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«Abbiamo dunque cinque settimane di tempo» disse Markham deciso. «Perché, signori miei, noi ci solleveremo la notte di Capodanno. Ora, poiché sono l’unico che è ancora iscritto nell’Elenco, potrà farmi comodo restare un cittadino rispettabile ancora per un po’. Sarà meglio fissare un rapido ed efficace mezzo di comunicazione, dopo di che tornerò in Knightsbridge. Potrebbero venire visitatori!»

Ma prima di andarsene, disse loro tutto su Marion-A. Dapprima rimasero increduli, e il professor Hyggens si rifiutò assolutamente di credergli. Asserì anzi che Marion-A stava semplicemente seguendo un piano mol­to sottile per il quale Solomon doveva averla doppia­mente programmata.

Helm Crispin ascoltò in silenzio lo scambio di bat­tute tra Markham e il professor Hyggens, poi disse: «Ho la curiosa sensazione che John abbia ragione. Gli androidi accumulano dati per esperienza, come noi. Se quello che John dice è vero, allora lui ha fornito a Marion-A dati che lei non era in grado di assimilare. Questo potrebbe infrangere l’orientazione di un an­droide.»

«È così» disse Markham. «Sono pronto a giocar­mi il collo per lei.»

Il professore sospirò, stanco. «A quanto pare è quel­lo che dovremo fare tutti.»

«Non è troppo tardi perché vi scegliate un nuovo capo» osservò Markham.

«No, eh?» esclamò il professore. «Sai benissimo che invece è tardi, John. Hai appena dimostrato di es­sere il capo di cui abbiamo bisogno.»

«E allora dovete seguirmi dove dico io.»

«Napoleone!» disse il professore, facendo una smor­fia.

«Appunto.»

«Hai vinto. Ci sei indispensabile.»

«Spero che vinceremo tutti» disse Markham.

L’elianto venne portato sul prato dal nascondiglio dove era stato celato momentaneamente. Markham aprì la portiera, accese i motori aerei e si sedette como­damente ai comandi.

Mentre si levava in volo, gettò un’occhiata al grup­petto di uomini che osservavano la sua partenza. Sor­rise tristemente tra sé. L’Esercito di Liberazione Lon­dinese!

Una raccolta di umanisti in pantaloni laceri!

13

Durante le settimane seguenti, Markham ebbe altri tre incontri col professor Hyggens e con la rappresentan­za dell’Armata di Liberazione Londinese. Nonostante gli sforzi dello Psicoprop, la notizia della battaglia di Hampstead Heath si era sparsa per tutta la Repubbli­ca con grande rapidità e arricchita da voli di fantasia.

Nella City si mormorava che ci fosse stata una bat­taglia tra cinquanta Fuggiaschi e un’intera brigata di androidi. Si diceva che i Fuggiaschi avevano perso una dozzina di uomini e distrutto più di cento androidi. Si diceva che lo Psicoprop avesse riprogrammato cin­quemila androidi da combattimento.

Nelle voci che circolavano, Markham capì che c’era lo zampino di Crispin incaricato della guerra psicolo­gica.

Quando Markham tornò a incontrarsi con Hyggens e il resto del suo stato maggiore in un convegno che era stato organizzato ben lontano dalla City per evi­tare un altro attacco di sorpresa, capì immediatamente che l’umore dell’Armata era cambiato. Gli uomini non erano più dei Fuggiaschi: erano individui con uno scopo ben definito. Uomini che non avevano tempo di contemplare le possibilità di una sconfitta. Apprese dal professor Hyggens che c’era un aumento significa­tivo delle Forze di Liberazione, che la gente rifiutava volontariamente la cittadinanza per unirsi a loro, e che, sebbene l’idea di tentare la sommossa per Capo­danno fosse conosciuta solo dallo stato maggiore, tut­ti parevano rendersi conto che stavano per succedere grandi cose.

Markham colse l’occasione per rinforzare la sua or­ganizzazione. Progettò tre o quattro razzie notturne nei depositi chimici, perché Corneel Towne e la sua squa­dra potessero procurarsi materiale sufficiente a produr­re un migliaio di granate. Una razzia venne fatta anche in un magazzino d’armi della Repubblica. Forni pistole, fucili da caccia, vecchi revolver antiquati, fu­cili moderni e perfino alcuni fucili da tiratori scelti, con mirino telescopico.

