Выбрать главу

«Ci sarà anche lei?». L’idea mi dava un pò di sollievo.

«Assieme a Jasper, Emmett... e Rosalie».

Il sollievo svanì. Non avevo fatto il minimo progresso con Rosalie, benché i rapporti con il suo quasi marito fossero più che buoni. Emmett apprezzava la mia presenza: lo divertivo, forse per le mie bizzarre reazioni umane... o forse perché trovava buffo che inciampassi in continuazione. Rosalie si comportava come se non esistessi. Scrollai il capo come per indirizzare i miei pensieri altrove e cambiai discorso.

«Charlie è al corrente di questo?» chiesi, diffidente.

«Certo». Poi soffocò una risata: «A quanto pare, solo Tyler non sapeva nulla».

Ero allibita. Era incredibile che Tyler non avesse smesso di illudersi, nonostante tutto. A scuola, lontani dall’interferenza di Charlie, io ed Edward eravamo inseparabili, tranne che nelle rare giornate di sole.

Eccoci arrivati. La cabriolet rossa di Rosalie spiccava nel parcheggio. Le nuvole erano sottili quella sera e lasciavano trapelare qualche timido raggio di sole a occidente.

Edward scese dall’auto e venne ad aprirmi la portiera. Mi offrì la mano.

Rimasi testardamente seduta al mio posto, a braccia conserte, beandomi in segreto della mia vanità. Il parcheggio era affollato di persone in abito da sera: tutti testimoni. Edward non avrebbe potuto estrarmi dall’auto con la forza, come non avrebbe esitato a fare se fossimo stati soli.

Sospirò: «Di fronte a un assassino sei coraggiosa come un leone, ma basta che qualcuno parli di ballare...». Scosse il capo.

Trasalii. Ballare.

«Bella, ti terrò lontana da tutti i pericoli, compresa te stessa. Non ti mollerò un attimo, lo prometto».

Ci pensai sopra, e subito mi sentii molto meglio. Me lo si leggeva in faccia.

«Forza, adesso», disse gentile. «Non sarà così male». Si chinò e con un braccio mi cinse la vita. Afferrai l’altra mano, e mi lasciai sollevare per uscire dall’auto.

Mi aiutò a zoppicare fino all’ingresso della scuola, tenendomi stretta.

A Phoenix, le feste di fine anno scolastico avvenivano nelle sale da ballo degli alberghi. Il ballo di Forks era in palestra, ovvio. Probabilmente era l’unico locale in città che fosse grande a sufficienza. Quando entrammo, mi scappò un risolino. C’erano veri arcobaleni di palloncini e ghirlande attorcigliate di carta crespa sulle pareti.

«Sembra l’inizio di un film dell’orrore», dissi, ridendo sotto i baffi.

«Be’», mormorò Edward mentre ci avvicinavamo a fatica al tavolo che fungeva da biglietteria - lui reggeva quasi tutto il mio peso, ma ero comunque costretta a dondolare il piede per trascinarmi in avanti -, «in effetti i vampiri non mancano».

Guardai la pista da ballo, al centro si era formato uno spazio vuoto in cui due coppie piroettavano con grazia. Gli altri ballerini restavano ai margini della sala, per fare spazio: tutti temevano il confronto con tanto splendore. Emmett e Jasper mettevano soggezione, maestosi e impeccabili com’erano nei loro smoking. Alice era straordinaria nel suo vestito di seta nera, con fessure geometriche che scoprivano ampi triangoli di pelle candida. E Rosalie... be’, era Rosalie. Non ci si poteva credere. L’abito rosso scuro, che aderiva fin sotto il ginocchio e si allargava in un ampio strascico, le lasciava la schiena scoperta con una scollatura vertiginosa. Non potei che compatire tutte le ragazze presenti, me compresa.

«Vuoi che blocchi le uscite, così potete massacrare gli ignari cittadini?», sussurrai, con fare cospiratorio.

«E tu da che parte stai?».

«Con i vampiri, ovvio».

Non riuscì a trattenere un sorriso. «Qualsiasi cosa, pur di non ballare».

«Qualsiasi cosa».

Comprò i biglietti, poi mi voltò in direzione della pista da ballo. Stavo abbarbicata al suo braccio e trascinavo i piedi.

«Ho tutta la serata», mi avvertì.

Alla fine riuscì a trascinarmi nel punto in cui i suoi fratelli piroettavano eleganti in uno stile totalmente inadatto ai giorni nostri e alla musica contemporanea. Restavo ferma a guardare, terrorizzata.

«Edward». Dalla mia gola totalmente secca non uscì che un rantolo. «Sinceramente, non so ballare!». Sentivo il panico bruciarmi dentro.

