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Via via che i suoi occhi e le sue mani si abituavano a quel bagliore, riuscì a comprendere che esisteva una certa sistematicità: quel miscuglio poteva venire suddiviso, e certi pezzi singoli potevano essere esaminati isolatamente come indumenti. Alcuni erano semplici come camicie da notte, per quanto riguardava la forma, anche se chi li avesse indossati per dormire avrebbe senza dubbio sognato di venire affettato da una griglia a diffrazione. C'erano calzoni di vari tipi, mutandine aderenti, pantaloni flosci, pantaloni a coscia, perizomi, oltre a gonnellini lunghi e corti, fluenti e a crinolina, gonne ampie e strette. Ma che cos'era quel nastro scintillante, largo cinque centimetri e lungo due metri e mezzo, costruito come una serie di lettere U unite per le estremità superiori? E come si poteva usare una sfera perfetta di materiale elastico nero… sulla testa?

Se la posò sul capo e cercò di tenerla in equilibrio. Era facile. Inclinò il capo per farla rotolare via. Rimase dov'era. La tirò. Non era facile toglierla, era impossibile. Era attaccata a lui. Non gli tirava neppure i capelli, sembrava che fosse attaccato al suo scalpo.

Si avvicinò alle tre sbarre d'oro, per posarvi sopra le mani e chiamare Philos, poi si fermò. No, avrebbe dovuto vestirsi prima di chiamarlo in aiuto. Qualsiasi cosa fossero quegli strani, assurdi individui, non desiderava riprendere l'abitudine di farsi vestire da una donna. Era un'abitudine che aveva perduto da molti anni.

Tornò all'armadio. Imparò in fretta il sistema per appendervi gli abiti; non erano appesi ad attaccapanni, ma se prendevi un indumento e lo stendevi come volevi che rimanesse appeso, e lo facevi toccare contro la parete di destra, rimaneva come lo mettevi. Poi potevi spingerlo attraverso l'armadio, dove scivolava come se fosse appeso a un filo, solo che non c'erano fili. Quando lo tiravi fuori, cadeva e ritornava semplicemente un indumento vuoto.

Trovò un lungo pezzo di stoffa che aveva vagamente la forma di una clessidra, con un pezzo di nastro sottile a un'estremità. La stoffa era di un blu cupo abbastanza sobrio, il nastro era di un rosso vivo. Pensò che era possibile dargli la forma di un paio di calzoni decenti. Si tolse la camicia bianca che per fortuna era aperta sul dorso, altrimenti non sarebbe mai riuscita a sfilarla per colpa della sfera nera che gli ballonzolava sulla testa ad ogni movimento. Si piazzò sull'addome l'estremità della stoffa priva del nastro, si fece passare il resto fra le gambe, fin sulle reni, afferrò i capi del nastro, se li fece girare attorno ai fianchi, con l'intenzione di allacciarli sul davanti. Ma prima che potesse farlo, i due capi del nastro si fusero, senza segni di giunture o di cuciture. Tirò il nastro; si tese, poi tornò lentamente indietro fino a che gli aderì alla vita, e allora smise di contrarsi.

Meravigliato, tirò il lembo libero della stoffa fino a che aderì a sufficienza, poi lo lasciò ricadere liberamente in una specie di grembiule, sul davanti. Si girò e si torse, guardandolo stupefatto. Gli aderiva come una pelle e sebbene avesse le gambe nude di lato, fino alla cintura stretta da una sottile striscia rossa, per il resto era nascosto, come aveva detto Philos.

Poteva fare a meno di altri indumenti perché, come aveva imparato nella sua breve esperienza all'aperto, lì c'era un clima tropicale. D'altra parte molti di quegli individui portavano qualcosa anche nella parte superiore del corpo, magari soltanto un bracciale o qualcosa sulle scapole. Osservò meditabondo il mucchio di accessori nell'armadio e vide un pezzo di stoffa dello stesso colore dell'indumento che aveva indossato. Lo prese. Doveva essere una specie di giacca o di cappa. Sembrava pesante; in realtà era leggera come una piuma, e non soltanto era identica, ma aveva una sottile orlatura dello stesso nastro rosso che costituiva la cintura delle brache.