Durante il secondo dei tre incontri, Markham pre­sentò Marion-A al suo stato maggiore. Helm Crispin e il professore la interrogarono entrambi con accanimen­to, tentando di sottoporla a tutte le prove di control­lo di cui erano a conoscenza. Ma alla fine, persino il professore fu costretto a ammettere che Markham ave­va compiuto l’impossibile, a meno che Marion-A fosse l’androide più brillante e più pericoloso della Repub­blica.

Al terzo incontro, si radunarono i capitani di com­pagnia dell’Esercito di Liberazione. Lentamente, e con ricchezza di particolari, Markham illustrò la strate­gia che aveva architettato. Sapeva che l’unico piano possibile per avere successo doveva essere semplice e diretto. Elaborare uno svolgimento a fasi, sarebbe sta­to lo stesso che tirarsi addosso guai. Sapeva benissimo che uomini assolutamente privi di nozioni belliche non potevano raggiungere in una quindicina di giorni la disciplina e l’efficienza necessarie per una operazione complessa.

L’incontro durò più a lungo del previsto e Markham fece ritorno in Knightsbridge solo verso mezzanotte. Marion-A lo aspettava con un messaggio di Vivain.

«La signorina Bertrand ha chiamato personalmen­te, John. Mi ha detto di pregarti di andare a De Havilland Lodge appena fossi tornato.»

Markham rifletté sul messaggio. Dopo l’invito del Presidente, lui e Vivain non avevano mai comunicato direttamente. Avevano inventato un sistema di messag­gi cifrati, che venivano lasciati sotto una pietra ai pie­di di una grande quercia in Hyde Park. Fino a che non si era rimesso in contatto con Hyggens, Markham era riuscito regolarmente a vedere Vivain almeno due volte alla settimana. Markham si era adattato a ser­virsi del sistema della quercia soltanto dietro le insi­stenze di Vivain, e tutte le volte che andava là per lo scambio di messaggi si sentiva come un bambino che gioca. Dopo un certo tempo, però, aveva finito per con­siderare la cosa come positiva: era innegabile che l’at­teggiamento cospiratorio divertiva entrambi e aumen­tava oscuramente la loro intimità.

Avevano l’impressione di essere uniti per qualche cosa di vagamente illecito.

Il messaggio datogli da Marion-A gli ricordò che da parecchi giorni non andava alla quercia, tanto era sta­to occupato con faccende più importanti. Lo convin­se inoltre che Vivain, in genere poco portata a spa­ventarsi, doveva avere motivi seri per desiderare di vederlo.

«Ha detto nient’altro, la signorina Bertrand?»

«Solamente che era cosa urgente, John.» Marion-A fece quell’ammissione con evidente riluttanza, ma Mar­kham non se ne accorse.

«Inutile prendere l’eliauto» disse. «Andrò a piedi. Mi passerà un po’ il sonno.»

«Sembri stanco. Vorrei che ti riposassi un poco.»

Lui rise. «Più tardi, forse, avrò tutto il riposo che mi occorre... Non so a che ora tornerò, Marion, ma non stare in pensiero.»

Marion-A sorrise, rigidamente. «Non ero program­mata per stare in pensiero» rispose.

L’aria fredda della notte lo risvegliò. Era l’inizio di dicembre, e per tutto il parco una sottile crosta di ghiaccio rifletteva pallidamente la luce delle stelle. Mentre camminava verso Park Lane, Markham pro­vò un senso improvviso di esaltazione.

Tutti i suoi dubbi e le sue paure, tutto il pessimi­smo generato dai problemi che nascevano dalla sua nuova parte di capo degli insorti vennero spazzati via. Solo, col gelo e le stelle, di colpo non sì sentì più solo. Una sensazione di sicurezza, di scopo ben preciso, face­va tacere tutte le querule voci interne, lasciandolo con l’incrollabile convinzione che tutti gli avvenimenti in cui si trovava coinvolto fossero inevitabili, e quindi ne­cessari. E quindi giusti.

Con un sussulto si rese conto d’avere già oltrepassa­to la porta di Vivain. Tornò indietro.