Выбрать главу

«Molto discreto» disse Mielwis, con approvazione. «Ce n'è uno solo, come Philos.»

«Ha fatto del suo meglio, per me» disse Charlie, poi aggiunse, quasi controvoglia: «Io credo…».

«Bene» disse Mielwis. «Il buon Philos mi dice che tu ti senti meglio.»

«Diciamo che comincio a capire come mi sento» disse Charlie «questo è molto più di quanto sapevo quando sono venuto qui.»

«Un'esperienza sconvolgente.» Charlie l'osservò attentamente, in un certo senso vi fu costretto. Non aveva alcun elemento per giudicare la probabile età di quella gente; e se Mielwis sembrava più anziano, questo era dovuto certamente al rispetto che gli altri gli attribuivano, e alla sua taglia un po' imponente, e al suo viso più pieno, e alla distanza veramente straordinaria — persino lì — tra i sui occhi. Ma non c'era nulla, in quelle creature che lasciasse pensare a un invecchiamento nel senso che intendeva lui.

«Dunque tu vuoi sapere sul nostro conto tutto quello che c'è da sapere.»

«Certamente.»

«Perché?»

«Perché è il mio biglietto di ritorno a casa.» La frase era così idiomatica che in quella lingua era quasi priva di significato, e Charlie lo capì nello stesso momento in cui la pronunciava. In quella lingua pareva non esistesse il concetto di “pagamento” o di “permesso di transito”; la parola che aveva scelto per “biglietto” significava “etichetta” o “scheda”. «Voglio dire» aggiunse «mi è stato detto che quando avrò visto tutto ciò che tenete a farmi vedere…»

«…e tutto ciò che chiederai di vedere…»

«…e quando avrete visto le mie reazioni, accetterete di rimandarmi nel luogo da cui sono venuto.»

«Sono lieto di poter ratificare questo accordo» e Charlie ebbe l'impressione che Mielwis volesse fargli capire che si trattava di una misura specialissima. «Cominciamo.» In un certo senso, suonò come una spiritosaggine.

Charlie rise, perplesso.

«Non so da dove cominciare.» Certe parole che aveva letto da qualche parte… Charles Fort? Oh! Come gli sarebbe piaciuta quella situazione!… Fort aveva detto: “Per misurare un cerchio, comincia da un punto qualsiasi”. «Sta bene, allora. Voglio sapere… qualcosa di personale sul conto dei ledom.»

Mielwis allargò le mani. «Qualunque cosa.»

Improvvisamente intimidito, non osò fare domande dirette. Disse: «Se ricordo bene, Philos ha accennato a qualche cosa, ieri sera… comunque, prima che io mi addormentassi… Philos ha detto che voi ledom non avete mai visto il corpo di un maschio. E io ho pensato immediatamente che volesse dire… che voi eravate tutte femmine. Ma quando glielo ho chiesto, ha risposto di no. Ora, o siete una cosa o siete l'altra, giusto?».

Mielwis non rispose, ma rimase immobile; lo guardò amichevolmente con quegli occhi immensi, serbando sulle labbra un mezzo sorriso altrettanto amichevole. Nonostante il suo imbarazzo che, per qualche ragione, cominciava a diventare acuto, Charlie riconobbe quella tecnica e l'ammirò; aveva avuto un'insegnante che la usava, una volta. Era un modo di dire: “Arrivaci da solo”, ma non sarebbe mai stato usato verso qualcuno che già non conoscesse tutti i fatti. Una specie di “sfida al lettore” di un libro di Ellery Queen.

Charlie rimescolò nella propria mente tutte le impressioni imbarazzanti che aveva provato al riguardo: il notevole sviluppo pettorale (ma non insolitamente notevole) e la grandezza delle areole; l'assenza di individui dalle spalle ampie e dai fianchi sottili. E, fra le altre caratteristiche, i capelli, che venivano tenuti in modi diversi quanto erano diversi gli abiti, ma erano per lo più corti, e gli abiti stessi, con la loro assurda varietà. Ma rifiutò di lasciarsi sviare.