Indossarla fu un rompicapo, fino a che non comprese che non saliva sulle spalle, ma passava sotto le braccia, come l'indumento che aveva visto addosso a Seace. Aveva lo stesso collo rigido dietro, e davanti si univa esattamente sullo sterno. Non c'erano allacciature, ma non erano necessarie; aderì dolcemente ai suoi muscoli pettorali e vi rimase attaccata. Alla cintura calzava alla perfezione, ma i due lembi non si toccavano; tuttavia, gli aderiva addosso splendidamente. La camicia non scendeva a coda di rondine come quella di Seace, ma era tagliata piatta, a lunghezza uniforme.

In fondo all'armadio c'erano anche le scarpe; su uno scaffale vide quello che rappresentava il minimo indispensabile in fatto di calzature: forme modellate, costruite per aderire alle dita, e altre fatte per aderire al calcagno, senza nulla in mezzo. Ve ne erano molti altri tipi; sandali con cinghie e fibbie, e sandali con lacci e nastri che si fondevano gli uni negli altri, altri senza allacciature; morbidi stivali multicolori che arrivavano al ginocchio, scarpe con la punta rialzata alla turca, scarpe ortopediche e molte altre calzature, con la sola eccezione dei tipi che potevano stringere il piede e provocare fastidio.

Si lasciò guidare dal colore e trovò un paio di stivali che parevano di camoscio e che non avevano quasi peso: si appaiavano perfettamente all'indumento blu cupo ornato di rosso. Si augurò che fossero della sua misura… e lo erano; gli calzavano perfettamente, meravigliosamente; e poi si rese conto che senza dubbio tutte quelle scarpe si sarebbero adattate naturalmente alla sua misura e a quella di chiunque altro.

Soddisfatto di sé, provò ancora una volta, inutilmente, a tirare la ridicola bolla nera che gli ballonzolava sulla testa, poi si avvicinò alle sbarre e le toccò. La porta si dilatò con uno scatto, e Philos entrò. (Era rimasto lì, davanti alla porta, per quelle otto ore?) Indossava un gonnellino ampio di un giallo amarillide, scarpe eguali e un bolero nero, che sembrava infilato a rovescio: ma addosso a lui non stava male. Il suo eloquente viso bruno si accese quando vide Charlie.

«Già vestito? Oh, benissimo!» E poi corrugò la fronte, indescrivibilmente. Era un'espressione che Charlie non riuscì a comprendere.

«Ti pare che vada bene?» chiese. «Vorrei avere uno specchio.»

«Certo» disse Philos. «Se posso…» Attese. Charlie sentì che stava rispondendo alla richiesta in modo distratto, rituale. Ma diceva: «Posso?».

«Certo» disse Charlie, e boccheggiò. Perché Philos giunse le mani… e scomparve! e invece lì c'era qualcun altro, risplendente in un indumento blu cupo, con un colletto altissimo che incorniciava benissimo il suo viso allungato, con i calzoni aderenti ornati da un grembiule drappeggiato con eleganza, con scarpe splendide; e persino con le spalle nude che sormontavano la giacca e la stupida bolla nera che gli danzava sulla testa, faceva una figura eccellente. Ad eccezione della faccia che, inspiegabilmente, non lo riguardava.

«Va bene?» La figura scomparve e riapparve Philos. Charlie rimase a bocca aperta. «Come hai fatto?»

«Oh… avevo dimenticato, non puoi averlo visto.» Tese la mano, che aveva un anello di lucente metallo azzurro, lo stesso azzurro scintillante del filo con cui Charlie aveva mangiato la crema di cereali. «Quando lo tocco con l'altra mano, forma un ottimo specchio.» Eseguì, e la bella figura con la sciocca sfera sulla testa riapparve e poi scomparve di nuovo.

«Che ordigno!» disse Charlie, che aveva sempre amato gli ordigni di ogni genere. «Ma perché mai ti porti dietro uno specchio? Tu puoi vedertici?»

«Oh, no.» Philos, sebbene avesse ancora quell'espressione contratta, riuscì ad insinuarvi un sorriso. «È soltanto un congegno difensivo. Noi ledom litighiamo di rado, e questa è una delle ragioni. Puoi immaginarti, quando sei accalorato e contorto e illogico (la parola conteneva in concetti di “stupido” e “imperdonabile”), messo faccia a faccia con te stesso, obbligato a guardarti esattamente come ti vedono tutti gli altri?»