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Le facce ritornarono, o forse non erano mai sparite. Le comparve davanti un vassoio di cibo. Qualcuno ne aveva mangiato un pochino. E poi qualcuno si era riposato, sospeso in un silenzio senza tempo, dentro una nebbia ametista.

— Per favore, vieni con me.

Si aspettava un’altra doccia, o un periodo di passeggiata in cerchio. Invece la condussero in luoghi non familiari che si insinuarono con insistenza nei suoi pensieri. Il dottor Fiori le stava parlando. Campi di forza si spensero ammiccando al suo accostarsi, porte d’ascensore si spalancarono. Camminò su o giù o di lato per Averno, cercando di ignorare il dottor Fiori, che parlava di pagnotte. Il pane non faceva parte della visione. Né le porte spalancate, la troppa luce, il troppo movimento, qualsiasi parte dell’altra sua vita quotidiana. Della vita di Terra. Il suo respiro accelerò; poteva sentire il battito del suo cuore. Batté in fretta le palpebre, innervosita, ma le pareti scure continuarono a incombere su di lei; non riuscì a trovare la visione.

— Un linguaggio senza parole — disse il dottor Fiori, e lei rispose immediatamente: — Sì — fermandosi così bruscamente che un fucile le pungolò la schiena. — Sì. — I suoi occhi riacquistarono espressione. Finalmente vide il dottore, un uomo con i capelli ricci e neri più basso di lei. E nello stesso istante ricordò che lei stessa esisteva dentro quel mondo silenzioso infinitamente pieno di curve. Aveva dita, una bocca, un nome. Come aveva fatto a finire lì dentro?

— Il cielo è rosso — borbottò, ricordando.

— Alienata — mormorò una guardia. — Completamente fuori dal mondo.

— Per favore — disse il dottor Fiori. Il fucile le batté sulla spalla.

— Andiamo!

Lei si girò di scatto, terrorizzata dalla lunga camminata, da una libertà a cui non era più abituata. — State per uccidermi? — Le guardie si fusero in un cerchio tutt’attorno, a fucili alzati. Il dottor Fiori si fece strada e le fu a fianco, dentro il cerchio. Per un istante ebbe paura, ma non della donna. Terra se ne accorse, lo capì, tenendolo avvinto nel suo sguardo nebuloso. La voce del dottore era gentile.

— Nessuno ti farà del male. Voglio cercare di capirti.

Lei lo trattenne ancora un istante. Poi il viso dell’uomo si appiattì, divenne una fotografia, una vignetta. Un ovale. La sua mente non conteneva comprensione, solo incertezza.

— No — disse lei stancamente.

— Fidati di me.

Le prese il braccio. Quel tocco umano la spinse di nuovo su spiagge pericolose: solitudine, tempo che scorreva verso un futuro vuoto, ricordi di altri contatti fisici. Si scostò da lui, fu di nuovo colta dal panico, e cominciò a camminare come un automa. Il lungo tappeto grigio si mutò in un sentiero serpeggiante che attraversava le stelle, e poi nella sabbia di cristallo. Si ritrasse dal mondo rifugiandosi nel silenzio.

Jase la osservava da un monitor della sala computer. Le telecamere seguivano ogni mossa della donna, dalla cella all’infermeria dell’Anello Scuro. Aveva un aspetto alieno, pensò. Più alta di Fiori di tutta la testa; nata nello spazio, ricordò, calva come un insetto, con grandi, inespressivi occhi da insetto. Osservò con attenzione, intensamente. Se a Fiori fosse successo qualcosa, e fosse circolata la voce che Terra Viridian faceva ben altro che starsene seduta nell’Anello Scuro ad aspettare la morte, si sarebbe ritrovato con le chiappe sull’Orsa Maggiore, e non voleva essere trasferito così lontano. La ragazza si era fermata una volta, si era girata, ed era stata presa di mira da sei fucili così rapidamente che aveva temuto che l’uccidessero. Si era mossa in fretta, senza preavviso. Terra Viridian uccisa durante un tentativo di ribellione su Averno. Ma anche il dottor Fiori era stato pronto a intervenire, frapponendosi alle guardie, parlando ininterrottamente. Jase sospirò di sollievo quando si rimisero in cammino: l’assassina pazza, il dottore che parlava a vanvera ma era sorprendentemente coraggioso, le sei guardie allenate a uccidere.

