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«Ne hanno bisogno?»

Il professor Hyggens batté la pipa contro la suola logora della scarpa. «Così pensano. A che punto ne abbiano bisogno chiedilo a te stesso.»

«Ve lo sarete già chiesto voi. C’è una risposta?»

«Forse, e forse non c’è. Ma di sicuro questa doman­da ne comporta una seconda. Hai mai cercato di defi­nire la vita, John?»

Markham guardò il giardino, e Marion-A che ora stava vicino all’eliauto. «Non so» disse. «Può darsi... molto tempo fa.»

«Bene, tenta di nuovo, adesso.»

Markham rifletté un poco, poi disse esitando: «Tut­te le cose viventi consumano e poi si riproducono... È il meglio che possano fare, temo.»

«E non è molto» disse Hyggens divertito. «Ci dice cosa fa la vita, ma non cos’è. Sei d’accordo che il cibo, per esempio, è solo una forma di energia?»

«Sì.»

«E allora gli androidi consumano cibo, John. In­fatti usano l’energia. Inoltre si riproducono, e con mol­ta più efficienza degli umani. Hanno un’organizzazio­ne riproduttiva, mentre noi abbiamo ancora l’antico e superato sistema dell’accoppiamento. E poi, John, hanno una loro linea di evoluzione. Non cambiano per caso, si perfezionano secondo piani ben presta­biliti.»

«Cosa vorreste dimostrare?»

«Niente, figliolo. Sto solo facendo riflessioni a alta voce da vecchio matto. Non puoi aggiungere qualco­s’altro alla definizione di vita, o magari qualche altra descrizione di quello che la vita fa?»

All’improvviso, Markham sorrise trionfante. «Forse ci sono, professore! Tutti gli esseri viventi comples­si devono adattarsi all’ambiente e tentare di dominar­lo. Fa parte della loro natura, è l’elemento dinamico. Se una specie non ci riesce, è condannata a estinguer­si... Ripensandoci, in una creatura autocosciente alta­mente organizzata, questo potrebbe spiegare la ricerca individuale e collettiva del potere. Che ve ne pare?»

«Niente male» disse il professor Hyggens in tono serio. «Mi piace soprattutto la parte che riguarda l’in­seguimento del potere. Sai come sono cominciati gli androidi, John? Dapprima, erano computer elettroni­ci, poi robot da due tonnellate programmati per ese­guire semplici lavori a ripetizione. Poi robot a misura d’uomo che sapevano fare parecchie cose... bastava spie­gare loro come e quando. Infine gli androidi, ai quali non c’era bisogno di dire né come né quando. Face­vano esattamente tutto quello che volevamo che faces­sero, perché erano programmati così. Ma, John, io non volevo che un androide mi sostituisse come professo­re. E conoscevo un chirurgo che non voleva cedere il suo bisturi, e un ingegnere che amava moltissimo il suo regolo. Il chirurgo ora è morto, si è ucciso. L’in­gegnere si è sottomesso all’Analisi. La ricerca del po­tere, dicevi? A me pare che la descrizione fatta da te si adatti meglio agli androidi che agli uomini.»

«Dove volete arrivare?»

«Chi... io? A niente! Però ripensa a quello di cui abbiamo parlato, John. Potrebbero venirti alcune idee interessanti... Mah, mi sono soffermato nello stesso po­sto anche troppo. Meglio incamminarsi. Noi Fuggia­schi dobbiamo stare molto attenti, se vogliamo conti­nuare a fuggire. Di’ al tuo androide che volevo con­vincerti a unirti a una colonia di adoratori del Sole, in Cornovaglia. Può darsi che la beva. Specialmente se le farai capire che sei molto disgustato all’idea.» Con molti brontolii, il professor Hyggens si rimise in piedi.

«Dove andrete?»

«Altrove» rispose con dolcezza il professore. «Se non lo sai, non puoi dirlo, ti pare?»

«E se volessi mettermi in contatto con voi?»

«Volentieri, John. Stabilirò il contatto, se penserò che ne valga la pena. Gli androidi non hanno ancora il monopolio dell’organizzazione. Anche noi poveri Fuggiaschi conosciamo qualche trucchetto per organiz­zarci. A proposito, tu eri nel Risanatorio di Londra-Nord, vero?»

«Sì.»

«Non hai per caso incontrato una ragazza, là... si chiama Rowena Hyggens. Piccola, morettina, grazio­sa, di ventun anni, e non ha mai convissuto con uo­mini... soprattutto a causa di un forte senso di anti­quata moralità. È la sua prima nevrosi ufficiale, quin­di può darsi che non la tengano molto in animazione sospesa, almeno spero. Probabilmente a quest’ora sarà già in cella di congelamento.»

