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Nonostante che fosse una tesoreria di valori artistici e culturali, era affondato lentamente nell’oscurità. Seb­bene immenso, la mancanza di vita gli aveva consen­tito di esistere quasi inosservato. Si adattava quindi mirabilmente agli scopi di Markham. La posizione conveniente offriva mezzi ragionevolmente rapidi di mantenere le comunicazioni con le unità dell’Esercito di Liberazione. La capacità dei locali consentiva di trasformarlo, eventualmente, in ospedale di fortuna. E la massiccia struttura nascondeva anche all’osservato­re più attento l’attività che ferveva all’interno.

Inoltre, e questa considerazione non era meno im­portante delle altre, se gli androidi avessero scoperto che serviva all’Esercito di Liberazione, non sarebbero riusciti a montare facilmente un attacco di sorpresa. E solo un attacco su vasta scala avrebbe potuto impe­dire che gli occupanti fuggissero.

Appena era calata l’oscurità, la sera dell’ultimo del­l’anno, Markham si era trasferito nel museo col suo stato maggiore, una guardia di cinquanta uomini e una dozzina di portaordini. Ci aveva portato anche Vivain e Marion-A. Non solo Vivain aveva molto insi­stito per accompagnarlo in città, ma Markham stesso si era convinto che il rischio per lei non sarebbe stato maggiore che a New Forest, soprattutto nel caso che le comunicazioni fossero state interrotte.

Il corpo principale dell’Esercito di Liberazione era già in città prima ancora che Markham ci arrivasse. Durante il pomeriggio i guerriglieri erano giunti alla spicciolata in piccoli eliauto. Alcuni indossavano co­stumi carnevaleschi, come Hyggens e Crispin, trave­stiti l’uno da Mefistofele, l’altro da Morte, per dare l’impressione di essere diretti a qualche festa. Altri era­no vestiti con abiti normali, ma fingevano di andare a qualche riunione festosa recando una profusione di bottiglie e di pacchi incartati a colori vivaci, nei qua­li erano nascoste granate e carabine.

Con la protezione dell’oscurità, si erano diretti len­tamente verso i punti di raduno, fissati in edifici in di­suso o disabitati. Mezz’ora prima di mezzanotte, quan­do le celebrazioni per l’Anno Nuovo avevano raggiunto un buon grado di animazione, avevano cominciato a spostarsi, in gruppi formati apparentemente da ubriachi, verso altri punti fissati: vicino a Buckingham Palace, vicino all’Ufficio Centrale nella White Hall, e verso i vari reparti dello Psicoprop disseminati lungo e attorno la New Parliament Street.

Il guaio principale per Markham era di non sapere dove Solomon avesse concentrato gli androidi program­mati per omicidio. Ma, come si ripeteva per darsi co­raggio, l’Esercito l’avrebbe scoperto ben presto. Nell’attaccare contemporaneamente il Palazzo, l’Ufficio Centrale e i dipartimenti dello Psicoprop, si propone­vano di colpire i punti vitali, creando sufficiente con­fusione per impedire a Solomon di organizzare in tem­po un contrattacco efficiente.

Helm Crispin trovò Markham nella Galleria Egizia­na, intento a bere tranquillamente il tè che era stato fatto da Marion-A su un fornello portatile. Una gran­de quantità di panini imbottiti era preparata sopra un sarcofago antico di tremila anni, mentre un paio di divinità egizie tenevano pazientemente in grembo carabine, pistole e granate varie.

«Come andiamo, Helm?» chiese Markham sorri­dendo. «Sarà meglio che ti offra una tazza di tè. Hai l’aria di averne bisogno.»

«Più di trenta sono mancati al raduno presso Bu­ckingham Palace» disse Helm. «Evidentemente cat­turati da androidi. Ormai Solomon avrà tutte le in­formazioni che desidera.»

«Ma troppo tardi» disse Markham. «Ascolta.»

I rumori dello scontro si facevano più distinti e più vicini. Il fragore delle armi da fuoco era incessante, e gli facevano da sfondo le detonazioni continue delle granate.

«L’Ufficio Centrale è stato attaccato con le forze al completo, ma quando ho lasciato New Parliament Street mancavano già alcuni uomini.»

