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«In pubblicità, un account è un account» dice Jeannette «e un copywriter è un copywriter. Così, perché il vecchio Beerbelly continua a impicciarsi del settore copy?»

Tillie sorseggia, lecca delicatamente. «Anzianità» dice, una parola che spiega tante cose. Suo marito lavora nell'ufficio public relations delle Industrie Cavalier.

Jeannette corruga la fronte. Suo marito lavora per l'agenzia che cura l'immagine pubblicitaria delle Cavalier. «Ma non può farcela pesare.»

«Oh» sbadiglia Tillie, il cui marito è un po' più anziano e senza dubbio, sotto molti aspetti, molto più acuto di Herb «quei tipi dell'account sono facili da trattare, perché sono così spaventosamente bravi, quando si tratta di vedere quello che hanno sotto il naso.»

«Che cosa intendi dire?»

«Come quel vecchio Trizer che c'era da Cavalier, una volta» dice Tillie. «Uno dei ragazzi… adesso non domandarmi chi… voleva un po' più di posto nell'ufficio, così ha parlato con il Grand'Uomo… sai, scherzando… e ha fatto una specie di scommessa, ha detto che avrebbe fatto arrivare fino al soffitto il conto spese, e il vecchio Trizer non sarebbe mai riuscito a pescare l'errore.» Sorseggia, ride leggermente.

«E che cosa è successo?» chiede Jeannette.

«Oh, il vecchio Trizer sapeva che mio… uh, che questo tale ce l'aveva con lui, così quando cominciarono ad arrivare le strisce delle calcolatrici, pesantemente truccate, cominciò tranquillamente ad ammucchiarle fino ad averne un mucchio abbastanza grosso per farlo ricadere sulla testa di quel ragazzo. Ma il ragazzo le passava con tanta cautela che occorse un certo tempo. Intanto, naturalmente, il Grand'Uomo ne riceveva una copia ogni volta, così, tanto per mantenere vivo lo scherzo. Così, quando Trizer fu pronto a fare scoppiare la bomba, erano passate cinque settimane, ed era passato troppo tempo perché il Grand'Uomo trovasse lo scherzo ancora divertente. Così spedirono il vecchio Trizer al piano di sopra, in uno degli ultimi ranghi del Consiglio di Amministrazione, dove la sua anzianità non poteva far male ad altri che a lui.»

«L'hanno condito a puntino» dice Jeannette.

Tillie ride. «Mi fa venire in mente il nome di una pasticceria: Candito a Puntino.»

«Candito a Puntino… oh, sì» dice Jeannette, illuminandosi. «Herb potrebbe usarlo nella presentazione che sta preparando per ottenere un contratto pubblicitario con le pasticcerie Big Bug. Sii buona e non farne parola con nessuno. Glielo dirà lei a Herb, ma nel linguaggio delle cavallette; salta, ragazzo, salta.»

Erano ritti sull'elastico tappeto erboso: Charlie teneva le ginocchia ripiegate, e il suo compagno lo cingeva con un braccio, sorreggendolo. Charlie si scosse, sì raddrizzò e, quando poté, guardò in alto. Poi rabbrividì con tanta violenza che il braccio lo strinse più forte. Fece uno sforzo immenso, sogghignò e scostò il braccio. Il suo compagno gli fece un discorsetto, con dei gesti che indicavano l'alto, il basso, la velocità, la bozza sulla fronte di Charlie, un concentrato di umiltà che probabilmente includeva anche “Mi dispiace”. Charlie sogghignò ancora, gli batté debolmente una mano sulla spalla. Poi gettò in alto un altro sguardo preoccupato e si allontanò dall'edificio. Non era soltanto troppo grande e troppo alto; la sua mole sembrava incombere su di lui come un pugno. Era una struttura architettonica pazzesca quanto l'altra, solo aveva più la forma di un ragno che di un cono, era più base che sommità.

