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Sylvero spense il raggio rosso, e Orland Joyce ripre­se coscienza. Si guardò attorno con un sorriso meravi­gliato, mentre gli ospiti, specialmente quelli che lo co­noscevano ed erano quindi in grado di controllare la prima parte dell’analisi di Sylvero, applaudirono forte.

A un altro segnale venuto dal tavolo del Presidente, l’androide fece roteare la bolla trasparente; il raggio rosso di Sylvero colpì la faccia di una ragazza bruna che reagì immediatamente come aveva fatto l’uomo.

La voce stridula di Sylvero riprese a parlare. Il veg­gente disse che il soggetto si chiamava Ninelle Mar­chiant, di ventidue anni. Poi, con maggior ricchezza di particolari di quella usata per l’uomo, Sylvero passò a descrivere l’infanzia e i fatti intimi della vita della ra­gazza. La filastrocca continuò fino a illustrare malizio­samente quello che la giovane aveva fatto la sera pri­ma, poi passò a prevedere il futuro. Ma Sylvero s’in­terruppe quasi subito. Dopo un attimo di silenzio ri­peté la formula non è permesso dichiarare l’età in cui il soggetto cesserà di vivere. Non dirò altro.

L’applauso fu meno scrosciante, questa volta. Dopo gli abbondanti particolari sul passato di Ninelle, il pubblico aveva sperato in una identica lettura del fu­turo, ed era rimasto un po’ deluso.

Markham fissava il bambino con la testa da vecchio nella sfera di vetro, e si sentiva assalire da un’ondata di odio e di disgusto incontrollabili. La possibilità che Sylvero fosse un mutante, un prodotto ritardato della Guerra, non riusciva a convertire in pietà la sua ripu­gnanza.

Che diritto aveva quel mostro malevolo di mettere a nudo la vita degli altri? Di atteggiarsi a padreterno e predire il loro futuro?

Se Markham fosse stato un po’ più sereno si sareb­be reso conto che anche Sylvero era una vittima delle circostanze. Ma il piccolo veggente era divenuto il pun­to focale nel quale convergere il furore che si era ac­cumulato in Markham fin dall’incontro con Solomon, e che il resto della serata non aveva fatto che accre­scere.

Ma proprio mentre Markham si diceva che non vo­leva restare oltre a fare da spettatore impasibile delle cosiddette diversioni del Presidente, il raggio rosso di Sylvero gli balenò negli occhi, facendogli perdere co­noscenza.

L’intervallo non era misurabile dal soggetto, ma quando si risvegliò, Markham ebbe l’impressione che il raggio l’avesse accecato solo per un istante. Si rese conto, tuttavia, di un silenzio innaturale, e vide che tutti gli occhi erano rivolti alla sfera trasparente. Due androidi la reggevano, mentre un terzo ne aveva aper­to uno spicchio e stava estraendone il corpo inanima­to di Sylvero. Il bambino poteva essere svenuto, ma prima ancora che Vivain parlasse, Markham senti che Sylvero era morto.

«Stai bene, John?» gli mormorò lei, ansiosa.

«Credo di sì... Cos’è successo?»

Vivain diede un’occhiata inquieta verso il tavolo di suo padre, dove Solomon stava osservando con occhio inespressivo la rimozione di Sylvero.

«Solomon ti ha fatto ipnotizzare da Sylvero» gli spiegò Vivain. «Poi quel mostriciattolo ci ha detto tutto sulla tua infanzia, sul modo come sei cresciuto, sulla tua vita con Katy... Io... ero addoloratissima.»

Con un sorriso soddisfatto, Markham guardò spari­re la sfera e il cadavere di Sylvero.

«Perché?» chiese. «Ho soltanto subito lo stesso trat­tamento degli altri.»

«Tu non appartieni al nostro mondo. Mi è sembra­to ingiusto.»

«Come diavolo è morto Sylvero?» chiese Markham, fissando con aria cupa il punto dove poco prima c’era la sfera.

«È inesplicabile. Aveva cominciato a predire il tuo futuro quando si è interrotto. Ha cominciato a pia­gnucolare, e tutti si chiedevano cosa stesse succeden­do. Poi all’improvviso ha ricominciato a parlare mol­to in fretta. Ma urlava talmente che non si capiva una parola... Poi, senza motivo apparente tutt’a un tratto è rimasto un attimo immobile, quindi è crollato.»

