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Paul Malloris si strinse nelle spalle, e sorrise ama­bilmente. «Senza offesa, John, ma non ce la faresti nemmeno con la miglior buona volontà.» Poi gli rac­contò tutto.

Markham ascoltò attento, senza fare commenti, fin­ché Paul non ebbe finito. Rimase silenzioso per alcuni istanti, chiedendosi perché mai Paul avesse corso il ri­schio di confessargli una cosa simile. Infine capì tutto in un istante.

«Dunque tu pensi che io abbia già scelto? Che ab­bia già preso la mia decisione?»

Paul Malloris gli riempì il bicchiere. «Stai calmo. Ormai non c’è più bisogno dell’Oblivina... Durante le ultime settimane, John, ci siamo visti parecchio. Penso di conoscerti bene, ormai, forse meglio di quan­to ti conosca tu stesso.»

Markham sorrise. «Tutt’altro che impossibile.»

«Appunto. Il trauma di ritrovarti in un mondo nuovo... diciamo addirittura, di ritornare al mondo, ha comportato una grande confusione psichica. Ora però il fumo comincia a dissiparsi, e penso che tu ca­pisca la situazione con chiarezza... Non si può restare neutrali, John. È impossibile.»

«No, di neutrale non c’è mai nessuno» disse Mar­kham.

Shawna lo guardò supplichevole. «Non saresti mai stato felice sotto la dominazione degli androidi, vero, John? Sii sincero, ti prego.»

«Non credo che riuscirò a sentirmi felice in nessun caso» disse lui. «Ma se non altro preferisco la libertà di essere infelice.»

«Ecco il punto» disse Paul, sorridendo. «Infelici­tà uguale neurosi uguale inadattamento... che al gior­no d’oggi è l’unico crimine serio. Ma tu sei già un sa­botatore.»

Markham posò il bicchiere. «Come mai voi due non siete diventati Fuggiaschi?» chiese.

«È semplice. Lo Psicoprop non ci ha ancora presi al laccio. Esternamente, cerchiamo di essere una cop­pia molto convenzionale. Apparteniamo ai circoli alla moda, andiamo ai ricevimenti in voga, prendiamo parte alle cosiddette conversazioni normali. È utile per il Comitato Centrale sapere cosa bolle in pentola.»

«Il Comitato Centrale?»

«I Fuggiaschi sono bene organizzati, John. Non crederai che siano quattro straccioni dispersi, vero?»

«Mi piacerebbe rivedere il professor Hyggens» dis­se Markham. «È possibile combinare un incontro?»

«Eccome!» rispose Paul. «Vedi caso, anche il pro­fessore vorrebbe vedere te. Ci vorranno alcuni giorni.»

Purtroppo, Paul Malloris non riuscì a portare a ter­mine l’incontro. Un paio di sere dopo, mentre Mar­kham stava facendo quattro passi tutto solo in Hyde Park, per calmarsi dopo un burrascoso bisticcio con Vivain, sentì all’improvviso alle sue spalle un rumore di foglie secche calpestate. Rimase immobile e aspet­tò. Un attimo dopo, nel buio, un’ombra vaga parve staccarsi da un albero vicino.

«Sei tu, John?» La voce era soltanto un bisbiglìo, ma Markham riconobbe Paul Malloris.

«Sì, sono io. Perché questo tono da cospiratore?»

Paul gli si avvicinò. «Sapevo che a volte venivi qui a passeggiare. Ti sto aspettando da quattro ore. Quan­to tempo ti ci vuole per andare a prendere l’eliauto?»

«Un quarto d’ora, immagino.»

«Bene. Portalo a Marble Arch e accendi il motore di volo. Ti raggiungo là.»

«Senti un po’, che diavolo...»

«Presto, John! È urgente.» Paul stava già nascon­dendosi in un gruppo di alberi, indicando nel contem­po un raggio di luce apparso improvvisamente a quat­trocento metri da lì. Il raggio cominciò a frugare il parco, poi se ne accese un secondo e un terzo.

Dopo un istante di riflessione Markham si mise a camminare baldanzoso verso le luci. Poco dopo venne intercettato da un paio di androidi che gli chiesero i documenti. I due si consultarono, e per qualche se­condo Markham temette che non volessero lasciarlo passare. Ma la pattuglia psichiatrica aveva ricevuto istruzioni chiare, o forse inadeguate. Non cercavano John Markham, per il momento. Così gli permisero di riprendere il cammino.

