Выбрать главу

— La Regina di Cuori — disse Sidney, sorpreso.

Il Mago emise un mormorio indistinto d’assenso, e Aaron guardò la carta che Sidney aveva girato: di nuovo il viso di lei, stilizzato, enigmatico. Resistette all’impulso di dire a Sidney di puntare tutto il Constellation Club.

— Cinque per l’asso — disse il Mago.

— Sei — disse Sidney a casaccio.

— Vedo.

Sidney scoprì le sue carte, a una a una. Dieci, fante, regina, re, asso di cuori, e le due carte dal valore immaginario, i jolly, le matte.

— Scala matta.

Il Mago emise un fischio muto. Poi si appoggiò allo schienale della sedia e scoppiò a ridere, sparpagliando un’inutile combinazione di picche e quadri. — Hai vinto, Sidney. Raccogli i gettoni.

Aaron alzò di nuovo gli occhi, sentendosi bizzarramente fuori dal tempo e dallo spazio, come se qualcosa, in qualche luogo di un universo alternativo, fosse terminato o stesse per iniziare. Ma il Mago aveva rimesso nel mazzo la Regina di Cuori, e la ragazza era sparita.

4

Sidney Halleck e il dottor Fiori arrivarono su Averno la mattina dello stesso giorno. Il direttore Klyos, d’umore nero perché la sua richiesta di trasferimento al Settore Polosud era stata respinta senza nemmeno un commento, fece condurre Sidney nei quartieri del Mozzo riservati ai visitatori ufficiali, dove Jeri Halpren era in attesa. Poi si occupò del dottor Fiori. Il dottore aveva condotto con sé tre assistenti, due uomini e una giovane donna molto graziosa e molto annoiata, il cui viso cambiò solo quando vide il piccolo, spartano padiglione d’infermeria che Jase aveva riservato loro. La Macchina dei Sogni seguiva ancora l’orbita di Averno, e sarebbe stata raccolta in seguito dal personale dello scalo. Intanto, diceva il dottor Fiori, dopo un’intensa occhiata alla stanza in cui sarebbe stata sistemata l’apparecchiatura, avrebbe gradito essere presentato alla detenuta.

Jase sollevò un sopracciglio a quelle parole, ma disse solo: — Tornate in ufficio con me, dottor Fiori. Intanto sarete ufficialmente registrato come ospite del Mozzo, e dopo chiamerò una squadra di guardie per scortarvi dalla detenuta. Signora Barton, signor Ames, signor Ng… se aspettate qui qualche minuto, verrà qualcuno a mostrarvi il refettorio e il circolo ricreativo, che saranno in pratica i soli locali in cui potrete recarvi senza un mio permesso scritto. Buona permanenza.

Il dottor Fiori rimase in silenzio mentre percorreva il corridoio curvo, ricoperto da un tappeto grigio, che conduceva al raggio di trasporto. Jase posò il palmo della mano contro la tacca d’identità accanto alla porta circolare, che si aprì come il diaframma di un obiettivo mettendo in mostra il lungo tunnel da trasporto, la pista magnetica che scompariva in direzione del Mozzo, e le nicchie lungo la passerella dove le roboguardie, armate di fucili laser, se ne stavano intervallate, immobili, ciecamente attente. Scesero a piedi la rampa fino al primo carrello.

— Sembrate un pochino ostile — disse il dottor Fiori.

Jase inghiottì parecchie risposte. — Mi sentirò meglio quando comincerete a capire dove vi trovate. La donna a cui volete “essere presentato” è responsabile della morte di più di 1500 persone. Io sono responsabile di voi. Lei è pericolosa e non so come reagirà alla vostra presenza. Nello stesso tempo, non voglio che voi le facciate del male.

Il dottor Fiori lo fissò. Le roboguardie, color oro e grigio metallizzato, diventarono una visione confusa lungo le pareti mentre il carrello correva verso il Mozzo.

— Perché ve ne preoccupate? — chiese infine.

— Non me ne preoccupo affatto.

