Eppure, aveva qualche presentimento. Qualche minaccia innominata era in agguato, all'angolo del mondo, non appena il sole fosse sorto di nuovo. Quella sensazione lo rodeva, tormentosa come uno sciame di insetti affamati che ronzassero attorno al viso di un pellegrino nel sole del deserto. C'era la sensazione di qualcosa di imminente, di spietato, di irragionevole: si avvolgeva in spire come un serpente a sonagli reso furioso dal calore e pronto a colpire un ciuffo d'erba che rotolasse.
Era un demonio, quello che cercava di affrontare, decise l'abate, ma era un demonio molto evasivo. Il diavolo dell'abate era piuttosto piccolo: alto quanto il ginocchio di un uomo, ma pesava dieci tonnellate e aveva la forza di cinquecento buoi. Non era spinto dalla malizia, come l'immaginava Don Paulo, quanto da una convulsione frenetica, qualcosa che somigliava al furore di un cane idrofobo. Azzannava carne e ossa e unghie semplicemente perché si era dannato, e la dannazione creava un appetito dannatamente insaziabile. Ed era malvagio semplicemente perché aveva negato il Bene, e quella negazione era diventata parte della sua essenza, o una falla in essa. In qualche luogo, pensò Don Paulo, stava guadando un mare di uomini, lasciando dietro di sé una veglia funebre di uomini storpiati.
Che sciocchezza, vecchio!, si rimproverò. Quando si è stanchi di vivere, ogni cambiamento sembra malvagio, non è così? perché allora qualunque cambiamento disturba la pace della noia di vivere, così simile alla morte. Oh, c'è il diavolo, sì, ma non dobbiamo dargli più credito del dovuto. Sei così stanco di vivere, vecchio fossile?
Ma i presentimenti continuarono.
— Pensate che le poiane abbiano già divorato il vecchio Eleazar? — chiese una voce tranquilla, accanto a lui.
Don Paulo si girò con un sussulto, nella penombra. La voce era quella di Padre Gault, il suo priore e probabile successore. Se ne stava là, toccando una rosa, e sembrava imbarazzato per aver disturbato la solitudine del vecchio.
— Eleazar? Volete dire Benjamin? Perché, avete avuto sue notizie, in questi ultimi tempi?
— Ecco, no. Padre Abate. — Gault rise, imbarazzato. — Ma mi pareva che voi guardaste verso la mesa, e ho creduto che steste pensando al Vecchio Ebreo. — Guardò verso la montagna a forma di incudine, profilata contro una fascia grigia di cielo, a occidente. — C'è un filo di fumo, lassù, quindi credo che sia ancora vivo.
— Non dovremmo limitarci a crederlo — disse bruscamente Don Paulo. — Andrò lassù, a fargli visita.
— Parlate come se steste per partire questa notte — ridacchiò Gault.
— Partirò fra un giorno o due.
— Sarà meglio che siate prudente. Dicono che scagli pietre contro coloro che si avvicinano.
— Non lo vedo da cinque anni — confessò l'abate. — E mi vergogno. È molto solo. Andrò da lui.
— Se è tanto solo, perché si ostina a vivere come un eremita?
— Per sfuggire alla solitudine… in un mondo giovane.
Il giovane prete rise. — Questo è forse logico secondo lui, Domne, ma io non capisco.
— Capirete, quando avrete la mia età… o la sua.
— Non penso di diventare tanto vecchio. Afferma di avere parecchie migliaia di anni.
L'abate sorrise, ricordando. — E, sapete, non posso discuterne con lui. Lo conobbi quando ero soltanto un novizio, cinquanta e più anni or sono, e giurerei che sembrava vecchio quanto ora. Deve avere superato i cent'anni.
— Tremiladuecentonove anni, così sostiene lui. Qualche volta dice di essere ancora più vecchio. E credo che ne sia convinto, anche. Una interessante follia.
— Non sono tanto sicuro che sia pazzo, Padre. Soltanto anormale, nella sua lucidità. Perché volevate parlarmi?
— Per tre piccole questioni. Prima, come faremo ad allontanare il Poeta dalle stanze degli ospiti reali… prima che arrivi il Thon Taddeo? Deve arrivare fra pochi giorni, e il Poeta ha messo radici.
— Tratterò io con il Poeta. Che altro?