Aveva quasi terminato il suo turno; non vedeva l’ora di cenare e di bere una birra assieme a Sidney Halleck, l’unico momento piacevole della giornata. Era stato uno schifo: Jeri Halpren che rompeva l’anima prima di colazione con la visita di un imprecisato complesso da night club, il rifiuto di trasferimento, Terra Viridian disseppellita come un personaggio di un vecchio film e che si aggirava per Averno come una furia carica di infausti presagi e infine il guasto meccanico di una spaziomobile di pattuglia nei pressi della Luna durante un inseguimento. Adesso sulla Luna c’era un cratere nuovo. C’erano stati scambi di messaggi durati ore intere, con Artemide e con l’UIGLM: i corpi erano stati ritrovati? Sì. No. Non era rimasto niente da trovare. Com’era successo? Di chi era la colpa? Chi erano i morti? Chi erano i parenti più prossimi? Dove… E intanto la spaziolancia in fuga aveva esaurito il carburante e andava alla deriva da qualche parte oltre la faccia scura della Luna, e mandava irregolari e confuse richieste d’aiuto.

Una giornata così doveva toccare a Nils, pensò Jase. Lui avrebbe saputo apprezzarla.

Terra era arrivata in infermeria. Jase distolse lo sguardo dallo schermo, limitandosi ad augurarsi che non succedesse niente. Si strofinò gli occhi con aria stanca e fu ricompensato, quando lasciò ricadere le mani, dalla vista di Jeri Halpren che entrava in ufficio.

Attirò la sua attenzione e attraversò la sala. Jeri sogghignava. “Dovremmo collegare quei denti a un generatore”, pensò stancamente Jase. Si sedette e lasciò che Jeri parlasse per qualche istante, finché non fu colpito da un particolare aspetto del suo discorso.

— Continui a dirmi Sidney Halleck ha detto questo e Sidney Halleck ha suggerito che… Non mi spiacerebbe affatto sentire dal signor Halleck in persona quello che ha da dire.

Il sorriso di Jeri si attenuò. — Be’, potrete chiamarlo quando sarà arrivato a casa, fra quattro giorni.

— Cosa?

— Ha dovuto andarsene stasera. Domani deve presenziare a una conferenza nel Settore Foresta Tropicale. Ho tentato di dirvelo, prima che partisse — aggiunse nervosamente Jeri — ma non sono riuscito a mettermi in contatto con voi, e mi becco regolarmente un cicchetto se mi presento qui senza avvisare. — Jase sospirò. — Mi ha detto che gli spiaceva non potervi incontrare.

— Spiace anche a me.

— Un suo complesso verrà qui a suonare.

Jase lo guardò con occhio torvo. — Continui a ripetermi anche questo.

— Con il vostro permesso, naturalmente.

— Non me ne frega niente. È un programma tuo. Non voglio nemmeno sapere che sono stati qui finché non se ne saranno andati. Musica. Complessi da night club. È un…

— È un precedente storico — disse Jeri con cautela, ma con fermezza. — L’ha detto Sidney Halleck.

Jase si appoggiò allo schienale. — Grazie — disse acidamente. Delle spie luminose gli ammiccarono contro, come in risposta al suo momento di distensione; si chinò nuovamente sulla scrivania, chiedendosi a chi toccava ora… la Luna, la spaziolancia dispersa, il GLM, il dottor Fiori e Terra, l’ignoto… chiunque fosse, si sarebbe rivolto a lui per una situazione di crisi o di caos, con l’urgente necessità di privarlo anche questa volta della birra.

— Terra. Mi senti, Terra?

Era seduta dentro una bolla. Calda, cedevole, sospesa nelle ombre sopra il pavimento. Alzò la mano, la toccò con stupore. La parete traslucida si tese sotto il suo tocco, poi ritornò come prima.

— Terra.

Una giovane donna in tuta rossa parlava piano in un computer. Terra fissò la macchia rossa, ondeggiando come attirata da una fiamma.

— Progetto: Cavia. Dottor A. Fiori. Assistenti: Reina Barton, Nathaniel Ng, Pietro Ames. Soggetto: Terra Viridian. Femmina. Anni 28. Detenuta, Anello Scuro di Averno. Segue fedina penale. Autorizzazione all’impiego di detenuti di Averno per programma sperimentale di bio-computer concessa dal dottor Grace Czerny, UIGLM, dipartimento di Psicobiologia. Famiglia: una sorella, residenza sconosciuta.