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«Mi ha guardato per imprimersi nella memoria la mia faccia» disse amabilmente lo sconosciuto. «A-tre-alfa... Darà la mia descrizione allo Psicoprop, a meno che non le raccontiate una frottola. Di quelle che gli androidi bevono facilmente.»

«Forse adesso vorrete spiegarmi che cosa è que­sta storia» disse Markham. «Sono alquanto curioso.»

Lo sconosciuto sorrise, mettendo in mostra una den­tatura ingiallita. «Voi siete il Sopravvissuto, vero? John Markham. Se vi dicessi il mio nome potreste procurarmi vent’anni in animazione sospesa, se avrò for­tuna, o un lavaggio del cervello se non ne avrò... am­mettendo che riusciste a trattenermi finché il vostro androide non si fosse messo in contatto con il Gruppo della City. Perciò vi dirò il mio nome e ne farò un problema di etica: un problema vostro. Sono Gray Walta Hyggens, un tempo professore di Filosofia al­l’Università di Oxford, che Dio l’abbia in gloria... Chiamatemi soltanto professore.»

«Bene, adesso ci conosciamo» disse Markham. «Vogliamo venire al sodo?»

«Ti dispiace se ti chiamo John?» chiese l’altro con un sorriso. «Un semplice trucchetto psicologico. Ti sarà più difficile consegnarmi al nemico se saremo in termini di amicizia.»

«Perché dovrei consegnarvi?»

«John, io sono un Fuggiasco. Ecco perché potrebbe venirti l’idea di denunciarmi. Ma non lo farai... o al­meno, penso proprio che non vorrai farlo perché an­che tu, in fondo, sei un Fuggiasco. Non lo sai ancora, probabilmente. Ma te ne renderai conto appena avrai assaggiato come sia in effetti questo adorabile mondo nuovo.»

«Consideratemi pure un bambino di quattro anni» disse Markham. «Non so niente di niente, io. Sono appena uscito dalla ghiacciaia. Cos’è un Fuggiasco?»

«Io» disse il professor Hyggens, sorridendo, con affettazione. «Ne sono la definizione perfetta. Un paz­zo antiquato e refrattario che crede nella dignità uma­na, nella libertà d’azione e nel diritto di lavorare. So­no pericoloso. Praticamente sono un anarchico. La so­cietà non mi ama, o meglio, mi teme addirittura e per società, John, intendo i maledetti androidi. Quindi mi si propone per l’Analisi. Ora, io non ho una grande opinione dell’Analisi, perché alcuni miei amici l’han­no subita, e dopo essere stati analizzati non sono più gli stessi. Non sembrano più nemmeno esseri umani... per lo meno dal mio punto di vista. Dov’ero rimasto? Oh, già l’Analisi. Dunque, io rifiuto di lasciarmi ana­lizzare, e loro rifiutano di iscrivermi nell’Elenco Ma­schile. I miei assegni non hanno più corso, ragione per cui muoio di fame, o divento Fuggiasco. Un Fuggia­sco, John, è un uomo al quale non è rimasto più nien­te, salvo il rispetto di se stesso. Per conservare questo rispetto, e tra parentesi anche la propria li­bertà, è costretto a rubare indumenti e viveri, a fare a pezzi gli androidi ficcanaso, a vivere di notte e a rap­presentare una minaccia per tutti gli esseri umani per bene. Che te ne pare?»

«Orribile» disse Markham. «Bene, mi avete spie­gato cosa siete. Ditemi ora il perché.»

Il professor Hyggens tolse di tasca una vecchia pipa e cominciò a riempirla di tabacco. «Brutta abitudine. Antigienica. Disgustosa. Provoca il cancro, la tuberco­losi, l’indurimento delle arterie, e il buon senso. Vuoi fumare?»

«Grazie, no. Fumo sigarette.»

«È piacevole essere antigienici, vero?» disse il pro­fessore. «E ora vediamo un po’. Mi hai chiesto per­ché... Ecco John, io sono vecchio. Ho vissuto a suffi­cienza da vedere questi maledetti androidi imposses­sarsi di tutto. Trent’anni fa insegnavo filosofia, è un modo un po’ pomposo di presentare la cosa, magari, a classi composte di venti o trenta studenti. Tutti esseri umani. Non molto intelligenti, tranne i soliti due o tre, ma pur sempre umani. Poi le mie classi cominciarono a farsi meno numerose. Diamine, qual era il costrutto nel consumare materia grigia sul positivismo logico quando il mondo offriva tanta facilità di vita? Ma do­po un paio d’anni, quando i miei corsi contavano al massimo nove o dieci studenti, il numero aumentò di nuovo. C’era da ridere, ma ti assicuro che non era una risata allegra.»

