La sua voce era un sussurro: «Vorrei... vorrei sentissi la complessità... la confusione... che provo. Vorrei che potessi comprendere».
Mi sfiorò i capelli e me li strofinò sul viso, con delicatezza.
«Spiegamelo».
«Non credo che ci riuscirei. Te l’ho detto, da una parte sento fame di te, anzi sete, da creatura deplorabile quale sono. E questo lo puoi capire, in un certo senso». Abbozzò un sorriso. «Anche se, dal momento che non sei dipendente da nessuna sostanza illegale, probabilmente non te ne rendi conto fino in fondo».
Mi sfiorò le labbra, allora, e avvertii l’ennesimo brivido. «Ma... ci sono altri tipi di fame. E quelli non riesco a interpretarli, mi sono del tutto estranei».
«Forse riesco a capire questo più di quanto ti aspetti».
«Non sono abituato a sentirmi tanto umano. Funziona sempre così?».
«Per me? No, mai. Mai prima di oggi».
Prese le mie mani tra le sue; sembravano tanto fragili, in quella stretta d’acciaio.
«Non so come fare a starti accanto in questo modo», ammise. «Non sono sicuro di esserne capace».
Mi avvicinai molto lentamente, tranquillizzandolo con lo sguardo. Posai la guancia sul suo petto marmoreo. Non sentivo che il suo respiro.
«Così va bene», sospirai, chiudendo gli occhi.
Con un gesto molto umano, mi abbracciò e avvicinò il viso ai miei capelli.
«Sei molto più bravo di quanto tu voglia credere».
«Possiedo ancora istinti umani. Sono sepolti da qualche parte, ma ci sono».
Restammo in quella posizione per un altro momento eterno; chissà se anche lui, come me, desiderava che non finisse mai. Purtroppo la luce stava calando, le ombre della foresta si avvicinavano. Mi lasciai sfuggire un sospiro.
«Devi andare».
«Pensavo non fossi capace di leggermi nel pensiero».
«Comincio a vederci qualcosa». Lo sentii sorridere.
Lo guardai in faccia, le sue mani mi tenevano per le spalle.
«Posso mostrarti una cosa?», chiese, lo sguardo acceso da un entusiasmo improvviso.
«Cosa?».
«Il modo in cui io mi sposto nella foresta». Notò subito la mia espressione allibita. «Non preoccuparti, non c’è pericolo e torneremo al pick-up molto più velocemente». Con le labbra disegnò quel suo sorriso sghembo, così magnifico da fermarmi il cuore.
«Ti trasformi in un pipistrello?», chiesi, intimorita.
Rise, più forte che mai. «Come se non l’avessi già sentita!».
«Già, immagino che te lo dicano tutti».
«E dai, fifona, salta in spalla».
Aspettai un istante, per capire se stesse scherzando, ma evidentemente faceva sul serio. Sorrise della mia incertezza e aprì le braccia per incoraggiarmi. Il mio cuore reagì; malgrado non potesse leggermi nel pensiero, il battito accelerato mi tradiva. Mi prese per mano e mi aiutò ad aggrapparmi a lui, senza troppo sforzo. Mi avvinghiai con una presa tanto stretta di braccia e gambe da poter soffocare un comune mortale. Era come aggrapparsi a una roccia.
«Sono un po’ più pesante di un normale zaino».
«Figuriamoci!», sbottò. Di certo stava alzando gli occhi al cielo. Non l’avevo mai visto tanto di buonumore.
Mi sorprese quando all’improvviso afferrò la mia mano, se la premette contro il naso e inspirò forte.
«Sempre più facile», mormorò.
E poi iniziò a correre.
La paura di morire che avevo sentito poco prima era stata niente, a confronto di come mi sentii in quel momento.
Sfrecciava tra le piante del sottobosco denso e scuro come un proiettile, come un fantasma. In assoluto silenzio, come se i suoi piedi restassero sempre sollevati da terra. Respirava regolarmente, senza sforzo. Ma gli alberi ci passavano davanti a velocità mortale, mancandoci ogni volta di pochi centimetri.
Ero troppo terrorizzata per chiudere gli occhi, malgrado l’aria fredda della foresta frustasse violenta il mio viso. Era come aprire ingenuamente il finestrino di un aereo in volo. Per la prima volta in vita mia, sentii la fiacchezza e le vertigini tipiche della nausea da movimento.
