Per la seconda volta, Charlie vide un rapido rossore passare sul viso bruno ed enigmatico di Philos. «Ma è nella mia natura.»
«Oh, senti, adesso» disse Charlie, ansiosamente «forse mi sbaglio. Forse mi è sfuggito qualcosa. Non voglio causare guai tra te e…»
«Ti prego» disse Philos, con voce calma «so che cosa intendeva dire, e tu non hai fatto alcun danno. È qualcosa, a Ledom, che non ha nulla a che fare con te.»
«Sì, invece! Mielwis ha detto che forse l'inizio di Ledom può avere qualche legame con la fine dell'homo sapiens, e questo è ciò che voglio chiarire. Senza il minimo dubbio, mi riguarda!»
Si erano avviati, ma ora Philos si fermò e posò una mano sulla spalla di Charlie. «Charlie Johns» disse «ti chiedo perdono. Abbiamo tutti e due torto e ragione insieme. Ma, sinceramente, in tutto questo non c'è nulla di cui tu sei responsabile. Ti prego di lasciar perdere, perché ho avuto torto a comportarmi così. Lasciamo perdere i miei sentimenti, i miei problemi.»
Maliziosamente, Charlie disse: «Davvero… e così io non saprò tutto su Ledom?». E poi rise e disse a Philos che andava tutto benissimo, e che avrebbe dimenticato.
Ma non avrebbe dimenticato.
A letto, Herb dice all'improvviso: «Però Margaret non ci ama».
Jeannette dice, soddisfatta: «Così bombarderemo anche lei. Dormi. Margaret chi?».
«Mead. Margaret Mead, l'antropologa che ha scritto l'articolo di cui ti ho parlato.»
«E perché non ci ama?»
«Dice che un ragazzo cresce con il desiderio di somigliare a suo padre. Così quando il padre è bravo a mantenere la famiglia ed è un buon compagno di giochi e dà una mano in casa, come lavasciugapiatti o come spostaimmondizie o addirittura come moglie, il ragazzo cresce pieno di vitamine e diventa a sua volta specializzato nel mantenere la famiglia eccetera.»
«E cosa c'è di male?»
«Dice che da Begonia Drive non possono uscire avventurieri, esploratori e artisti.»
Dopo un silenzio, Jeannette dice: «Di' a Margaret di andare a scalare l'Annapurna e di farsi l'autoritratto. Te l'ho già detto… noi siamo una nuova specie di gente. Noi stiamo inventando una gerite nuova che non è sconvolta perché papà sembra sbronzo e perché mamma se l'intende con l'uomo del ghiaccio. Cresceremo una bella schiera di gente che apprezzerà ciò che ha e non passerà la vita a mettersi alla pari con qualcuno. Sarà meglio che tu la smetta di pensare a cose serie, tesoruccio. Ti fa male».
«Sai» dice lui, sbalordito «è precisamente quello che mi ha detto Smitty.» Ride. «Tu lo dici per tirarmi su, lui me lo dice per buttarmi giù.»
«Credo che dipenda da come la si vede.»
Lui se ne rimane sdraiato per un po', pensando ai loro stivali da deserto e i miei genitori sono una Commissione e come è carino un uomo con uno strofinaccio, e alla fine la testa comincia a girargli. Allora pensa, al diavolo, e dice: «Buonanotte, tesoro».
«Buonanotte, tesoro» mormora lei.
«Buonanotte, stellina.»
«'nanotte, stellina.»
«Accidenti!» ruggisce lui. «Smettila di chiamarmi sempre con gli stessi nomi con cui ti chiamo io!»
Lei non è proprio spaventata, ma sbalordita sì, e sa che lui sta pensando a qualcosa, quindi non dice niente.
Dopo un po' Herb la tocca e dice: «Scusami, tesoro».
Lei dice: «D'accordo… George».
Lui deve ridere.
