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«Cosa ne pensi, mio bel puritano?» La voce di lei era calma e vibrante.

Markham rimase a lungo silenzioso sperando che quel silenzio la mettesse in imbarazzo, sperando di po­ter guadagnare l’iniziativa. Ma Vivain era assolutamen­te tranquilla, mentre la tensione di lui andava aumen­tando di momento in momento. Temeva di essere un idiota, e temeva di non esserlo. Temeva di parlare, e non aveva il coraggio di rimanere silenzioso, sapeva che qualunque cosa fosse successa, l’unico sconfitto sa­rebbe stato lui.

Guardò di sfuggita gli occhi di Vivain, chiedendosi se vi avrebbe scoperto una luce di debolezza, una trac­cia di intenzione: ma l’occhiata si perse in uno sguardo senza tempo. Un profondo, esame vicendevole. Finalmente ricordò la domanda di lei e disse incer­to: «Non saprei... Tu cosa ne pensi?»

«Mi sembra divertente...»

«E pericoloso» disse lui.

«No, pericoloso no. Interessante, caso mai. E spes­so eccitante. Anche in questa occasione, forse...»

«E se non lo fosse?»

«Allora potrebbe essere più interessante che mai... Stai cercando con tutte le forze di restare cerebrale, ve­ro, sciocco tesoro? Forse ho sottovalutato Katy.»

«O forse hai sopravvalutato me.»

«Lo credi?» Vivain scosse i lunghi capelli scioglien­doli dalla retina metallica che li teneva raccolti. «Ba­da alle tue difese, caro nemico» mormorò dolcemente. «Sto muovendo all’attacco.»

Prima ancora di aver finito di parlare, Vivain si era mollemente sdraiata al suo fianco. E come mosse da invisibili fili, le braccia di lui la circondarono strin­gendola.

«Dolce nemico» mormorò lei. «È troppo facile, vero? Nessun uomo è un traditore... se non di se stesso.»

Ma le sue labbra non permisero risposta: la loro pressione diventò selvaggia e tenera insieme.

Markham non sapeva per quanto tempo avesse dor­mito, ma quando aprì gli occhi la stanza era tornata normale. Vivain, ora avvolta in un sari azzurro cielo, con i capelli e la carnagione tornati del colore norma­le, stava versando il tè a un tavolino apparecchiato con dolci e biscotti. Sembrava, pensò cinicamente Markham, pacata come una vestale. Quasi.

«Dormiglione» gli disse Vivain calmissima. «Avrai appetito, spero.» Poi aggiunse con un sorriso malizio­so. «Mi hai sorpreso, sai? Non credevo che un uomo del ventesimo secolo potesse essere così... poco inibito. Dovrò rivedere tutte le mie concezioni storiche.»

Markham si tirò su a sedere e sorrise divertito.

«Anch’io.» Era un po’ colpito dalla propria man­canza di imbarazzo. «Con tutto il rispetto è stata col­pa tua.»

Vivain gli si sedette accanto.

«Con tutto il rispetto» lo imitò scherzosa «è pro­prio quello che intendevo... Come va, John?»

«Benissimo.»

«Sei offeso?»

«No. Dovrei?» Sorseggiò il tè, evitando di guar­darla.

«Pensavo che potessi esserlo... Era semplice sedu­zione, naturalmente.»

Lui le diede un’occhiata in tralice. «Non del tutto. E non trattare con troppa condiscendenza il ventesi­mo secolo. Nelle vostre registrazioni non c’è lo schele­tro della storia.»

«Ma tu sei di carne e sangue, caro amico. E adesso appartieni a me.»

Markham sostenne il suo sguardo. «Non ne sono convinto.»

«Non sei innamorato di me?»

«No. In due si può tentare un esperimento. Volevi vedere come potevo essere senza maschera. Forse ave­vo anch’io la stessa curiosità sul tuo conto.»

Vivain rise. «Meraviglioso!» esclamò. «Allora era soltanto una piccola scaramuccia. Temevo che capito­lassi troppo facilmente. Dunque siamo ancora nemi­ci autentici?»

«Se vuoi usare questa espressione.»

«Nemici passionali» disse lei, con un luccichio nello sguardo. «Ma adesso firmeremo un armistizio, perché voglio scoprire seriamente come sei in realtà, John. Voglio sapere fino a che punto sei diverso.»

