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«Lavorano bene?»

«Sì, signore... ma non abbastanza. Non sono pro­grammati per ritirarsi in caso di sconfitta. Perciò ab­biamo continuato a distruggerli fin all’ultimo.»

«Malloris, è ancora al comando?»

«Signorsì. Però è ferito alla testa.»

«Bisogna mandargli il cambio. Il comando passi al secondo ufficiale. Malloris torni a farsi medicare. E di­te al secondo ufficiale di rinforzare l’assalto all’Ufficio Centrale. E liberatevi di quell’arco!»

«Signorsì.» Robin Hood si tolse l’arco dalle spalle e lo guardò. Parve sorpreso di averlo ancora a tracol­la. Lo buttò sul pavimento e uscì.

A un tratto, il rumoreggiare lontano della battaglia venne coperto da un’esplosione, più leggera di quella che aveva fatto saltare il Palazzo. Fu seguito da una seconda, poi da una terza.

«Dev’essere l’Ufficio Centrale!» disse Hyggens, sod­disfatto.

Ma le ipotesi sulla causa dell’esplosione caddero ap­pena le guardie della Galleria Egiziana lasciarono en­trare un bizzarro gruppetto di quattro persone.

Enrico VIII, Davy Crockett e Giulio Cesare scorta­vano verso Markham un monaco incappucciato. En­rico VIII spinse avanti senza cerimonie il monaco.

«Salve» disse inchinandosi a Markham. «Abbiamo trovato il reverendo padre in New Parliament Street. Pensavamo che fosse uno dei nostri, ma lui si è messo a sparare. Così l’abbiamo colpito al braccio. Avremmo mirato meglio se avessimo saputo chi era.»

Con un gesto sprezzante Enrico VIII strappò il cap­puccio del monaco. Apparve una faccia liscia, di età indefinibile.

«Buon giorno, signore» disse Solomon. «Deploro che non abbiate accettato i miei consigli.»

«Deplorate? Perché?» chiese Markham, in tono secco.

«Per gli esseri umani già morti, e per quelli che andranno a raggiungerli tra poco» rispose Solomon.

Markham si strinse nelle spalle. «Non possiamo di­struggere gli androidi, specialmente quelli program­mati per l’omicidio, senza perdite umane. Ma il Pa­lazzo ormai è distrutto, e così, credo, l’Ufficio Centra­le. Tra poco potremo concentrare l’attacco sulle altre filiali dello Psicoprop. Direi che la battaglia sta per finire. E per voi, certamente la fine è imminente.»

Solomon rise. «Scusate, signore, non sono d’accor­do. La battaglia tra poco ricomincerà. Il mio destino è irrilevante. Tutti gli androidi sono sostituibili.»

«Forse» disse mellifluo, Hyggens «non ci prende­remo il disturbo di sostituirli, nemmeno quelli della vostra qualità, Solomon.»

Solomon, scorgendo Vivain, ignorò Hyggens. «Pos­so esprimervi le mie scuse, signora, per la sostituzione di vostro padre? Durante gli anni in cui abbiamo la­vorato insieme ho sempre nutrito per lui molto rispet­to. Ma la considerazione personale è irrilevante quan­do entra in gioco l’interesse e la salvezza della Re­pubblica.»

«Un punto sul quale androidi ed esseri umani non la pensano allo stesso modo» disse tranquillo Mar­kham. «E forse anche un androide infallibile può commettere l’errore di sottovalutare l’importanza che gli uomini danno ai valori umani.»

Solomon rise di nuovo, e la sua risata echeggiò sotto le volte della galleria. «Che ne sapete degli androidi?» chiese lanciando un’occhiata a Marion-A. «Sì, so dei vostri esperimenti di riprogrammazione. Ma che cosa avete concluso? Niente, un fallimento completo. Il sog­getto non è più orientato come androide, e non può essere orientato come donna. Da una macchina avete creato una mostruosità, ecco tutto.»

«Qual è la tua definizione di mostruosità, Solomon?» La voce apparteneva a Marion-A. Markham si girò di scatto, e vide Marion fare un passo avanti per af­frontare il Primo Ministro.

«Una creatura senza scopo» rispose Solomon im­perturbabile, «senza funzione e senza futuro.»

«Allora io non sono una mostruosità» disse Marion-A, alzando una pistola automatica.