Occorsero solo pochi minuti di “metropolitana” (c'era un nome ledom per indicarla, ma era nuovo e non aveva nessuna diretta traduzione inglese) perché Philos e Charlie arrivassero al Centro Scientifico. Quando uscirono ai piedi di quella struttura capovolta, girarono attorno alla piscina, dove stavano guazzando trenta o quaranta ledom, e si fermarono un momento a guardare. Avevano parlato poco, lungo il tragitto, poiché tutti e due avevano molte cose a cui pensare, e fu attraverso i suoi pensieri che Charlie mormorò, mentre osservava i tuffi, le lotte, le corse: «Che cosa regge quei grembiulini?». E Philos, allungando una mano, tirò lievemente i capelli di Charlie e chiese: «Che cosa ti tiene i capelli attaccati alla testa?».
E Charlie, come gli era capitato molto di rado in vita sua, arrossì.
Girarono attorno all'edificio, passando sotto l'enorme struttura sospesa e Philos si fermò. «Sarò qui, quando avrai finito» disse.
«Vorrei che venissi con me» disse Charlie. «Questa volta vorrei averti vicino, quando qualcuno dirà: “Parlane a Philos”.»
«Oh, lo diranno. E io ti parlerò chiaro, quando sarà il momento. Ma non pensi che dovresti conoscere meglio Ledom com'è ora prima che io ti confonda le idee con una quantità di notizie su Ledom com'era una volta?»
«Tu cosa sei, Philos?»
«Uno storico.» Accennò a Charlie di portarsi alla base del muro e posò una mano sul corrimano invisibile. «Pronto?»
«Pronto.»
Philos indietreggiò e Charlie salì vertiginosamente. Ormai conosceva abbastanza quella sensazione per riuscire ad accettarla senza sentire che l'universo si rovesciava; riuscì a guardare Philos che ritornava verso la piscina. Strana creatura, pensò. Sembra che non sia simpatico a nessuno.
Si fermò silenziosamente a mezz'aria davanti alla grande finestra, e avanzò arditamente in quella direzione. E la varcò. E mentre lo faceva, avvertì con certezza di trovarsi al chiuso; che cosa faceva, quella parete invisibile… ritraeva gli orli esattamente attorno a lui, in modo che lui faceva parte della chiusura, mentre passava? Doveva essere qualcosa di simile.
Si guardò intorno. La prima cosa che vide fu la cella imbottita, l'argentea zucca alata — la macchina del tempo — con la porta aperta, come quando lui ne era uscito. C'erano le tende all'estremità della stanza, e strani apparecchi obliqui su una specie di sostegno massiccio al centro della stanza, alcune sedie, una specie di scrivania coperta da un mucchio di carte.
«Seace.»
Nessuna risposta. Attraversò la stanza, un po' intimidito, sedette su una delle sedie, o sgabelli. Chiamò un po' più forte, senza risultato. Accavvallò le gambe e attese, le disaccavallò e tornò ad accavallarle in direzione contraria. Dopo un po' tornò ad alzarsi e andò a sbirciare nella zucca argentea.
Non pensava che l'avrebbe colpito così duramente; pensava che non l'avrebbe colpito affatto. Ma lì, proprio lì, su quel liscio, morbido pavimento argenteo incurvato, lui era rimasto disteso più morto che vivo per anni per miglia incalcolabili a distanza di tutto ciò che aveva importanza per lui, persino il prezioso sudore inaridito sul suo corpo. Gli occhi gli bruciarono sotto lo stimolo delle lacrime. Laura! Laura! Sei morta? Essere morta ti rende più vicina a me? Sei diventata vecchia, Laura, il tuo dolce corpo si è raggrinzito e incartapecorito? E quando questo è accaduto, tu sei stata lieta che io non fossi lì a vedere? Laura, sai che darei qualsiasi cosa nella mia vita e anche la mia vita stessa pur di toccarti una sola volta… per toccarti anche se tu sei vecchia e io non lo sono?
Oppure… la fine, quella cosa terribile, definitiva, è accaduta mentre tu eri giovane? Il grande martello ha colpito la tua casa, e tu sei scomparsa in un istante di fuoco? O è stata la pioggia impalpabile del veleno, che ti iha fatto sanguinare dentro e vomitare e alzare la testa per guardare i tuoi meravigliosi capelli caduti sul guanciale?
Ti piaccio? gridò, in un urlo silenzioso, in un improvviso, tacito prorompere di gaiezza; ti piace Charlie con questo pannolino per neonato, blu notte orlato di rosso, e con questa giacca trasformabile indossata a rovescio? E questo assurdo colletto?