«Non sono sicuro di…» Charlie vacillò.
Seace continuò. «Ciò che intendo dire è che se, tra molti dati dimostrati esatti, la mente contenesse qualche affermazione raggiunta attraverso la logica… e bada, la logica e la verità sono due cose totalmente diverse, quell'affermazione si troverebbe in conflitto con le altre. Vincerebbe quella che portasse a proprio sostegno il maggior numero di dati veri e dimostrabili. Alla fine (in realtà molto presto) la mente stabilirebbe quale delle affermazioni era errata. Questa situazione perdura fino a che la mente scopre perché è errata… cioè, fino a che ha esaurientemente paragonato ogni passo logico, dalla premessa alla conclusione, a ogni passo relativo di ogni altra conclusione.»
«Un ottimo strumento per insegnare.»
«È il solo surrogato noto per l'esperienza» sorrise Seace «ed è molto più rapido. Voglio sottolineare il fatto che non è semplice indottrinazione. Sarebbe impossibile imprimere una falsità in una mente per mezzo del cerebrostilo, per quanto fosse logica, perché presto o tardi si giungerebbe a una conclusione contraria ai fatti osservati e l'intera costruzione andrebbe a pezzi. Allo stesso modo, il cerebrostilo non è una specie di “sonda mentale”, progettata per estorcere i tuoi segreti intimi. Siamo riusciti a distinguere tra le correnti dinamiche della mente (o sequenza in azione) e le parti statiche, o immagazzinate. Se un insegnante registra la sequenza dell'acqua e dell'alcol fino alla sua conclusione, lo studente non apprenderà certo la storia della vita dell'insegnante e i suoi gusti in fatto di frutta insieme alla lezione di fisica.
“Volevo che tu comprendessi questo perché fra poco andrai fra la gente e probabilmente ti chiederai in che modo quella gente riceve un'istruzione. Bene, la ricevono dal cerebrostilo, in una seduta di mezz'ora una volta ogni ventotto giorno. E puoi credermi, per il resto del tempo lavorano a stabilire le correlazioni… e non importa che cosa stiano facendo d'altro.»
«Mi piacerebbe vedere quello strumento.»
«Non ne ho uno qui, ma tu hai già avuto a che fare con un cerebrostilo. Come credi di avere imparato la nostra lingua in… oh, credo che siano stati in tutto una decina di minuti?»
«Quella specie di cappuccio nella sala operatoria, dietro l'ufficio di Mielwis?»
«Esatto.»
Charlie rifletté per un momento, poi disse: «Seace, se potete fare questo, perché quella sciocchezza di farmi imparare tutto quello che posso su Ledom, prima di rimandarmi a casa? Perché non mi mettete la testa sotto quell'arnese per altri dieci minuti e non me lo insegnate in questo modo?».
Seace scosse gravemente il capo.
«Vogliamo la tua opinione. La tua opinione, Charlie Johns. Ciò che ti dà il cerebrostilo è la verità, e quando tu l'hai assorbita, sai che è la verità. Noi vogliamo che tu assorba le informazioni attraverso lo strumento noto come Charlie Johns, per raggiungere le conclusioni di quel Charlie Johns.»
«Forse vuoi dire che io potrei non credere a tutto ciò che vedrò?»
«So che non lo crederai. Capisci? Il cerebrostilo ci darebbe le reazioni di Charlie Johns alla verità. Le tue osservazioni ci daranno le reazioni di Charlie Johns a quello che lui crede sia la verità.»
«E perché è tanto importante, per voi?»
Seace aprì le mani magre ed eleganti. «Per fare un controllo. Per controllare la nostra rotta.» E prima che Charlie potesse valutare quelle parole, o fargli altre domande, si affrettò a riassumere: «Così, vedi che non siamo taumaturghi o maghi. E non stupirti quando scoprirai che noi, dopotutto, non siamo una civiltà principalmente tecnologica. Possiamo fare molte cose, questo è vero. Ma le facciamo con due soli strumenti che, a quanto sa dirmi Philos, non ti sono familiari… il campo-A e il cerebrostilo. Ci servono per eliminare il problema dell'energia e della manodopera; abbiamo più di quanto ci sarà mai necessario. E ciò che tu chiameresti istruzione non richiede più molto personale, né molte energie. Allo stesso modo, non abbiamo scarsità di cibo, di alloggi, di vestiario. Tutto questo lascia la gente libera di fare altre cose…».
«Quali altre cose, per amore di Dio?» chiese Charlie.
Seace sorrise: «Vedrai…».
«Mammina?» domanda Karen. Jeannette sta facendo il bagno alla piccolina, che ha tre anni.
«Sì, tesoro?»
«Davvero io sono uscita dal tuo pancino?»
«Sì, tesoro.»
«No, non è vero.»
«E chi ti ha detto che non è vero?»
«Davy ha detto che è uscito lui dal tuo pancino.»
«Ecco, è vero. Chiudi gli occhi forte-forte-forte-o ti entrerà il sapone.»
«Be', ma se Davy è uscito dal tuo pancino, perché io non sono uscita dal pancino di papà?»
Jeannette si morde le labbra (cerca sempre di non ridere dei suoi figli, a meno che non siano loro i primi a farlo) e versa lo shampoo.
«E allora, mammina, perché?»
«I papà non lo fanno mai.»
«Mai?»
«Mai.»
Jeannette insapona e sciacqua e torna a insaponare e a sciacquare e non viene detto altro fino a che il visetto roseo riesce ad aprire senza pericolo gli occhi azzurri. «Voglio le bollitine…»
«Oh, tesoro! Ti ho già lavato i capelli.» Ma lo sguardo supplichevole, lo sguardo sto-cercando-di-non-piangere, la convince, e sorride e si arrende. «E va bene, ma solo per un po', Karen. Ma stai attenta, non farti andare le bollitine sui capelli. D'accordo?»
«D'accordo!» Karen osserva allegramente mentre Jeannette versa nell'acqua un sacchetto di polvere per il bagno di schiuma e apre il rubinetto dell'acqua calda. Jeannette resta lì vicino, in parte per badare ai capelli, in parte perché le piace. «Be', allora» dice bruscamente Karen «non abbiamo bisogno dei papà.»
«Cosa vuoi dire? E chi andrebbe in ufficio e porterebbe a casa le caramelle e i tosaerba e tutto il resto?»
«Non per questo. Volevo dire per i bambini. I papà non sanno fare i bambini.»
«Be', tesoro, loro aiutano.»
«Come, mammina?»
«Basta con le bolle. L'acqua sta diventando troppo calda.» Chiude il rubinetto.
«Come mammina?»
«Be' tesoro, è un po' difficile per te, forse, ma un papà ha un amore speciale. È molto bello e meraviglioso, e quando lui ama così una mamma, tanto tanto tanto, lei può avere un bambino.»
Mentre sta parlando, Karen ha trovato un pezzetto di sapone e tenta di vedere se riesce a infilarselo. Jeannette si abbassa sulla vasca da bagno e le tira fuori la mano e le fa cadere il sapone con un buffetto sulla mano.
«Karen, non toccarti là. Non è bello!»
«Comincia a capire?»
Charlie guardò pensieroso Philos, che l'aveva aspettato ai piedi dell'ascensore invisibile, con la sua solita aria di apparire come per caso, e con i soliti vigili occhi scuri scintillanti d'un divertimento segreto… o forse soltanto di consapevolezza… o forse di qualcosa di diverso, come una sofferenza. «Seace» disse Charlie «ha un modo dannatissimo di rispondere a tutte le domande che gli fai, e di lasciarti con l'impressione che ti nasconda qualcosa.»