Fingo rise. — Bene, è vero, ma lo sappiamo tutti. Perché ti rimanda indietro?
Francis gettò uno sguardo sulla cassetta, vicino ai suoi piedi. — Ho trovato alcune cose appartenenti al Beato Leibowitz. Ho cominciato a dirglielo, ma non mi ha creduto. Non ha lasciato che gli spiegassi. Ha…
— Hai trovato che cosa? — Fingo sorrise incredulo, poi cadde in ginocchio e aprì la cassetta mentre il novizio osservava nervoso. Il monaco rimestò con un dito i cilindri baffuti negli scomparti e zufolò sommessamente. — Incantesimi dei pagani delle colline, no? È roba antica, Francisco, veramente antica. — Guardò il biglietto sul coperchio.
— Cosa sono quelle sciocchezze? — chiese, guardando lo sconsolato novizio attraverso gli occhi socchiusi.
— Inglese prediluviale.
— Non l'ho mai studiato, tranne quello che cantiamo in coro.
— È stato scritto dal Beato in persona.
— Questo? - frate Fingo levò lo sguardo dal biglietto a frate Francis e poi tornò a posarlo sul foglio. Scosse improvvisamente il capo, richiuse la cassetta e si alzò. Il suo ghigno diventò artificiale. — Forse il Padre ha ragione. Farai meglio a ritornare indietro e a farti preparare dal frate farmacista qualcuna delle sue specialità a base di funghi. Hai la febbre, fratello.
Francis alzò le spalle. — Forse.
— Dove hai trovato questa roba?
Il novizio glielo indicò. — Da quella parte, dopo qualche monticello. Ho smosso qualche pietra. C'è stata una frana, e ho trovato un sotterraneo. Vai a vedere tu stesso.
Fingo scosse il capo. — Mi aspetta un bel po' di strada.
Francis raccolse la cassetta e si avviò verso l'abbazia mentre Fingo ritornava ai suoi asinelli, ma dopo pochi passi il novizio si fermò e lo chiamò.
— Frate Macchie… puoi perdere due minuti?
— Forse — rispose Fingo. — Perché?
— Allora vai là e guarda nella buca.
— Perché?
— Così potrai dire a Padre Cheroki che c'è davvero.
Fingo si fermò, con una gamba già a cavalcioni del somaro. — Ah! — E ritirò la gamba. — Benissimo. E se non c'è, lo dirò a te!
Francis osservò per un momento, mentre Fingo si allontanava a grandi passi, scomparendo fra i monticelli; poi si voltò per percorrere, a passi strascicati, la lunga pista polverosa verso l'abbazia, mangiucchiando a intermittenza un po' di grano e bevendo qualche sorso dall'otre. Ogni tanto si voltava a guardare indietro. Fingo era scomparso da più di due minuti. Frate Francis aveva smesso di aspettarne la ricomparsa quando udì un grido lontano levarsi dalle rovine, dietro di lui. Si voltò. Riuscì a distinguere la figura dello scultore ritta su uno dei monticelli. Fingo agitava le braccia e annuiva vigorosamente con il capo in segno affermativo. Francis agitò le braccia a sua volta, poi proseguì fiaccamente il suo cammino.
Due settimane di inedia quasi totale avevano preteso il loro tributo. Dopo due o tre miglia cominciò a barcollare. Quando distava ancora un miglio dall'abbazia, svenne accanto alla strada. Era pomeriggio inoltrato quando Cheroki, di ritorno dalle sue visite, lo vide lì disteso, smontò in fretta e bagnò il viso del giovane fino a che lo fece gradualmente rinvenire. Cheroki aveva incontrato gli asinelli del rifornimento durante il cammino di ritorno, e si era fermato ad ascoltare il racconto di Fingo, che confermava la scoperta di frate Francis. Sebbene non fosse disposto a credere che Francis avesse scoperto qualcosa di veramente importante, il prete si pentì della sua impazienza di poco prima nei confronti del giovane. Quando ebbe notato la cassetta che giaceva, lì accanto, con il suo contenuto parzialmente sparso al suolo, e quando ebbe lanciato un breve sguardo al foglietto incollato al coperchio, mentre Francis sedeva, stordito e confuso, sul ciglio della pista, Cheroki cominciò a considerare i balbettamenti del ragazzo come il risultato di una immaginazione romantica piuttosto che del delirio o della pazzia. Non aveva visitato la cripta e non aveva esaminato attentamente il contenuto della cassetta, ma era evidente, per lo meno, che il ragazzo aveva interpretato erroneamente alcuni eventi reali, invece di confessare delle allucinazioni.
