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«Androidi vivi! Che aria sognante, John. Presto, entra. Tesoro, come sono contenta di vederti. Ero ter­rorizzata. Che cosa hai fatto in questi dieci giorni?» Con un movimento rapido, gli diede un bacio fretto­loso ma intenso.

«Ho fatto le prove per un’opera comica» rispose Markham in tono spensierato.

Vivain rabbrividì. Non aveva più l’aria sofisticata di donna di mondo. Sembrava incerta e perplessa. Il che, pensava Markham, la faceva sembrare più calda e più umana.

«Solomon non approva l’opera comica» disse lei, giocherellando nervosa con la cintura della tunica che era dello stesso oro dei capelli. «Specialmente quando ha un titolo come Esercito di Liberazione Londinese.»

Markham si sedette sul divano e accese una sigaret­ta. «Sarà meglio che tu mi dica tutto» disse. «Tutto quello che sai su Solomon e sulle sue antipatie.»

Impulsivamente, Vivain si sedette su uno sgabello imbottito ai piedi del divano e si appoggiò contro le ginocchia di Markham come per cercare conforto nel contatto fisico.

«Sa che i Fuggiaschi stanno organizzando la ribel­lione. Sa che la rivolta deve scoppiare presto.»

«Capisco. E di me cosa sa, a proposito di questa ipotetica ribellione?»

«Ancora niente, John. Ma non ha intenzione di aspettare le prove. Dice che i rapporti che ha ricevuto dal tuo androide personale indicano che hai bisogno di una cura psichica.»

Per un attimo Markham rimase scosso. Gli passò per la testa che forse era stato troppo ottimista riguardo ai suoi esperimenti con Marion-A. Ma poi scacciò quel dubbio, spazientito. Se si sbagliava su questo, allora si sbagliava su tutto. E poi non era il momento di arzi­gogolare su quei dubbi.

«È piacevole rendere apprensivi gli androidi» dis­se in tono disinvolto. «E soprattutto Solomon... il pri­mo segno di debolezza, non credi?»

«Sii serio, tesoro» disse Vivain. «Solomon si è stan­cato di avvertirti. Nel pomeriggio ho ricevuto un mes­saggio di Clement. Dice che, a meno che tu non voglia fare pubblica dimostrazione della tua innocenza, rin­negando i Fuggiaschi, Solomon agirà centro di te nel giro di tre o quattro giorni.»

«Come definiresti questo termine agire

Vivain lo guardò con occhi serissimi. «Non oso nem­meno pensarci» confessò. «Una pattuglia psichiatri­ca, immagino. Poi, l’Analisi.»

Markham sorrise. «Lo Psicoprop deve valutarmi come mezzo di propaganda se è addirittura disposto a contrattare.»

«Caro, devi essere ragionevole» disse lei. «Non è più uno scherzo, ormai. Io... non sopporto l’idea che tu sia sottoposto all’Analisi.»

«Perché no?» Era una domanda stupida, che ebbe l’effetto di irritarla.

«Perché ti amo, idiota!»

Markham la guardò. «Ti passerà» disse tranquil­lamente. «Ti è sempre passata, no?»

Vivain non volle rispondere. Invece disse: «Dim­mi sinceramente, John... Sei davvero coinvolto in que­sto Esercito di Liberazione?»

«Ammettiamo, a titolo di discussione, che lo sia.»

«Siamo veramente nemici allora» mormorò lei. «Che ironia!»

«Forse era inevitabile» disse Markham.

Improvvisamente, Vivain scattò in piedi. «Perché non puoi essere felice?» esclamò. «Perché non puoi prendere la vita com’è? Forse pensi che non possa in­segnarti a essere felice?»

«Forse temo che tu lo possa. E forse ho paura di vivere in un mondo dove perfino tu, Vivain, potresti essere improvvisamente catturata per l’Analisi, nel ca­so mancassi di conformarti ai principi degli androidi sulla condotta umana.»

«Per lo meno» disse Vivain avvilita, «potremmo darci l’un l’altro un po’ di felicità, non ti pare? Resta con me, John. Restiamo insieme ancora per questa notte, almeno... dopo tanto tempo...»

Markham la baciò, teneramente. «È pericoloso per tutti e due» disse. «Spero, mia cara, che un giorno possa esserci tempo per amare ed essere felici. Per un amore e una felicità durevoli.»