— Be’, allora…

— C’è qualcosa in tutta questa faccenda — disse Jase in tono burbero — che mi mette decisamente a disagio. Quella donna se n’è stata qui tranquilla nell’Anello Scuro, come un ragno nello spazio, per sette anni. Come mai improvvisamente attira la vostra attenzione? Mi sento a disagio perché a volte ho la sensazione che raramente le cose accadano per caso. Accadono perché un evento tira l’altro, perché l’amore, l’odio, i desideri della gente si sovrappongono costantemente, perché un lavoro incompiuto, per quanto venga dimenticato, chiede sempre di essere portato a termine. Quella donna non dovrebbe trovarsi qui. Tuttavia, visto che ce l’abbiamo messa, dovremmo avere il buon senso di lasciarla in pace. — Balzò fuori appena il carrello si fermò e diede il nome e l’impronta di tutt’e due le mani al controllo d’identità. L’apparecchiatura emise una serie di rapidi toni musicali in segno di conferma, e la porta del Mozzo si spalancò. — Almeno — aggiunse Jase — io la penso così. Il dottore siete voi.

Il dottor Fiori lo seguì, oltrepassando la lunga parete ricurva e opaca al centro del Mozzo, dietro cui il computer principale controllava silenziosamente ogni cosa, dalle roboguardie agli impianti idraulici. L’ufficio di Jase si trovava di fronte alla porta principale della sala computer. Il direttore era abituato alle vivaci luci colorate che sostituivano il panorama esterno, sopra la consolle principale, ma il dottor Fiori le fissò per qualche istante, prima di rispondere.

— Avete opinioni ambigue, sulla detenuta.

Jase sospirò. — Ho opinioni ambigue quasi su tutto, dottor Fiori. Sapete una cosa? Sono troppo vecchio per farmene un problema. — Indicò l’intercom. — Ditegli solo il vostro nome e spiegate a grandi linee il motivo della vostra presenza qui. Quello che conta è lo schema vocale. Serve all’archivio del Mozzo, nell’eventualità che si verifichi una situazione d’emergenza durante il vostro soggiorno. — Alzò gli occhi e vide che l’altro sorrideva. — Cosa c’è di divertente?

— Nulla. — Si lisciò i capelli spettinati. — Sono un po’ stanco. Continuo a dire stupidaggini, e voi continuate a darmi risposte sensate. Penso che se siete interessato alla Macchina dei Sogni o a me o alla detenuta, dovreste venire a vedermi al lavoro.

Jase rimase in silenzio, sorpreso. — Forse lo farò — disse, e rimase sorpreso di nuovo, stavolta di se stesso.

Terra Viridian era seduta in un angolo della sua cella, che faceva parte del vasto alveare di celle costruito nelle enormi pareti dell’Anello Scuro. Il dottor Fiori, circondato da guardie nell’ascensore che portava alle celle esterne, guardò la parete dell’anello con gli schermi individuali che luccicavano delicatamente e che gli fecero venire in mente la bizzarra immagine di uno sciame d’insetti dalle tremule ali trasparenti pronti a spiccare il volo. Terra, dentro la cella, non notava nemmeno più la presenza dello schermo: era semplicemente uno sfondo per le sue visioni.

Linee verticali dense e confuse dietro un fiotto di luce nebbiosa e guizzante… Lo schermo della cella svanì; le dense linee diventarono umane: guardie armate di fucili. Lei le guardò senza interesse; appartenevano a un’altra visione, a un’altra dimensione. La sua mente le rendeva incorporee, linee di colore che potevano venir grattate via dall’aria e scartate.

— Terra. Terra Viridian.

Udì il suo nome come se provenisse da un’altra galassia, attraverso nuvole di polvere e risacche di spazio tenebroso senza stelle. In uno spazio sconosciuto qualcosa riposava. Avvertì i confini indistinti del proprio corpo.

Rispose stancamente, senza battere le palpebre: — Sì.

— Sono il dottor Arturo Fiori. Cercherò di aiutarti. Capisci?

— Sì — rispose con indifferenza. I suoi occhi, enormi, drogati dalla visione, fissarono il grappolo di facce. Le parole potevano provenire da tutte o da nessuna: non aveva importanza. Le stelle presero il posto delle facce. Il sole rosso.