Markham prese un’altra sigaretta e si accorse sorpreso che le dita gli tremavano. «Sono ancora un po’ debole» spiegò. «Mentalmente e fisicamente... Avete detto che il numero aumentò di nuovo?»

Il professor Hyggens annuì. «Gli androidi» disse con enfasi. «Gli androidi studiavano filosofia. Che te ne pare di questa barzelletta?»

Markham lo fissava. «Dipende dal senso dell’umo­rismo che uno ha» disse. «Personalmente, sarei stato più incline a perdere il sonno che a ridere.»

Il professor Hyggens prese un’aria beata e soddisfat­ta. «Lo sapevo che di temperamento eri un Fuggia­sco. Maledizione, dovevi per forza esserlo, appena usci­to come sei dal glorioso ventesimo secolo. Ma il me­glio deve ancora venire, John. Il numero continuò a crescere, e gli umani continuarono a diminuire. A un certo punto avevo in classe due soli allievi umani: uno era un poliomielitico, l’altro era rimasto infor­tunato in seguito a un incidente di volo. Forse per questo si erano iscritti a filosofia, penso. Ma il resto della classe era composto di androidi, grandi androidi intelligenti, pronti a papparsi in quattro e quattr’otto la saggezza di secoli e secoli. Ero talmente furibondo che avrei voluto creare in classe un bel campo elettro­magnetico per fondere i loro maledetti circuiti. E sai cosa feci?»

Suo malgrado, Markham cominciava a provare sim­patia per quel vecchio. Era sudicio, straccione, e puzza­va d’alcol. Ma c’era qualcosa di irresistibile, nella sua personalità: un entusiasmo, una malizia che lo rende­vano estremamente giovanile.

«Lasciate perdere le domande retoriche» disse sec­co Markham. «Non sono in carattere con un profes­sore di filosofia.»

Il professor Hyggens rise. «Troppo giusto. Lo sai che feci, John? Inghiottii il mio sacro sdegno, e conti­nuai a insegnare a quei luridi bastardi la metafisica e la logica meglio che potevo... Non hai mai fatto lezio­ne all’università, John?»

«No, ma sono stato a lezione.»

«Allora conosci la ricetta, figliolo. Stuzzicare l’in­teresse degli studenti con una piacevole dichiarazione controversa, versarci dentro due quarti di informazio­ni autentiche, e salare bene con qualche aneddoto fuo­ri chiave. Poi lasciare che il tutto scivoli dolcemente nel lento forno mentale.»

«Usate delle curiose metafore.»

«Appropriate» disse in tono solenne il professor Hyggens. «Se il cervello umano non è un forno, come può la cultura restare a metà cottura? Dunque, come ti dicevo, questa è la ricetta. Non con gli androidi, pe­rò. Nossignore. Quelli ti siedono di fronte come maci­gni, ti fissano come gatti di porcellana, e tu versi in­gredienti con tutta la velocità che ti è possibile perché il loro potere di assimilazione è senza limiti. Sai, John, io sono un imbecille di professione. Avrei dovuto anti­cipare la loro mossa successiva. Chiunque non fosse stato un professore mattoide ci sarebbe riuscito.»

«Così a occhio» disse «ritengo che abbiano elimi­nato il corso di filosofia perché gli androidi avevano scoperto di non averne bisogno.»

«Non è esattamente così, figliolo.» Il sorriso che gli rivolse Hyggens era paterno. «Si limitarono a eli­minare me.»

«In che senso?»

«Licenziato... ecco il senso. Trovarono un profes­sore più efficiente. Un androide, John! Uno dei miei ex studenti. E adesso dimmi che non è divertente!»

Markham rimase silenzioso per un poco. Silenzioso e avvilito. Poi disse: «C’è una cosa che non afferro. Perché mai gli androidi dovrebbero studiare filosofia? Da quello che ho scoperto fino a questo momento so­no puramente funzionali.»

«La filosofia» disse il professore «è vita. Per lo meno è uno dei grandi aspetti della vita, della vita intel­lettiva. Ecco perché gli androidi ci tengono a incame­rarla nelle loro bobine. Per poter valutare i problemi della vita.»