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Sulie annuì. Poi disse: — lo ho sofferto molto quando il mio… il mio fidanzato morì. Naturalmente, non ha niente a che vedere con ciò che fa lei. Ma in un certo senso, forse, era peggio… vede, era così assurdo. Un giorno stavamo bene, e parlavamo di sposarci. Il giorno dopo, lui tornò dopo essere stato dal medico e risultò che i suoi mali di testa erano… — Sulie trasse un profondo respiro. — Un tumore al cervello. Maligno. Tre mesi dopo era morto, e io non riuscivo a farmene una ragione. Dovevo andarmene da Oakland. Feci domanda di venir trasferita qui. Non avevo mai sperato di riuscirci, ma penso che siano ancora a corto di personale per colpa dell’influenza…

— Mi dispiace, — disse in fretta Roger.

La giovane donna sorrise. — Non importa, — disse. — Ma c’era un posto vuoto, nella mia vita, e sono veramente lieta di avere la possibilità di colmarlo, qui. — Diede un’altra occhiata all’orologio e balzò in piedi. — La capoinfermiera se la prenderà con me, — disse. — Ora senta, davvero, c’è qualcosa che io possa procurarle? Libri? Musica? Ha tutto il mondo ai suoi comandi, sa, me compresa.

— Non voglio nulla, — disse Roger, sinceramente. — Comunque grazie. Come mai ha scelto di venir qui?

La giovane donna lo guardò pensosa e incurvò gli angoli delle labbra in un lieve sorriso. — Beh, — disse, — sapevo qualcosa del programma in fase di realizzazione qui: in California sono stata per dieci anni nella medicina aerospaziale. E sapevo chi era lei, colonnello Torraway. Se lo sapevo? Tenevo il suo ritratto appeso in camera mia, quando lei salvò i russi. Non potrebbe neppure credere la parte che lei aveva in alcune delle mie fantasie, colonnello Torraway.

Sorrise e si avviò, soffermandosi sulla porta. — Mi farebbe un favore?

Roger era sorpreso. — Sicuro. Quale?

— Ecco, vorrei avere una foto più recente. Lei sa come sono, qui, quelli del servizio sicurezza. Se io porto qui dentro una macchina fotografica, posso scattarle un’istantanea? Così avrò qualcosa da mostrare ai miei nipoti, se mai li avrò.

Roger protestò: — Se la scoprono l’ammazzano, Sulie.

Lei strizzò l’occhio. — Correrò il rischio; ne vale la pena. Grazie.

Quando Sulie fu uscita, Roger si sforzò di pensare di nuovo alla castrazione e al tradimento: ma, inspiegabilmente, sembravano meno strazianti. Del resto, non ebbe molto tempo per pensarci. Sulie entrò portandogli un pranzo a basso residuo, un sorriso e la promessa di tornare il mattino dopo. Clara Bly gli praticò un enema, e poi Roger rimase disteso a stupirsi mentre tre uomini identici, dai baffi chiari, entravano e ripassavano ogni centimetro quadrato del pavimento, delle pareti e dei mobili con detector di metalli e rivelatori elettronici. Erano degli sconosciuti: e rimasero nella stanza, piantati su sedie portate apposta, silenziosi e attenti, mentre entrava Brad.

Brad aveva l’aria non solo sofferente, ma anche molto preoccupata. — Ciao, Roger, — disse. — Gesù, che spavento ci hai fatto prendere. È colpa mia; avrei dovuto avvertirti, ma questa maledetta influenza…

— Sono sopravvissuto, — disse Roger, studiando la faccia piuttosto normale di Brad e chiedendosi perché non provava sdegno e risentimento.

— Per un po’ ti daremo parecchio da fare, — cominciò Brad, accostando una sedia. — Abbiamo escluso alcuni dei tuoi circuiti mediatori, per il momento. Quando funzioneranno di nuovo a pieno ritmo dovremo limitare i tuoi input sensoriali… dovrai abituarti ad affrontare un ambiente totale un po’ alla volta. E Kathleen non vede l’ora di cominciare a riaddestrarti… sai, imparare ad usare i muscoli e tutto il resto. — Si voltò a lanciare un’occhiata ai tre astanti silenziosi. La sua espressione, pensò Roger, era improvvisamente piena di paura.

— Credo di essere pronto, — disse Roger.

