacco di compiti da fare, ma l’idea di lasciare Billy e Charlie da soli mi spaventava. Infine la partita terminò.
«Pensi che tu e i tuoi amici tornerete presto alla spiaggia?», chiese Jacob mentre spingeva il padre sulla soglia.
«Non saprei».
«Ci siamo divertiti, Charlie», disse Billy.
«Tornate per la prossima partita», suggerì Charlie.
«Certo, certo. Ci saremo. Buonanotte». Guardò verso di me, e il suo sorriso scomparve. «E tu stai attenta, Bella», aggiunse, serio.
«Grazie», bofonchiai, guardando altrove.
Mentre Charlie ancora li salutava dalla porta, iniziai a salire le scale.
«Aspetta, Bella».
Mi arrestai dov’ero, imbarazzata. Billy aveva detto qualcosa a mio padre prima che li raggiungessi in salotto?
Eppure Charlie era rilassato, ancora sorridente per la visita inaspettata.
«Stasera non siamo riusciti a parlare. Com’è andata la giornata?».
«Bene». Esitavo, un piede ancora sul primo gradino, intenta a raccogliere i particolari che avrei potuto raccontargli. «La mia squadra di badminton ha vinto quattro partite su quattro».