— Puoi finire la tua confessione non appena saremo arrivati — disse sottovoce al novizio, aiutandolo a salire dietro la sella della giumenta. — Credo di poterti assolvere se non insisti nell'affermare d'aver ricevuto messaggi personali dai santi. Eh?
Per il momento, frate Francis era troppo debole per insistere in qualsiasi cosa.
4
— Avete fatto bene — brontolò alla fine l'abate. Aveva camminato lentamente avanti e indietro nel suo studio per circa cinque minuti; la sua larga faccia da contadino aveva un serrato cipiglio muscolare, mentre Padre Cheroki se ne stava seduto nervosamente sull'orlo della sedia. L'abate non aveva pronunciato parola da quando Cheroki era entrato nella stanza, in risposta al suo invito; Cheroki sussultò lievemente quando l'Abate Arkos brontolò finalmente quelle parole.
— Avete fatto bene — disse ancora l'abate, fermandosi in mezzo alla stanza e guardando a occhi socchiusi il priore, che finalmente cominciò a rilassarsi. Era quasi mezzanotte e Arkos era stato sul punto di ritirarsi per dormire un paio d'ore prima del Mattutino e delle Laudi. Ancora umido e spettinato dopo una recente immersione nel barile che costituiva la sua vasca da bagno, a Cheroki sembrava un orso mannaro solo parzialmente trasformato in uomo. Indossava una veste di pelli di coyote, e l'unico segno del suo ufficio era la croce pettorale che riposava sul suo petto tra il pelo nero e lampeggiava, alla luce delle candele, ogni volta che l'abate si voltava verso la scrivania. I capelli umidi gli spiovevano sulla fronte; con la corta barbetta appuntita e le pelli di coyote sembrava, in quel momento, non tanto un prete quanto un comandante militare, pieno di repressa furia di battaglia dopo un recente combattimento. Padre Cheroki, che veniva da una schiatta baronale di Denver, aveva la tendenza a reagire formalmente alle facoltà ufficiali dell'altro, a parlare con cortesia davanti al simbolo del potere, senza permettersi di vedere l'uomo che lo portava, seguendo in questo le usanze di Corte in auge in molte epoche. Così, Padre Cheroki aveva sempre mantenuto rapporti formalmente cordiali con l'anello e la croce pettorale, con l'ufficio del suo abate, ma si permetteva di vedere il meno possibile di Arkos in quanto uomo. Questo era piuttosto difficile nelle circostanze attuali, poiché il Reverendo Padre Abate era uscito di fresco dal bagno e zampettava nello studio a piedi nudi. A quanto pareva, si era appena tagliato un callo, e aveva inciso troppo profondamente: uno degli alluci sanguinava. Cheroki cercava di non notarlo, ma si sentiva molto imbarazzato.
— Sapete di che cosa sto parlando? — grugnì impaziente Arkos.
Cheroki esitò. — Vi dispiacerebbe, Padre Abate, essere più specifico… nel caso che sia connesso con qualcosa che io posso avere udito soltanto in confessione?
— Ah? Oh! Bene, sono veramente sconvolto! Voi avete udito la sua confessione, l'avevo dimenticato. Bene, inducetelo a raccontarvi tutto di nuovo, in modo che possiate parlare… sebbene, lo sa il Cielo, ormai la voce si sia sparsa in tutta l'abbazia. No, non andate subito da lui. Parlerò con voi, e voi non rispondete se tocco un argomento coperto dal segreto della confessione. Avete visto quella roba? — L'Abate Arkos fece un cenno in direzione della scrivania su cui il contenuto della cassetta di frate Francis era stato rovesciato per essere esaminato.
Cheroki annuì, lentamente. — L'aveva lasciata cadere vicino alla strada, quando è svenuto. Io l'ho aiutato a raccogliere tutto, ma non l'ho guardata con molta attenzione.
— Bene, sapete che cosa pretende che sia?
Padre Cheroki distolse lo sguardo e mostrò di non aver udito la domanda.