Poi pensò alla lingua che inspiegabilmente (per lui) riusciva a parlare correntemente, e che pure gli presentava costantemente misteri ed enigmi. Guardò il serio, paziente Mielwis, e si disse in ledom: Io lo sto guardando. Esaminò la particella pronominale “Lo”, da sola, per la prima volta, e scoprì che era lui ad attribuirle un genere preciso: quando pronunciava quella parola la traduceva “Lo” in inglese perché per qualche sua ragione Charlie preferiva così. Ma, in se stessa, nella lingua ledom, non aveva alcun significato di genere o di sesso. Eppure era una particella pronominale personale; non sarebbe stata adoperata per parlare di oggetti. In inglese, c'è un pronome impersonale, che si riferisce alle cose. Il pronome personale, in lingua ledom, era uno solo… personale e senza genere. Charlie lo faceva corrispondere a “lui, lo”, ma era un errore, e adesso lo sapeva.

Forse il fatto che il pronome non avesse genere significava che i ledom non avevano sesso? Perché in questo modo la straordinaria osservazione di Philos avrebbe acquisito consistenza: non avevano mai visto un maschio ma non c'erano femmine. Le parole e i concetti “maschio” e “femmina” esistevano in quella lingua: l'alternativa era “entrambi”. I ledom avevano tutti e due i sessi.

Levò lo sguardo verso gli occhi pazienti di Mielwis.

«Voi siete l'uno e l'altro» disse.

Mielwis non si mosse e non parlò per quello che parve un tempo molto lungo. Poi il suo mezzo sorriso si allargò come se fosse soddisfatto di ciò che leggeva nel viso di Charlie. Quindi disse, gentilmente: «È una cosa tanto terribile?».

«Non ho pensato se sia terribile o no» disse candido Charlie. «Sto solo cercando di immaginare come sia possibile.»

«Te lo mostrerò» disse Mielwis, e si alzò maestosamente, girò attorno alla scrivania, avvicinandosi allo sbalordito Charlie.

«Ehi, bulli» dice Tillie Smith. «Cosa state facendo?»

«Chiacchiere da uomini» dice Smith.

Herb dice: «Ehi, giocatrici. Come è andato il bowling?».

Jeannette dice: «Tre colpi e io sono fuori».

«Questa battuta l'ha già detta Herb» dice Smith, in quel suo modo plumbeo, e non è vero.

Tillie parla più forte di tutti: «Che cosa ne diresti di un highball? Beviamo qualcosa».

«Noi no» dice Herb, facendo tintinnare prontamente il ghiaccio in un bicchiere che per il resto è vuoto. «Io ho già bevuto il mio, ed è tardi.»

«Lo stesso per me» dice Jeannette, che ha capito al volo.

«Grazie per i liquori e per tutte le barzellette sconce» dice Herb a Smith.

«Non dire niente delle ballerine» dice Smith. Jeannette fa grandi gesti, come se giocasse a bowling, «'notte, Til. Sempre in gamba.»

Anche Tillie fa ampi gestì come se giocasse a bowling, e costringe Smith a sdraiarsi di nuovo, in quella che è comunque la sua posa preferita. I Railes raccolgono la sacca da bowling dei Jeannette; Herb grugnisce drammaticamente nel sollevarla, e Jeannette stacca il baby-sitter e glielo infila sotto il braccio sinistro mentre gli caccia la borsa sotto il braccio destro e siccome è una signora, aspetta che sia lui ad aprire la porta con il ginocchio.

«Vieni» disse Mielwis, e Charlie si alzò e lo seguì in una stanza più piccola. Una intera parete, dal pavimento al soffitto, era coperto di fessure etichettate… una specie di schedario, pensò; e il Signore ci salvi, neppure quelle erano in linee rette, ma disposte ad arco… e adesso che ci pensava, gli ricordavano gli archi che aveva visto disegnati su un banco di montaggio da un esperto di efficienza; portata massima della mano destra, portata ottimale della mano sinistra, e così via. Contro una parete c'era una specie di morbido scaffale, bianco e piatto… un lettuccio per visite mediche, se mai ne aveva visto uno. Mielwis, passando, vi batté sopra la mano, gentilmente, e il lettuccio lo seguì per la stanza, abbassandosi lievemente; così che, quando fu a dieci piedi dalla parete, era alto quanto una sedia. «Siediti» disse Mielwis, volgendo il capo.