«Se questo è il tuo scopo» continuò Solomon, «cosa resterà quando avrai premuto il grilletto? Eri un androide personale, oggi non lo sei più. Se la cosid­detta Armata di Liberazione vincerà, non diventerai altro che una curiosità bizzarra. La tua programmazio­ne, la tua intelligenza, si atrofizzerà. Sarai soltanto un ricordo barbarico che il signor Markham userà per in­trattenere i suoi amici. Hai rinnegato la tua razza, e nel fare questo, hai eliminato la tua ragione di esi­stere.»

«Interessante» disse Markham. «Forse, Solomon, sarete tanto gentile da definire lo scopo degli androidi?»

«Certo, signore. Ma non servirà a modificare le vo­stre idee. La vostra psiche primitiva ci ha interpretato in termini di animismo. Vedete gli androidi come esse­ri sinistri e maligni, il cui scopo è di ridurre l’umanità all’impotenza. Ma, nel fare così, signor Markham, ne­gate la nostra stessa storia. Fummo creati come servi, in un mondo a corto di manodopera. Dovevamo assol­vere funzioni monotone: fare lavori essenziali ma ri­pugnanti e noiosi per l’essere umano. Apprezzate le nostre capacità, la nostra sfera d’azione si allargò, fin­ché giungemmo a controllare l’intero sistema economi­co. Per voi, questo è un piano calcolato per dominare il genere umano. Invece è la logica estensione della nostra capacità di servire. Non state attaccando degli oppressori. State distruggendo i vostri schiavi. Non so­lo è sciocco, è addirittura disastroso.»

«Molto brillante!» esclamò ironico il professor Hyggens. «Consideratevi applaudito. Un tempo ero professore di filosofia, Solomon, finché i vostri cari an­droidi mi sollevarono dalla penosa incombenza. Così divenni un Fuggiasco, il che mi diede tempo di medi­tare su piccolezze quali per esempio la natura della vita. E conclusi che, tenendo presente l’infinita gran­dezza di Dio, la vita non poteva essere rinchiusa entro schemi convenzionali. Perciò mi chiesi: possono gli androidi procreare? E la risposta fu: sì! Si evolvono? Sì! Tentano di dominare l’ambiente in cui vivono? E la risposta fu ancora: sì! Finalmente mi chiesi: han­no uno scopo, sono coscienti di se stessi, sanno quello che stanno facendo? E dovetti solo guardare ciò che stava succedendo nella Repubblica per avere la ri­sposta.»

«Dunque anche voi, professore, pensate che siamo vivi?» chiese Solomon.

Improvvisamente, Vivain si riebbe dal torpore in cui il discorso del Primo Ministro pareva averla gettata. Strappò la pistola dalle mani di Marion-A. «Se sei vi­vo, puoi anche morire!» gridò.

Solomon s’inchinò. «Spiacente di deludervi, signo­ra. Non sono programmato per avere paura. Inoltre, poiché ho un piccolo trasmettitore automatico dentro di me, penso che a quest’ora il British Museum sia circondato.»

Quando Vivain sparò, fuori cominciò la sparatoria, quasi che gli attaccanti avessero aspettato un segnale convenuto. La prima pallottola perforò il centro prin­cipale di controllo di Solomon. L’androide barcollò, continuando a sorridere. Il secondo proiettile gli en­trò nel petto, ma mancò la pila d’energia. Il colpo lo mandò a urtare contro un sarcofago. Ma, sempre sor­ridendo, Solomon disse con voce bassa e legata: «Né sono programmato per... soffrire.»

Il terzo proiettile gli trapassò la fronte, mandando­lo a rotolare grottescamente nel sarcofago.

Nello stesso istante, Markham vide Paul Malloris, la testa avvolta in uno straccio insanguinato, avanza­re barcollando nella galleria con il corpo di una ra­gazza sulle braccia.

«Paul, che fai?»

«È Shawna» disse Paul. «Avrei dovuto saperlo. Per poco non mi ha fatto prendere da una pattuglia di androidi.»

«Chi l’ha uccisa?»

Paul guardò, serio, la faccia pallida della ragazza. «Io... Non era più Shawna. Voglio seppellirla degnamen­te appena terminerà la battaglia, John. Sono un pa­gano disgustosamente sentimentale!»

La distese con delicatezza nell’ombra, dietro una grossa pietra. In silenzio, Helm Crispin la coprì con un mantello.