— I Vespri. Verrete in chiesa?
— Non fino a Compieta. Pensateci voi. Che altro?
— C'è una discussione nel sotterraneo… per l'esperimento di frate Kornhoer.
— Chi e come?
— Ecco, sembra che il nocciolo della questione sia questo: frate Armbruster ha l'atteggiamento di vespero mundi expectando, mentre frate Kornhoer sostiene che siamo al mattino dell'età dell'oro. Kornhoer sposta qualcosa per far posto a un pezzo della sua attrezzatura. Armbruster grida Perdizione? Frate Kornhoer grida Progresso! e si accapigliano di nuovo. Poi vengono da me, furibondi, perché risolva la discussione. Io li rimprovero perché hanno perduto la calma. Quelli diventano umili e per dieci minuti si sopportano a vicenda. Sei ore dopo, il pavimento trema per le urla di "Perdizione!" lanciate da frate Armbruster nella biblioteca. Io riesco a dominare le esplosioni ma mi pare che sia una questione fondamentale.
— È una fondamentale offesa della giusta condotta, direi. Cosa volete che faccia? Che li escluda dalla mensa comune?
— Non ancora, ma potreste ammonirli.
— Benissimo, ci penserò io. È tutto?
— È tutto, Domne. — Gault fece per allontanarsi, ma si fermò. — Oh, fra l'altro… pensate che il meccanismo di frate Kornhoer funzionerà?
— Spero di no! — sbuffò l'abate.
Padre Gault si mostrò sorpreso. — Ma allora, perché permettergli…
— Perché all'inizio ero incuriosito. Tuttavia quel lavoro ha destato tanto scompiglio, ormai che mi dispiace di avergli permesso di cominciare.
— E allora perché non lo fermate?
— Perché spero che si arrenderà davanti all'assurdità senza bisogno d'aiuto da parte mia. Se l'esperimento fallisce, fallirà proprio in tempo per l'arrivo del Thon Taddeo. Questa sarebbe la mortificazione più adatta per frate Kornhoer… gli ricorderebbe la sua vocazione, prima che cominciasse a pensare di essere stato chiamato alla Religione al solo scopo di costruire un generatore di essenze elettriche nel sotterraneo del monastero!
— Ma, Padre Abate, dovrete ammettere che sarebbe una grande conquista, se l'esperimento avesse successo.
— Non è necessario che lo ammetta — disse seccamente Don Paulo.
Quando Gault si fu allontanato, l'abate, dopo una breve discussione con se stesso, decise di risolvere il problema del Poeta prima del problema perdizione-contro-progresso. La soluzione più semplice del problema del Poeta sarebbe stato allontanarlo dall'appartamento reale, e possibilmente anche all'abbazia, dai dintorni dell'abbazia, fuori dalla portata di vista, di udito e di pensiero. Ma nessuno poteva sperare che sbarazzarsi del Poeta fosse una "soluzione semplice".
L'abate lasciò le mura e attraversò il cortile, dirigendosi verso la foresteria. Si muoveva a memoria, poiché gli edifici erano monoliti d'ombra sotto le stelle e soltanto poche finestre splendevano della luce delle candele. Le finestre dell'appartamento reale erano buie; ma il Poeta seguiva orari strani, e poteva darsi che fosse nel suo alloggio.
Entrato nell'edificio, l'abate cercò a tentoni la porta di destra, la trovò, e bussò. Non vi fu alcuna risposta immediata, ma solo un debole belato che poteva e non poteva provenire dall'interno dell'appartamento.
Bussò di nuovo, poi provò ad aprire la porta. Si aprì.
Un fievole chiarore rossastro da un bruciatore a carbone addolciva l'oscurità: la stanza odorava di cibo rancido.
— Poeta?
Di nuovo si udì quel debole belato, ma più vicino. Si avvicinò al bruciatore, ne tolse con le molle un carbone incandescente, se ne servì per accendere un ramoscello. Si guardò intorno e rabbrividì, vedendo il disordine della stanza. Era vuota. L'abate accese una lampada a olio e andò ad esplorare il resto dell'appartamento. Sarebbe stato necessario pulirla e fumigarla con ogni cura… forse addirittura esorcizzarla, prima che il Thon Taddeo vi entrasse. Sperò di indurre il Poeta a fare le pulizie, ma sapeva che era una possibilità molto remota.