Dieci minuti dopo Markham era nell’eliauto e gui­dava lentamente su per Park Lane verso Marble Arch. Aveva appena fermato il veicolo nel punto fissato, che la portiera si aprì e Paul Malloris saltò a bordo.

«In aria... presto» ordinò.

Markham, che sotto la guida di Marion-A aveva im­parato a guidare l’eliauto con efficienza eccezionale, toccò immediatamente i dispositivi di volo e decollò a un’accelerazione che gli valse un’occhiata rispettosa da parte di Paul.

Si raddrizzò a seicento metri, descrisse un ampio cerchio, poi inserì il pilota automatico.

«E allora?» disse. «Devo pensare che non sei più nelle grazie dello Psicoprop?»

Nella luce rossa del pannello di comando, la faccia di Paul mostrava rughe di tensione e di disperazione.

«Nel pomeriggio hanno portato via Shawna» dis­se cupo. «Mi hanno mancato per soli tre minuti... Hanno lasciato un paio di androidi ad aspettarmi.» Sorrise sarcastico. «Ma non erano abbastanza svelti. Quindi mi cercano anche per aver danneggiato degli androidi.»

«Maledizione!» disse Markham. «Non possiamo fare niente per Shawna?»

Paul Malloris fece uno sforzo per ricomporsi. «Sì, c’è qualcosa che possiamo fare per onorare la sua memoria» disse sottovoce. «Possiamo distruggere la potenza degli androidi una volta per sempre. Possia­mo costruire un mondo dove le persone come Shawna potranno vivere senza terrore.»

Markham rimase silenzioso per qualche secondo. «Perché quest’improvviso cambiamento?» chiese.

«Non lo so» rispose Paul. «Possono esserci centomila ragioni... Eppure eravamo stati molto prudenti.»

«Ma non completamente» disse Markham.

«Spiegati.»

«Siete diventati amici miei... Vi ho detto del mio colloquio con Solomon, no?»

«Sì, ma...»

«Mi diede un ammonimento, e adesso vuole di­mostrarmi che parlava sul serio.»

«Pensi che lo Psicoprop abbia preso Shawna per­ché...»

«Può darsi. Perfino il Presidente Bertrand ammet­te che io sia una compagnia pericolosa. Forse Solomon ritiene che una dimostrazione di forza possa convin­cermi a meditare sui miei principi sbagliati.»

«E ha indovinato?» chiese Paul, guardandolo fissa­mente.

«Temo di sì. Nonostante tutti i miei arzigogolamenti metafisici, pensavo di poter alla fine accettare il mondo degli androidi. O almeno tentare di fingere di accettarlo. Non sono il tipo d’individuo attivo. Pre­ferisco stare seduto a osservare. Ma quando mi costrin­gono ad agire, non è per le astrazioni o per gli ideali, ma per motivi personalissimi.»

«Motivi egoistici?» suggerì Paul, ironico.

«Assolutamente egoistici» rispose Markham. «Mi sento egoista riguardo te, Shawna, il professor Hyggens... e Vivain Bertrand. Ora questo è il mio mondo e voi mi appartenete. Sono un egoista a ventiquattro carati.»

«Sei un pazzo idealista» disse Paul. «Solo che te ne vergogni.»

«Va’ al diavolo» disse calmissimo Markham. Fissò la City. «Cosa ne pensi? Esiste qualche speranza di rivedere Shawna?»

«L’esecuzione sarà lenta ma indolore» spiegò Paul con voce roca. «L’Analisi è diventata un’arte sottile. Possono riprogrammarti proprio come se tu fossi un androide. Ai tuoi tempi, credo, si chiamava lobotomia. Ecco che cosa succederà a Shawna. Smontaggio, e poi una bella personalità nuova di zecca, per essere eter­namente felice in questo mondo perfetto... Ma se la rivedremo, e spero che non sia così, sarà meglio evi­tarla.»

«Perché?»

«Perché non sarà più Shawna. Chiamerà la pattu­glia psichiatrica più vicina e ci denuncerà con un sor­riso soddisfatto, convinta di agire per il meglio.»

«Bisognerà ricordarsene» disse Markham, cupo, «quando verrà il momento di uccidere gli androidi.»