Attraversarono il prato — sembrava non vi fossero né strade né sentieri — e se Charlie aveva pensato che lo strano abbigliamento del suo compagno potesse attirare l'attenzione, si era sbagliato di parecchio. Era lui, invece, ad essere una stranezza. Non che la gente curiosasse o si affollasse intorno; no, per nulla. Ma si intuiva, dai loro allegri gesti di saluto e dalla rapidità con cui distoglievano lo sguardo, che erano incuriositi e che tuttavia consideravano fuori luogo quella curiosità.

Girarono attorno all'edificio, e trovarono una cinquantina di individui che sguazzavano in una piscina. Come costumi da bagno indossavano soltanto quelle morbide, seriche sporran, che aderivano loro addosso senza visibili sostegni; ma ormai lui era pronto ad accettare quel particolare. Senza eccezione, furono seri ed educati nell'accoglierlo, con un cenno della mano, un sorriso, una parola, e furono sinceramente felici di vedere il suo compagno.

Quelli che erano lontani dalla piscina indossavano abiti di vario tipo e di stili diversi… erano spesso appaiati, anche se Charlie non riusciva a capirne il motivo, se pure c'era un motivo. Qualche volta l'abbigliamento era costituito soltanto da un vivido nastro arancione, quasi fluorescente, attorno ai bicipiti, oltre naturalmente alla sporran, ma anche da pantaloni molto ampi, immensi colletti alla de' Medici, cappelli a pan di zucchero, sandali ortopedici… non c'erano limiti alla varietà e, ad eccezione di coloro che camminavano appaiati, non c'era somiglianza tra quegli indumenti, se non nella bellezza dei colori e nella ricchezza e assortimento dei tessuti. Quegli abiti erano evidentemente solo un ornamento. A differenza di qualunque altro popolo con cui fosse entrato in contatto o di cui avesse letto, non sembravano preoccuparsi di nascondere qualche parte del loro corpo.

Non vide neppure una donna.

Un posto strano. L'aria era particolarmente balsamica, e il cielo, sebbene fulgido — ora che guardava gli pareva avesse un po' della radiosità argentea che aveva visto nella sua cella imbottita — era offuscato. C'erano fiori a profusione; alcuni esalavano profumi carichi, intensissimi, e quasi tutti gli erano nuovi, e i colori erano spruzzati a mano libera, orgiasticamente. Il prato era impossibile come erano impossibili gli edifici… eguale ed elastico, dovunque completamente privo di fasce spoglie e di erbacce indesiderabili, ed era altrettanto perfetto lì, vicino agli edifici dove si muovevano decine di persone, quanto lo era in distanza.

Charlie venne condotto dietro all'edificio, attraverso un'arcata che pendeva inesplicabimente ma con eleganza a sinistra, e il suo compagno lo prese sollecitamente per il braccio. Prima che lui potesse chiedersi il perché di quel gesto, precipitarono per una sessantina di piedi, e si ritrovarono in un luogo che rassomigliava vagamente alla stazione di una metropolitana; solo che, invece di attendere un treno, salirono (o meglio, l'indigeno salì, Charlie vi fu trascinato) oltre l'orlo del marciapiede e Charlie provò la spiacevole sensazione di aver piegato le gambe per fare un salto mentre non c'era nessun salto da fare… perché il fossato era ricoperto, da una parte all'altra, dalla sostanza invisibile che li aveva levitati giù dall'edificio.

A metà percorso si fermarono e l'uomo lanciò un'occhiata indagatrice a Charlie; lui si preparò ad affrontare qualcosa di inatteso e annuì, e in qualche modo che Charlie non poté capire — gli sembrò una specie di gesto — si trovarono a volare in una galleria. Rimasero immobili e la sensazione di muoversi e di fermarsi fu appena avvertibile; qualunque cosa fosse la sostanza su cui erano ritti, li trascinò via a una velocità improbabile fino a che, dopo pochissimi minuti, tornarono a fermarsi davanti a un altro marciapiede. Entrarono in una specie di grotta quadrata laterale e vennero lanciati in alto, fino al livello del suolo, sotto l'edificio conico. Si allontanarono dalla metropolitana, mentre Charlie cercava di ringoiare il proprio cuore: quanto allo stomaco, che li seguisse se aveva voglia di farlo.