Vivain si precipitò alla porta e si piantò là davanti. «Non puoi andartene! Non devi!» Il tono era mezzo supplichevole e mezzo autoritario.

Markham la scostò con fermezza. «Di’ a tuo padre che gli sono molto grato dell’avvertimento. Anzi, an­ch’io ho un messaggio per lui. Dall’uomo che un tem­po fu suo professore di filosofia, un certo Hyggens. Se­condo il professor Hyggens, Solomon sta riprogram­mando tremila androidi per renderli capaci di omici­dio. Chissà se il Presidente ne è informato?»

E chiusa la porta senza dare a Vivain la possibilità di fermarlo, si allontanò in fretta. Un attimo dopo stava attraversando il parco apparentemente deserto, troppo assorto nei suoi pensieri per accorgersi che Algis Norvens, il quale si era messo in testa di fare visita a Vivain a quell’ora per uno scopo ben chiaro e per lui assolutamente legittimo, aveva visto benissimo la sua uscita da De Havilland Lodge.

Norvens si fermò incerto per qualche istante, al ri­paro di una porta vicina, poi prese la sua decisione. Avrebbe ritardato la sua visita a Vivain di qualche minuto, giusto il tempo di fare una breve telefonata all’Ufficio Centrale di Propaganda Psichica.

Markham rientrò in Rutland House solo dopo le due del mattino. Dopo aver lasciato Vivain, aveva cam­minato parecchio, ripensando a quello che lei gli ave­va detto, e chiedendosi se la ragazza fosse stata since­ra nel dichiarargli di essere innamorata di lui. Fin dal­l’inizio aveva capito che Vivain era un’amicizia peri­colosa. Ma era certo che, innamorata, poteva essere anche più pericolosa. Rifletteva anche sul messaggio, non troppo chiaro, del Presidente Bertrand. Era scon­tato che la battaglia di Hampstead Heath avrebbe mes­so Solomon sul piede di guerra. Per fortuna Solomon non sapeva ancora con certezza se Markham era coin­volto nelle questioni dei Fuggiaschi. Di qui la propo­sta di fare pubblica sconfessione per evitare una cura psichica. Ma quanto tempo avrebbe impiegato lo Psicoprop a raccogliere le prove che stava cercando? Po­chissimo, si disse Markham. Era certo che non sarebbe rimasto iscritto negli Elenchi per più di due o tre giorni.

Finalmente si rese conto che i pensieri, come i suoi passi stanchi, cominciavano a farsi confusi. Stava per essere vinto dalla fatica. Capì d’avere bisogno di un buon sonno.

Appena rientrato nel suo appartamento, bevve gra­to la bibita calda che Marion-A gli aveva preparato, e crollò sul letto. Dormì fino a tardi, ma dormì male. E quando finalmente aprì gli occhi, poco prima di mez­zogiorno, si sentì in un curioso stato di tensione.

Aveva fatto la doccia, si era vestito, e stava facendo colazione quando suonò il campanello. Chiedendosi chi poteva essere, mandò Marion-A ad aprire.

Come l’uscio si schiuse, quattro grossi androidi spin­sero da parte Marion-A ed entrarono minacciosi nel soggiorno.

«Buon giorno, signore» disse uno dei quattro, che portava una stella d’argento sulla tunica. «Ci dispia­ce disturbare la vostra colazione. Siete rispettosamente pregato di seguirci all’Ufficio Centrale per un esame psichiatrico preliminare.»

«Preliminare in che senso?» chiese Markham, ten­tando di prendere tempo. Aveva notato che Marion-A, alla quale la pattuglia psichiatrica non badava affatto, era scivolata silenziosamente fuori dalla stanza.

E subito lo colpì il sospetto d’essere stato veramen­te troppo ottimista sul conto dell’androide personale. Forse, alla fine, i programmi base avevano avuto la meglio.

«Dobbiamo valutare le vostre presenti condizioni» spiegò l’androide con un leggero sorriso. «Poi si deciderà se dovrete beneficiare del processo di Analisi.»

«Forse in questo momento non mi fa comodo spre­care il mio tempo per un esame psichiatrico» disse Markham. Cercava disperatamente di farsi venire qual­che idea luminosa. Ma non voleva rischiare di darsi al­la fuga perché i quattro androidi erano certamente programmati efficientemente per affrontare situazioni del genere.