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— Sta bene, sta bene — grugnì l'abate. — Non importa che cosa lui sostiene che sia. Andate a guardare voi stesso attentamente e decidete che cos'è, secondo voi.

Cheroki andò a curvarsi sulla scrivania ed esaminò con cura le carte, una alla volta, mentre l'abate camminava avanti e indietro e continuava a parlare, apparentemente al prete ma in realtà quasi a se stesso.

— È impossibile! Voi avete fatto bene a rimandarlo qui prima che scoprisse altra roba. Ma naturalmente questo non è il peggio. Il peggio è il vecchio di cui va blaterando. È grave. Non c'è niente che potrebbe danneggiare la causa più di un fiume di improbabili "miracoli". Qualche vera coincidenza, certamente! Si deve stabilire che l'intercessione del Beato ha prodotto fatti miracolosi… prima che sia possibile la canonizzazione. Ma questo può essere troppo! Pensate al Beato Chang, beatificato due secoli fa, e mai canonizzato… fino ad ora. E perché? Il suo Ordine divenne troppo impaziente, ecco perché. Ogni volta che qualcuno guariva da una tosse, era un intervento miracoloso del Beato. Visioni in cantina, evocazioni sul campanile: sembrava più una raccolta di storie di fantasmi che un elenco di casi miracolosi. Forse due o tre casi erano veramente validi, ma quando c'è troppa paglia… ebbene?

Padre Cheroki alzò la testa. Le nocche delle sue mani erano divenute bianche per la pressione esercitata sull'orlo della scrivania, e il suo viso sembrava teso. Pareva non avesse ascoltato. — Scusatemi, Padre Abate.

— Ebbene, la stessa cosa può capitare qui, ecco — disse l'abate, e ricominciò a camminare lentamente avanti e indietro. — L'anno scorso c'è stato frate Noyon e il suo miracoloso cappio del carnefice. Ah! E l'anno prima, frate Smirnov fu misteriosamente guarito della gotta… come? toccando una probabile reliquia del nostro Beato Leibowitz, dicevano quei giovani zotici. E adesso Francis incontra un pellegrino… che indossa che cosa?… indossa come gonnellino la stessa tela di sacco con cui incappucciarono il Beato Leibowitz prima di impiccarlo. E cosa ha per cintura? Una corda. Che corda? Ah, la stessa… — Si fermò, volgendosi a Cheroki. — Posso capire dalla vostra espressione sorpresa che questa non l'avevate ancora saputa. No? Benissimo, non potete dirlo. No, no, Francis non ha detto questo. Tutto quello che ha detto è… — L'Abate Arkos cercò di iniettare un lieve tono di falsetto nella sua voce normalmente burbera. — Tutto ciò che ha detto frate Francis è: «Ho incontrato un vecchietto, e ho pensato che fosse un pellegrino diretto all'abbazia perché andava da quella parte e portava un vecchio sacco stretto attorno ai fianchi da un pezzo di corda. Ha fatto un segno sulla pietra, e il segno era così».

Arkos tolse un pezzo di pergamena dalla tasca della veste di pelliccia e lo tenne alto davanti al viso di Cheroki nella luce della candela. Poi continuò, con poco successo, il tentativo di imitare frate Francis: — "Non sono riuscito a capire cosa significasse voi lo sapete?"

Cheroki fissò i simboli e scosse il capo.

— Non lo chiedevo a voi - brontolò Arkos con voce normale. — È quello che ha detto Francis. Non lo sapevo neanch'io.

— E adesso lo sapete?

— Adesso lo so. Qualcuno è andato a controllare. Questa è una lamedh, e quella è una sadhe. Lettere ebraiche.

— Sadhe lamedh?

— No. Da destra a sinistra. Lamedh sadhe. Una elle e un suono tra la ti e la esse. Se vi fossero segni di vocali, potrebbe essere "loots", "lots", "lets", "latz", "litz"… qualunque cosa di questo genere. Se vi fosse qualche lettera in mezzo a queste due, potrebbe suonare come Llll… indovinate chi.

— Leibo… Oh, no!