Markham si strinse nelle spalle. «Non c’era da du­bitare dell’efficienza dello Psicoprop. Ero preparato a perdere circa duecento uomini all’inizio.»

Helm Crispin scosse la testa. «Infatti, tanti saranno. È andato tutto troppo liscio. Ho la sensazione che sia­mo caduti in trappola.»

«Dovrà essere una trappola ben forte» disse Mar­kham, «per trattenere gli uomini che vi sono entrati.»

Vivain portò a Helm una tazza di tè. «Avete sco­perto cosa ne è stato di mio padre?»

Helm fece cenno di no. «Mi dispiace, mia cara. Quello, comunque, è stato un errore di Solomon. Ha voluto sostenere la farsa troppo a lungo. Oggi tutti sanno che il Presidente è stato sostituito da un androi­de. La sua ultima comparsa sugli schermi non avreb­be convinto un imbecille. Non capisco perché Solo­mon insista con quella commedia. Si sta alienando an­che i sudditi più ortodossi.»

«Non ha altra alternativa» disse Markham. «È compromesso. Se ammette di aver sostituito il Presi­dente, ammette che gli androidi vogliono la supre­mazia.»

Marion-A offrì un panino a Crispin. «Trovate co­sì difficile rinunciare alla vostra convinzione che gli androidi possano comportarsi solo in modo logico, Helm?» Marion-A sorrideva.

Lui rise. «No, quando penso a voi, Marion.»

Marion-A continuava a sorridere. «Chissà? Forse, se conosceste i motivi, la mia condotta vi sembrereb­be estremamente logica.»

Vivain le diede un’occhiata breve ma significativa. Markham la intercettò, e rimase sorpreso nell’accorgersi che l’espressione di Vivain era di tenerezza e di pietà. Dalla vigilia di Natale, lei e Marion-A erano rimaste sempre insieme.

Sebbene assorbito dai preparativi del grande attac­co, Markham aveva notato che l’antagonismo tra le due donne sembrava scomparso. Se n’era congratulato, e aveva pensato che Vivain avesse compreso l’inutilità del suo risentimento, rendendosi conto che la relazione tra Markham e Marion-A esulava dal normale campo di relazioni umane.

Era convinto che Vivain l’avrebbe accettata con in­differenza, ma ora l’odio di Vivain per Marion-A si era cambiato addirittura in un sentimento positivo. Ades­so, cogliendo quel breve sguardo di compassione, Mar­kham fu veramente conscio di uno oscuro legame tra loro due. In un certo senso, questo lo turbava più dell’ostilità originale. I suoi pensieri vennero interrotti dal rimbombare di una cupa esplosione che scesse per­fino le pareti massicce del Museo.

«Questo, credo, è Corneel Towne che presenta i suoi omaggi a Palazzo» disse il professor Hyggens, senza smettere di far sparire un panino dietro l’altro.

«Oh, Dio» mormorò Vivain, «spero che...» Non osò terminare.

Markham la prese per mano. «Non volevo dirtelo ancora Vivain. Ho mandato qualcuno a fare un’inchie­sta tre giorni fa. Pensavo che ci fosse ancora la pessibilità di portar fuori Clement, di aiutarlo, Solomon aveva in mente di fargli un’Analisi totale, per poter presentare un Presidente genuino sugli schermi, e confonderci. Ma Clement deve essere riuscito a impossessarsi di un veleno. È morto, Vivain. È tutto quello che so. Non è molto, ma ho rischiato uno dei miei uomini migliori per avere notizie.»

Vivain si nascose la faccia tra le mani. Markham tentò di confortarla, ma Marion-A l’aveva già presa tra le braccia. E all’improvviso lui fu distratto dall’arrivo di un messaggero.

Era un lacero Robin Hood sporco di sangue. Entrò nella Galleria Egiziana con la carabina in mano e, contrasto bizzarro, un grande arco a tracolla.

«Salve, capo» disse, ansimando. «Abbiamo distrut­to il Palazzo.»

«Perdite?» chiese Markham.

«Più di duecento, signore. Ci hanno mandato con­tro un’intera brigata psichiatrica. Quando stavamo per avere la meglio, sono arrivati tre o quattrocento an­droidi omicidi.»