—  Oh, sicuro, lo so, — disse Brad, sorpreso. — Non ti hanno riferito i dati più aggiornati delle tue letture? Funzioni come un orologio a diciassette rubini, Roger. Tutti gli interventi chirurgici sono finiti. Hai tutto ciò che ti serve. — Si rilassò un po’ sulla sedia, scrutandolo. — Se posso dirlo, — proseguì, con un sorriso, — tu sei un’opera d’arte e io sono l’artista, Roger. Vorrei tanto poterti vedere su Marte: quello è il tuo posto, ragazzo mio.

Uno dei tre si schiarì la gola. — È quasi arrivato il momento, dottor Bradley.

L’espressione preoccupata riapparve sulla faccia di Brad. — Vado subito. Stammi bene, Rog. Torno a trovarti più tardi.

Brad uscì, e i tre agenti del governo lo seguirono, mentre Clara Bly entrava per riordinare la stanza.

Il mistero si schiarì all’improvviso. — Dash viene a trovarmi, — indovinò Roger.

— Bene! — fece un po’ stizzita Clara. — Bene, penso sia giusto che tu lo sappia. Ma non pensavano che fosse giusto che lo sapessi io. Credono che sia un segreto. Ma che razza di segreto è, quando mettono sottosopra l’intero ospedale? Hanno piazzato quei tipi dappertutto, prima che io prendessi servizio.

— Quando arriverà? — chiese Roger.

— Questo è l’unico vero segreto. Per me, almeno.

Ma il segreto non durò a lungo; dopo un’ora, al suono di un «Saluto alla bandiera» che non si udiva ma che tutti sentivano fortemente, il presidente degli Stati Uniti entrò nella stanza. Con lui c’era il valletto che l’aveva servito a bordo dell’aereo presidenziale: ma questa volta era chiaro che non si trattava di un valletto, bensì di una guardia del corpo.

— È meraviglioso rivederla, — disse il presidente, tendendo la mano. Non aveva mai visto la versione riveduta e corretta dell’astronauta, e certamente la pelle lucida, i grandi occhi sfaccettati e le ali fluttuanti dovevano apparirgli strani: ma la faccia ben disciplinata del presidente esprimeva soltanto amicizia e piacere. — Ho fatto una sosta, poco fa, per salutare la sua cara moglie, Dorrie. Spero mi abbia perdonato di averle fatto rovinare lo smalto delle unghie il mese scorso: ho dimenticato di chiederlo. Ma lei come si sente?

Roger si sentiva stupito, ancora una volta, del fatto che il presidente fosse al corrente di tutto, ma disse soltanto: — Molto bene, signor presidente.

Dash inclinò la testa verso la guardia del corpo, senza guardarla. — John, hai il pacchetto per il colonnello Torraway? È un regalo che Dorrie mi ha pregato di consegnarle: potrà aprirlo quando ce ne saremo andati. — La guardia del corpo depose sul comodino un pacco avvolto nella carta bianca e, quasi nello stesso istante, spinse avanti una sedia per il presidente, proprio mentre questi accennava a sedersi. — Roger, — disse Deshatine, assestandosi le pieghe dei calzoncini Bermuda, — so di poter essere sincero con lei. Lei è tutto ciò di cui disponiamo, adesso, e ci è indispensabile. Gli indici peggiorano di giorno in giorno. Gli asiatici vanno in cerca di guai, e non so per quanto tempo potrò evitare di accontentarli. Dobbiamo farla arrivare su Marte, e quando sarà là, lei dovrà funzionare perfettamente. Non so dirle fino a che punto questo è importante.

Roger disse: — Credo di capirlo, signore.

— Beh, in un certo senso, immagino lo capisca. Ma lo capisce con tutto il suo. essere? Sente davvero, fin nel profondo delle sue viscere, di essere l’uomo che ad ogni generazione diventa tanto importante per la razza umana che persino nella sua mente ciò che gli accade non ha altrettanta importanza? Ebbene, quell’uomo è lei, Roger. Io so, — proseguì il presidente, in tono addolorato, — che si sono prese terribili libertà con la sua persona. Non le hanno dato la possibilità di dire sì, no o forse. Non l’hanno neppure avvertita. È un modo schifoso di trattare un essere umano qualsiasi, peggio ancora qualcuno che conta quanto lei, e quanto lei meritevole. Ho detto il fatto loro a parecchi, qui dentro, proprio per questo. E sarei felice di continuare. Se lei lo vuole, me lo dica. In qualunque momento. È meglio che provveda io… non vorrei, con quei muscoli d’acciaio che le hanno dato, che lei cominciasse a prendere a calci un po’ tutti, magari rovinando ì graziosi sederini delle infermiere. Le dispiace se fumo?