— Oh, sì! Frate Francis non ci ha pensato. Ci ha pensato qualcun altro. Frate Francis non ha pensato al cappuccio di tela da sacco e alla corda del carnefice; ci ha pensato uno dei suoi confratelli. Così, cosa succede? Prima di notte, l'intero noviziato stava già ronzando per la dolce favoletta che Francis ha incontrato là fuori lo stesso Beato, e il Beato ha accompagnato il nostro ragazzo fino al punto in cui era questa roba e gli ha detto che avrebbe trovato la vocazione.

Un cipiglio di perplessità contrasse per un attimo il viso di Cheroki. — Frate Francis ha detto questo?

— Noo! — ruggì Arkos. — Non avete ascoltato? Francis non ha detto una cosa simile. Vorrei che l'avesse fatto, per la miseria; allora l'avrei colto in fallo, il birbante! Ma lui la racconta in modo dolce e semplice, piuttosto stupido, in realtà e lascia che siano gli altri a interpretarne il significato. Io non gli ho parlato, personalmente. Ho mandato il Rettore dei Memorabilia a farsi raccontare la sua versione.

— Credo che farei meglio a parlare a frate Francis — mormorò Cheroki.

— Fatelo! Quando siete entrato, non sapevate ancora se dovevo arrostirvi vivo o no. Per averlo fatto ritornare, voglio dire. Se l'aveste lasciato fuori nel deserto, non ci troveremmo alle prese con questa fantastica tiritera. Ma, d'altra parte, se fosse rimasto là fuori, non si può sapere che altro avrebbe tirato fuori da quel sotterraneo. Io credo che abbiate fatto bene a mandarlo qui.

Cheroki, che aveva preso la decisione su basi molto diverse, giudicò che la politica più appropriata fosse il silenzio.

— Parlategli — ringhiò l'abate. — Poi mandatelo da me.

Erano circa le nove di un luminoso lunedì mattina quando frate Francis bussò timidamente alla porta dello studio dell'abate. Una buona notte di sonno sul duro pagliericcio, nella sua vecchia, solita cella, più un'insolita colazione non avevano forse fatto prodigi per i suoi tessuti esausti e non avevano spezzato via completamente il riverbero del sole dal suo cervello, ma quei lussi relativi lo avevano per lo meno restituito a una chiarezza di mente sufficiente a consentirgli di intuire che aveva motivo di essere spaventato. Infatti era terrorizzato, così che il suo primo tocco alla porta dell'abate non si udì affatto. Neppure Francis poté udirlo. Dopo parecchi minuti, riuscì a raccogliere il coraggio necessario per bussare ancora.

— Benedicamus Domino.

— Deo gratias? - chiese Francis.

— Entra, figliolo entra! — chiamò una voce affabile che Francis, dopo qualche secondo di perplessità, riconobbe, sbalordito, per quella del suo abate.

— Gira la maniglia, figlio mio — disse la stessa voce amichevole dopo che frate Francis si era fermato irrigidito per parecchi secondi, con le nocche ancora nella posizione di bussare.

— S-s-sì… — Francis toccò appena la maniglia, ma parve che quella maledetta porta si aprisse comunque; aveva sperato che sarebbe rimasta saldamente bloccata.

— Monsignore l'Abate ha m-m-m-andato a chiamare… me? — squittì il novizio.

L'abate Arkos sporse le labbra e annuì lentamente. — Uhm-sì, l'Abate ha mandato a chiamare… te. Entra e chiudi la porta.

Frate Francis chiuse la porta e rimase ritto, rabbrividendo, nel centro della stanza. L'abate giocherellava con qualcuno degli oggetti dai baffi di filo metallico tolti dall'antica cassetta.

— O forse sarebbe stato più conveniente — disse l'Abate Arkos — se il Reverendo Padre Abate fosse stato chiamato da te. Ora che tu sei stato così favorito dalla Provvidenza e sei diventato così famoso, eh? — E sorrise in modo accattivante.

— Eh? Eh? — Frate Francis rise con aria interrogativa. — Oh, n-n-no, Monsignore.

— Non contesti di aver acquisito fama molto rapidamente? Di essere stato eletto dalla Provvidenza per scoprire questo… — E indicò con un gesto le reliquie sparse sulla scrivania — … questa cassetta di cianfrusaglie come il suo precedente proprietario la chiamava giustamente?