«Diverso da che cosa? Dal normale modello venti­duesimo secolo? A quest’ora avresti già dovuto racco­gliere prove sufficienti, no?»

Fatto strano, questo la irritò. «Ho detto sul serio quando ho parlato di armistizio, e non mi riferivo ai rapporti di poco fa. Voglio sapere come vivevi, cosa vuol dire essere un lavoratore, dover guadagnare per mantenere la propria famiglia. Voglio sapere che ge­nere di vita conducevi con Katy, sapere dei tuoi bam­bini, della tua casa, dei tuoi amici.»

«Preferirei tenere privato quel mondo» rispose lui freddamente. «Non è una fonte di divertimento pub­blico.»

Lei gli prese una mano. «Guardami, John. Non intendo mettere queste cose in ridicolo, o punzecchiar­ti, e non ne parlerò mai con nessuno. Non mi credi?»

«Non lo so. Forse.» Per quanto fosse irrazionale, le credeva. Si rendeva conto, con grande meraviglia, che in fondo anche lei era molto sola, e si chiese il per­ché.

«Ti farebbe molto male» disse lei gentilmente «permettere a un’estranea di scrutare in questo tuo mondo privato?»

«Correrò il rischio» rispose. E prese a raccontarle tutto di Katy, di Johnny e di Sarah, della casa in Hampstead, della Refrigerazione Internazionale,delle installazioni a Epping. Le parlò della vita londinese del 1967. Del suo lavoro e dei suoi svaghi, delle sue speranze e dei suoi sogni. E mentre parlava, capiva che desiderava confidarsi con lei. O capiva che, attraverso lei, voleva rivivere tutte quelle cose.

Lei lo ascoltava attenta, e Markham sentiva che lei era in grado di capirlo. Continuò a parlare quasi inconsapevole della presenza di Vivain. Perse la no­zione del tempo. Poi, a un tratto, gettando un’occhia­ta dalla finestra, vide che una sottile striatura di luce grigia si stendeva nel cielo.

L’alba! Non poteva crederci! Ma il fatto venne con­fermato dall’orologino di Vivain. Lei si alzò e si stirò, respingendo le scuse di lui con un sorriso curioso. «Promettimi» gli disse «che lo farai di nuovo.»

«Fare che cosa?»

«Parlare così. Dirmi tutto di te e del tuo mondo. Deve essere stato davvero terribile per te. Credo... cre­do di capire, adesso, come ti senti pensando a Katy e ai bambini.» Rise. «Però, posso quasi immaginare cosa dovesse essere la vita senza androidi: un vero in­cubo... Ma, in un certo senso, piacevole.»

Anche Markham si alzò. «Mi dispiace di averti te­nuta sveglia così a lungo.»

Vivain gli sfiorò gentilmente la guancia con le lab­bra. «Ma a me non dispiace di non averti fatto dor­mire. Ora andiamo a fare una nuotata. Saremo là per la levata del sole. Poi faremo colazione in un piccolo villaggio della costa. Sarà perfetto in ogni caso... come inizio o come fine.»

«Sei pazza?»

«O felice. O tutt’e due. La mia autogetto ci porte­rà ad Hastings in mezz’ora... Devo portare il mio A.P. o sai accendere un fuoco da campo?»

Lui sorrise. «So accendere il fuoco. Sono un uomo di Neanderthal, non lo sai?»

Dieci minuti dopo, l’autogetto di Vivain Bertrand si alzava silenziosamente da Park Lane e si dirigeva verso sud trasvolando la City nel grigiore argenteo dell’alba.

8

Quando verso mezzogiorno tornò nel suo appartamen­to di Knightsbridge, Markham trovò Marion-A in pic­colo allarme. Ne scattò fuori appena lui le rivolse la parola. E senza alcuna logica, Markham provò un sen­so di colpa: sentiva il bisogno di spiegarsi o di giusti­ficarsi. Si meravigliò nell’accorgersi che la sua spiegazione degenerava in una serie di piccole bugie. Rima­se anche più meravigliato nel rendersi conto che la spiegazione non era necessaria, che una macchina non sapeva che farsene delle sue scuse, e che quindi non aveva fatto altro che mentire a se stesso.

«Vuoi mangiare qui, John, o preferisci andare fuo­ri?»

Era oscuramente compiaciuto che lei si fosse ricor­data di chiamarlo John. Sentiva che questo significava qualcosa. E nello stesso tempo si schernì per quell’ec­cesso di fantasia.