«No, non l’ho incontrata, non credo, per lo meno. Non ho visto molta gente, ho avvicinato soprattutto androidi.» Poi, all’improvviso, Markham ricordò la ragazza che aveva sorpreso piangere in corridoio. La ragazza che era fuggita alle sue offerte di aiuto, come se temesse di essere aggredita.

«No» disse pensoso il professore. «Al Risanatorio non ti lasciano avvicinare molta gente. È troppo perico­loso. Dividi e impera è sempre stata la strategia più sag­gia, fin dall’età della pietra. Bene, John, probabilmen­te un giorno o l’altro verrò a cercarti. Tieni gli occhi aperti e serba per te i tuoi pensieri da uomo del ven­tesimo secolo. Sii ortodosso, figliolo... per un po’. Fin­ché non saprai con certezza chi fa una cosa, e come la fa, e per chi.»

Mentre si voltava per andarsene, il professor Hyg­gens raccomandò: «E non dire mai al tuo androide più di quanto le occorre sapere. E quando puoi farne a meno, non dirle nemmeno questo.»

Markham guardò il vecchio allontanarsi attraverso il parco strascicando i piedi. Poco dopo la figura pe­sante del professore scomparve dietro un gruppo di piante, e Markham restò con la particolare sensazio­ne che il professor Hyggens fosse un’allucinazione tri­dimensionale. Ripensò un poco alla loro curiosa con­versazione, e cercò di cavare un filo logico da quello che il vecchio gli aveva detto.

Poi si ricordò che Marion-A lo stava aspettando vici­no all’eliauto. Si alzò e s’incamminò verso la vettura, ma non provava più alcun senso di stanchezza. Si sen­tiva un gran desiderio di agire, una vivacità nuova. Quasi che, inconsciamente, si fosse reso conto che il fato l’aveva preservato per il bene del ventiduesimo secolo. Era stranamente di buon umore.

«Se siete pronto» disse Marion-A «andremo alla City.»

«Sì, sono pronto.»

Mentre l’eliauto si sollevava da terra, Markham si ricordò improvvisamente il vero motivo per cui era atterrato in Hampstead Heath. Mentre i suoi pensieri tornavano a Katy, si rese conto che la casa in cui ave­vano vissuto, la casa che era stata il focolare di Johnny e di Sarah, una roccaforte privata e felice, doveva trovarsi a meno di quattro chilometri da lì. Si chiese chi ci abitasse al presente... e se esistesse ancora.

«Vira un poco» ordinò a Marion-A «e segui la stra­da. Voglio vedere...» ma subito s’interruppe.

Inutile cercare la casa. Non esisteva più. Come non esistevano tante altre case che avevano formato il quar­tiere di Hampstead nel ventesimo secolo. Da un’altez­za di trecento metri, vedeva benissimo un lago ampio, quasi circolare, con le rive lisce e scintillanti come vetro. Ma non era vetro: era pietra fusa, mattoni fusi, argilla fusa... E sogni! Tanti sogni, tutti rinchiusi per sempre in una immensa tazza di cristallo.

Quattro o cinque bambini giocavano vicino al lago. Avevano un battellino, barchette a remi, e un altro congegno che pareva una via di mezzo tra una bici­cletta e una barca. Bambini! Gli pareva che fosse tra­scorso un tempo brevissimo da quando aveva giocato l’ultima volta con i suoi bambini, perché la realtà di un secolo e mezzo non era così grande quanto la con­cretezza di sette o otto giorni. E la perdita era anche più acuta, perché Katy e i bambini erano in un cer­to senso ancora vivi... però in un’altra dimensione.

Una dimensione inviolabile, che non aveva niente a che fare con le città spopolate e con i laghi atomici.

5

Il procedimento di iscrizione all’Elenco Maschile non era stato burocratico come aveva immaginato. Marion-A si era diretta con l’eliauto verso la Whitehall, e l’ave­va accompagnato fino a un edificio a un solo piano, in acciaio e plessiglass, che sorgeva al posto dell’antico ministero della guerra. Là avevano dato nome, età e impronte digitali a un funzionario androide, poi Markham era stato affidato a un medico per una elet­trodiagnosi completa, e finalmente aveva ricevuto un libretto d’assegni sul quale si leggeva: Repubblica di Londra — Credito personale. Perché un assegno dive­nisse valido, doveva solo scrivervi l’importo con una stilografica e premere il pollice su una parte dell’asse­gno ricoperta di una plastica molle.