«Forse» disse Markham, con cupa allegria «avrà previsto la propria morte, e la notizia l’ha ucciso.»

Nel frattempo, il Presidente Bertrand si era alzato da tavola: gli ospiti erano liberi di disperdersi a pia­cere.

Algis Norvens si rivolse a Vivain. «Al diavolo le mutazioni! Ce ne ricorderemo di questa diversione, eh? Pare che il nostro Sopravvissuto abbia talenti na­scosti... Andiamo nella Sala Grande per il ballo?»

Vivain guardò Markham. «Scegli tu, John. Se pre­ferisci, ti mostrerò i giardini tropicali, oppure» e die­de un’occhiata maliziosa a Norvens, «Algis sfiderà un pescecane nell’arena-serbatoio. Gli piace molte fare mostra della propria abilità subacquea. O forse vuoi assistere al ballo?»

«Sono un centenario» disse ironico Markham. «Il ballo mi affatica troppo. Vada per i giardini tropicali.»

«Allora non dobbiamo privare Algis del suo divertimento» disse Vivain. «Gli presteremo il tuo A.P. per ballare.»

Norvens accettò di malagrazia quel congedo, ma Vi­vain non si commosse. Con uno sguardo feroce a Markham, Norvens se ne andò con Marion-A nella Sala Grande, mentre Vivain e Markham salivano ai giar­dini sopra il palazzo.

I giardini tropicali erano una profusione di colori e di profumi di fiori esotici, frutta e piante, il tutto illuminato da un sole sintetico. Toccando un pulsante Vivain eliminò il sole,e rimase solo il chiaro di luna autunnale che entrava dal tetto trasparente.

I giardini erano deserti. Vivain condusse Markham su una collinetta artificiale, dove si sedettero a con­templare la luna.

«Norvens è il tuo innamorato?» chiese bruscamen­te Markham.

Lei rise. «Che significa? Lo è stato in passato, e for­se lo sarà qualche altra volta in futuro.»

«Non voglio intralciargli la strada, ecco tutto.»

«Caro John, ora esageri. Un po’ di sana competi­zione farà certamente un gran bene ad Algis.»

«E se io non volessi competere?»

«Allora dovrò costringerti, mio imperioso purita­no... così!» Gli prese la faccia tra le mani e lo baciò con passione, ma lui non rispose al bacio.

«Che scena edificante» disse una voce dall’ombra. «Vi state preoccupando con molta sollecitudine della sua orientazione, signora. Ma temo che sarà un com­pito assai complicato.»

Solomon si fece avanti, guardandoli con un sorriso benevolo. La sua presenza non pareva disturbare Vi­vain, ma Markham si sentì riassalire dalla collera.

«Il permesso di ritirarvi è accordato» disse, con chiaro sarcasmo.

Il sorriso di Solomon si fece più ossequioso che mai.

«Grazie, signore. Ma forse la figlia del Presidente mi permetterà di godere il privilegio di trattenermi qual­che minuto.»

«Il permesso è accordato» disse Vivain con voce incolore.

Solomon fece un inchino formale, poi si rivolse a Markham.

«Devo chiedervi scusa, signore, per qualche punto dello spettacolo che può avervi offeso, e soprattutto per il deplorevole incidente della morte di Sylvero.»

«In verità» disse Markham, «quella è l’unica par­te che mi è piaciuta. Un tipo antiquato come me, è ancora del parere che sia imperdonabile esporre la vi­ta privata di una persona al pubblico ludibrio.»

Gli occhi di Solomon parvero scintillare stranamen­te. «Tuttavia» disse «non era questa la funzione del­la stampa nel ventesimo secolo? Perdonatemi se sono in errore. Confesso di essere terribilmente mal pro­grammato in argomenti storici.»

Suo malgrado, Markham sorrise. «Non siete il pri­mo a ricordarmi che la grande arte del ventesimo seco­lo era l’ipocrisia. Ma preferisco ancora il mio tipo di ipocrisia al vostro.»