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Charlie Johns fissò il lieve ovale nella morbida parete argentea e desiderò che che la signorina Moran fosse lì. Desiderò che fosse lì anche Laura. Poteva ricordarle tutte e due così chiaramente, eppure erano lontane di tanti anni l'una dall'altra. (“E di quanti anni sono lontane da me?”, si chiese, guardando l'orologio.) Desiderò che ci fosse Mamma e la texana dai capelli rossi. (Lei era stata la prima per lui, la rossa; e come poteva accostarla a Mamma? Anzi, come poteva accostare Laura alla signorina Moran?)

Non riusciva a smettere di ricordare; non osava e non voleva assolutamente smettere. Perché, fino a che continuava a ricordare, sapeva di essere Charlie Johns; e anche in quel momento se si trovava in un posto nuovo senza sapere che ora fosse, non era sperduto, nessuno è mai sperduto, finché sa chi è.

Gemendo per lo sforzo, si alzò in piedi. Era così debole e stordito che riusciva a reggersi soltanto piantandosi a gambe divaricate, riusciva a camminare soltanto agitando le braccia per mantenersi in equilibrio. Si diresse verso la vaga linea ovale della parete, perché era l'unica cosa verso cui potesse dirigersi, ma quando cercò di avanzare, si mosse diagonalmente; era come quella volta (ricordò) in quel baraccone di Coney Island, dove ti portavano in una stanza e ti chiudevano dentro e a tua insaputa l'inclinavano un po' da una parte, e tu non avevi punti di riferimento esterni, e c'erano soltanto specchi verdi in cui potevi vederti. Dovevano ripulire quella stanza cinque, sei volte al giorno.

Adesso si sentiva nello stesso modo, ma aveva un vantaggio: sapeva chi era, e per giunta sapeva di star male. Quando inciampò nella morbida zona curva dove il pavimento diventava parete, e cadde in ginocchio sull'argento elastico, gracchiò: «Non sono io, adesso, ecco tutto». Poi udì le proprie parole e balzò in piedi: «Sì, sono io!» gridò «Sono io!»

Avanzò barcollando, e poiché non c'erano prese né appigli sull'ovale — era soltanto una linea sottile, più alta di lui — lo spinse.

E quello si aprì.

C'era qualcuno in attesa, fuori, che sorrideva, ed era vestito in modo tale che Charlie boccheggiò e disse: «Oh, mi scusi…» e poi cadde in avanti.

Herb Railes abita a Homewood, dove possiede un appezzamento di terreno che si affaccia per cinquanta metri su Begonia Drive, e per ottanta metri su Calla Drive, di fronte alla proprietà di Smitty Smith che ha un fronte di settantacinque metri. La casa di Herb Railes ha un solo piano, quella di Smith è una specie di ranch. I vicini di Herb, a destra e a sinistra, hanno case a un solo piano.

Herb entra nel viottolo e suona e sporge la testa dalla macchina. «Sorpresa!»

Jeannette sta falciando il prato con un tosaerba a motore e con tutto quel baccano il clacson della macchina la fa sussultare esageratamente. Posa il piede sul freno e lo preme fino a che il tosaerba si ferma, e poi corre ridendo verso la macchina.

«Papà, papà!»

«Papà, Papà, Papi!» Davy ha cinque anni, Karen tre.

«Oh tesoro, come mai sei a casa?»

«Ho finito la contabilità dell'Arcadia, e il grand'uomo ha detto, Herb, vada a casa dai suoi bambini. Hai un'aria fresca.» Jeannette indossa i calzoncini e una maglietta.

«Io ho fatto il bravo bambino, io ho fatto il bravo bambino» strilla Davy, frugando nella tasca di Herb.

«Anch'io ho fatto il bravo bambino» strilla Karen.

Herb ride e la solleva. «Oh, chissà che uomo diventerai!»

«Zitto, Herb, le confonderai le idee. Ti sei ricordato della torta?»

Herb depone la bimba di tre anni e toma verso la macchina. «Ho preso il preparato. È molto più buona quando sei tu a cuocerla.» E interrompendo il gemito della moglie, aggiunge: «Ci penso io, ci penso io. Sono capace di fare una torta migliore delle tue. Ecco il burro e la carta igienica».