«Sciocca, non preoccuparti», rispose. «Io sì». Guidò le mie mani a cingergli il collo, mi sollevò appena e fece scivolare i piedi sotto i miei.

E anche noi ci ritrovammo a roteare.

«Mi sembra di avere cinque anni», dissi ridendo, dopo qualche minuto di quel valzer in cui ero trasportata senza sforzo.

«Non li dimostri», mormorò stringendomi di più a sé, e per un istante volai a qualche centimetro dal suolo.

Alice incrociò il mio sguardo e mi rivolse un sorriso di incoraggiamento, che ricambiai. A sorpresa, mi resi conto che mi stavo divertendo... un po’.

«Okay, non è così male, lo ammetto».

Ma Edward fissava la porta e sembrava arrabbiato.

«Che c’è?», chiesi ad alta voce. Seguii il suo sguardo, disorientata dai volteggi, ma infine riuscii a individuare cosa lo preoccupasse. Jacob Black, non in smoking ma con una camicia bianca e la cravatta, i capelli raccolti all’indietro nella solita coda, attraversava la pista e veniva verso di noi.

Dopo lo stupore iniziale, non potei fare a meno di compatirlo. Era evidentemente a disagio, quasi tormentato. Incrociò il mio sguardo con espressione mortificata.

Edward ringhiò sottovoce.

«Controllati!», sibilai.

La voce di Edward era inquietante. «Vuole fare due chiacchiere con te».

A quel punto Jacob ci raggiunse, l’imbarazzo e la vergogna ancora più evidenti sul suo volto.

«Ehi, Bella, speravo proprio di trovarti». A sentirlo, sembrava che avesse sperato l’esatto contrario. Ma il sorriso era affettuoso come sempre.

«Ciao, Jacob», risposi, ricambiando. «Tutto bene?».

«Mi concedi un ballo?», azzardò, lanciando per la prima volta un’occhiata a Edward. Rimasi sbalordita quando mi accorsi che per guardarlo negli occhi non doveva alzare la testa. Dall’ultima volta che ci eravamo visti era cresciuto quindici centimetri, come minimo.

L’espressione di Edward restò composta, neutra. Si limitò a farmi scendere dai suoi piedi e a fare un passo indietro.

«Grazie», disse Jacob, cortese.

Edward annuì e mi rivolse uno sguardo deciso, prima di allontanarsi.

Jacob mi si avvicinò e prendemmo posizione nella danza. Per posargli le mani sulle spalle dovetti quasi arrampicarmi.

«Accidenti, Jake, quanto sei alto adesso?».

«Più di un metro e ottanta», rispose fiero.

In realtà non ballavamo: ero immobilizzata dall’ingessatura. Ci limitavamo a dondolare goffi sul posto. Andava bene lo stesso. La crescita improvvisa lo aveva reso dinoccolato e scoordinato; probabilmente non era meglio di me, come ballerino.

«Come sei finito qui, stasera?», chiesi, ma non ero troppo curiosa. Probabilmente a causa della reazione di Edward.

«Ci credi se ti dico che mio padre mi ha dato venti verdoni per venire al tuo ballo di fine anno?», confessò, leggermente intimidito.

«Sì, ci credo», bofonchiai. «Be’, se non altro spero che tu ti stia divertendo. Hai visto qualcuna che ti piace?». Indicai un gruppo di ragazze, allineate lungo la parete come pastelli dentro una scatola.

«Sì», sospirò, «una, ma è occupata».

Abbassò gli occhi e incontrò i miei per un istante. Poi entrambi distogliemmo lo sguardo, imbarazzati.

«A proposito, sei molto carina stasera», aggiunse timido.

«Ehm, grazie. Ma perché Billy ti avrebbe pagato per venire qui?», chiesi svelta, malgrado conoscessi già la risposta.

Jacob non sembrava contento che avessi cambiato discorso; guardò altrove, di nuovo a disagio. «Secondo lui era un posto “sicuro” per parlare con te. Mi sa tanto che il vecchio ha perso qualche rotella».

Mi unii senza entusiasmo alla sua risata.

«E comunque, mi ha detto che se ti riferisco un certo messaggio, mi procurerà il cilindro freni che cerco», ammise, sorridendo impacciato.

«Allora parla. Ci tengo a vedere la tua macchina finita», risposi ammiccandogli. Se non altro, Jacob non credeva affatto a suo padre, e ciò rendeva tutto un po’ più facile. Appoggiato alla parete, Edward, imperturbabile, osservava la mia espressione. Una studentessa del secondo anno vestita di rosa se lo stava rimirando timida, ma lui non se ne accorse.