Tutto finì in un attimo. Quel mattino avevamo camminato per ore per raggiungere il prato di Edward, e adesso, in pochi minuti, rieccoci al pickup.
«Elettrizzante, eh?». Era entusiasta, su di giri.
Restò immobile, in attesa che scendessi. Ci provai, ma i muscoli non rispondevano. Tenevo braccia e gambe intrecciate a lui, e la testa mi girava fastidiosamente.
«Bella?», chiese, con una certa ansia.
«Credo di dovermi sdraiare», dissi ansimando.
«Oh, scusa». Attese inutilmente che mi muovessi.
«Ho bisogno di aiuto, credo».
Rise sotto i baffi, e con delicatezza sciolse la mia presa strangolatrice. Non c’era modo di resistere alla forza delle sue mani d’acciaio. Mi prese e mi fece scivolare di lato, cullandomi come una bambina. Mi trattenne per un istante, poi mi posò dolcemente sulle foglie elastiche delle felci.
«Come va?».
Non riuscivo a capirlo neanch’io, con la testa che girava in quella maniera. «Credo di avere un po’ di nausea».
«Tieni la testa tra le ginocchia».
Ci provai, e funzionava. Respiravo lentamente, con la testa immobilizzata. Sentivo Edward seduto al mio fianco. Dopo qualche minuto, riuscii a sollevare il capo. Un sibilo vuoto mi ronzava nelle orecchie.
«Forse non è stata una grande idea».
Cercai di non demoralizzarlo, ma avevo perso la voce. «No, è stato parecchio interessante».
«Ma dai! Sei pallida come un fantasma... anzi, sei pallida come me!».
«Forse avrei dovuto chiudere gli occhi».
«La prossima volta ricordatelo».
«Ma quale prossima volta?!».
Rise, non aveva perso il buonumore.
«Spaccone», bofonchiai.
«Apri gli occhi, Bella», disse, sottovoce.
E il suo viso era lì accanto a pochi centimetri dal mio. La sua bellezza non smetteva di sconvolgermi: era troppo, un eccesso a cui non riuscivo ad abituarmi.
«Mentre correvo, pensavo...».
«A non centrare gli alberi, spero».
«Sciocca», sghignazzò. «Correre per me è un gesto automatico, non è qualcosa a cui devo stare attento».
«Spaccone».
Sorrise.
«Dicevo... Pensavo a una cosa che vorrei provare». Di nuovo prese il mio viso tra le mani.
Mi tolse il fiato.
Sembrava esitare, ma non in maniera normale.
Non come un uomo che sta per baciare una donna, incerto della reazione e della risposta di lei, che volesse prolungare quell’istante, il momento perfetto dell’attesa impaziente che spesso è meglio del bacio stesso.
Edward esitava per mettersi alla prova, per non correre rischi ed essere certo di saper controllare i propri desideri.
Poi posò le sue labbra di marmo freddo sulle mie.
Ciò che nessuno di noi prevedeva fu la mia reazione.
Mi sentii ribollire il sangue e bruciare le labbra. Il mio respiro si trasformò in un affanno incontrollabile. Intrecciai le dita ai suoi capelli, stringendolo a me. Dischiusi le labbra per respirarne il profumo inebriante.
Immediatamente lo sentii trasformarsi in pietra insensibile. Con le mani, delicatamente ma senza che potessi oppormi, allontanò il mio viso dal suo. Aprii gli occhi e lo vidi, guardingo.
«Ops».
«“Ops” è troppo poco».
I suoi occhi ardevano, stringeva i denti sforzandosi di resistere all’istinto, eppure non perse un briciolo di contegno. Tratteneva il mio viso a pochi centimetri dal suo, inchiodandomi con uno sguardo ipnotico.
«Devo...?», e cercai di liberarmi dalla presa per lasciargli un po’ di spazio.
Non mi permise di muovermi di un millimetro.
«No, è sopportabile. Per favore, aspetta un attimo». Il suo tono di voce era aggraziato, controllato.
Osservai l’eccitazione nei suoi occhi attenuarsi e ammorbidirsi.
Poi, a sorpresa, sfoderò un sorriso malizioso.
«Ecco», disse, palesemente soddisfatto di se stesso.
«Sopportabile?».
Liberò una risata fragorosa. «Sono più forte di quanto pensassi. È una bella notizia».