«Il formaggio?»

«Accidenti. Devo telefonare a Lourie.» Prende il pacchetto ed entra per cambiarsi. Mentre Herb è via, Davy posa il piede dove l'ha posato Jeannette per fermare il tosaerba. La testa del cilindro è ancora calda. Davy ha i piedi nudi. Quando Herb esce di nuovo, Jeannette sta dicendo: «Sh! Sh! Comportati da uomo».

Herb indossa un paio di calzoncini e una maglietta.

Non fu un pudore da zitella a sconvolgere in quel modo Charlie Johns. Qualunque cosa l'avrebbe sconvolto… la luce di una torcia elettrica in piena faccia, l'improvvisa apparizione di una scala in discesa… E, comunque, aveva pensato che fosse una donna, vestito a quel modo. Non era riuscito a pensare che alle donne, da quando si era trovato in quella specie di serbatoio… Laura, Mamma, la signorina Moran, la texana dai capelli rossi. Ma certamente una prima occhiata a quel personaggio avrebbe indotto chiunque a pensare a una donna. Non che riuscisse a vedere niente, in quel momento. Era sdraiato supino su qualcosa di elastico e di meno morbido delle pareti del serbatoio… qualcosa che somigliava ai lettucci a rotelle degli ospedali. E qualcuno stava toccando delicatamente il taglio che aveva sulla fronte, mentre un panno umido e fresco che odorava vagamente di nocciola era stato posato sui suoi occhi. Ma chiunque fosse, gli stava parlando, e anche se non riusciva a capire una parola, non gli pareva che fosse una voce di donna. Non era una voce di basso profondo, ma non era una voce di donna.

Oh, fratello, che roba! Immagina una specie di accappatoio corto, scarlatto, con una cintura, che però si apre nettamente sopra e sotto. Sopra era tagliato dietro le braccia, e un collo rigido ampio si levava, sulle spalle, fin oltre la sommità del capo; aveva la forma della spalliera di una poltrona imbottita, ed era quasi altrettanto grande. Sotto la cintura, l'indumento era tagliato nel centro, in modo da formare una specie di coda di rondine, come un abito da cerimonia. Davanti, sotto la cintura, c'era una breve falda di seta, abbastanza simile a quello che gli scozzesi portano sulla parte anteriore del kitt, e che chiamano sporran, o borsa. Le calzepantofole, dall'aria molto morbida, dello stesso colore della veste e con le punte flosce davanti e dietro, salivano fino a metà polpaccio.

Qualunque cosa fosse, la medicazione placò le pulsazioni dolorose della sua fronte con rapidità sbalorditiva. Rimase immobile per un attimo, nel timore che la sofferenza potesse ritornare ad aggredirlo all'improvviso, ma non tornò. Alzò cautamente una mano, e in quel momento il panno gli fu tolto dagli occhi e si trovò di fronte una faccia sorridente che pronunciava varie sillabe fluenti che concludeva con un trillo interrogativo.

«Dove sono?» chiese Charlie.

La faccia aggrottò le sopracciglia e rise, gentilmente. Fredde dita sicure gli toccarono le labbra, e la testa si agitò.

Charlie comprese e disse: «Neppure io ti capisco».

Si appoggiò su un gomito e si guardò intorno. Si sentiva molto più forte.

Era in una grande camera a forma di T, dall'aria solida. Quasi tutto lo stelo della T era occupato dalla… dalla cella imbottita che aveva occupato; la porta era ancora aperta. Dentro e fuori, la cella emanava quella morbida, fredda luce argentea che non aveva una sorgente definita. Sembrava una immensa zucca con le ali.

La sbarra trasversale della T era un unico pannello trasparente, dal pavimento al soffitto e da un'estremità all'altra. Charlie ricordò di averne visto uno altrettanto grande nella vetrina di un grande magazzino, ma non ne era sicuro. Alle estremità della T c'erano delle tende; immaginò che le porte fossero lì.