Il Mago brontolò qualcosa. Toccò un pulsante luminoso a caso, così lievemente che non ottenne alcuna reazione. — Per cui — disse piano — probabilmente hai attivato una trasmittente subsonica, oltre ad aprire la frequenza di Averno. Peccato che non stessimo ascoltando…
— Siamo fortunati — disse il Professore con fervore — a non aver ascoltato. Controlleranno le registrazioni di bordo.
— A questo… a questo non avevo pensato, Magico Capo. — Gli posò la mano sul braccio e sostenne il suo sguardo, con un’aria così angosciata che il Mago scosse lievemente la testa, muto, preoccupato. — Non intendevo metterti nei guai.
— Vuoi calmarti? — supplicò lui. — Mi fai diventare nervoso. Non siamo nei guai.
— Glielo dirò — disse lei, giungendo a una decisione improvvisa, sorprendente. — Su Averno. Glielo dirò. — Ma lui scosse la testa, con decisione.
— No. Assolutamente.
— Allora cosa farai?
— Siamo qui per suonare. Quando ce ne andremo, ce ne andremo tutti insieme, costi quel che costi. Non è colpa tua. Come possono credere che tu sia a conoscenza di frequenze non riportate sui diagrammi?
— Allora cosa farai? — chiese lei ancora. Il Mago sorrise, le diede un colpetto sulla spalla.
— Dirò loro quello che vogliono sentirsi dire. È la cosa in cui riesco meglio. Su col morale. È stato un errore in buona fede. Anche se non credono alle mie bugie, non ci sbatteranno mai nell’Anello Scuro solo per questo.
— È stato un errore — mormorò lei. — È stato un errore venire qui.
Lui restò in silenzio, sopraffatto di colpo dalle confuse emozioni della ragazza, e senza riuscire a capirle.
Il Professore disse con gentilezza: — Suoneremo, e ce ne andremo. Semplicissimo.
Lei non rispose. Il Pianto volante parlò di nuovo, annunciando la scorta d’atterraggio. Il Mago alzò incredulo la testa, sentendo nella lancia una nota che non aveva programmato. Ma riascoltandola mentalmente comprese che quel suono spurio non era nella musica, ma nella visione che il Professore aveva del loro futuro.
2
Nella sala computer del Mozzo, Jase guardò il Pianto volante atterrare. La stanza era in ombra, quasi priva di suoni; il suo viso era colorato dalla luce che veniva da un grazioso spiegamento di nebulose e galassie, una fantasiosa ricostruzione del cosmo realizzata da qualche artista sconosciuto. Gli piaceva passare qualche momento di libertà lì dentro, nel cervello di Averno, sapendo che a ogni secondo il computer prendeva innumerevoli decisioni per garantire che sul satellite tutto filasse liscio, proprio come il corpo prende decisioni tacite e precise per mantenersi in vita. Normalmente trovava consolante trovarsi accanto a un potere così grande. Ma ancora non era stato inventato un computer con il tormentoso dono della premonizione.
— Parola d’ordine.
— Nacque con il dono del riso e la sensazione che il mondo fosse pazzo.
— Parola d’ordine.
— E=mc2.
— Parola d’ordine.
— Flash Gordon.
— Codice d’accesso 6B. Canale nove. Starcatcher, scortate il Pianto volante alla Stazione C. Pianto volante, seguite esattamente le istruzioni, pena la distruzione. Confermate.
— Confermato.
— Permesso di entrata in Averno.
L’immenso portello esterno si spalancò scivolando sui cardini, poi si richiuse. La rossa ragnatela di luci d’avvertimento attorno ai due vascelli divenne a poco a poco color oro. I vascelli atterrarono.
Jase esaminò il Pianto volante. Era una spaziomobile sorpassata, un macinino Terra-Luna, d’aspetto tozzo e goffo; c’era gente che giurava che fosse il miglior modello mai progettato. Nessuno degli occupanti era ancora sceso. Per prima cosa una squadra di tecnici l’avrebbe esaminato controllando la ricevente difettosa. Non credeva che qualcuno a bordo avesse messo le mani nell’apparecchiatura. Erano musicisti, venuti a suonare su Averno per un’unica sera, che il giorno dopo a colazione sarebbero stati solo un ricordo. Erano il complesso scelto da Sidney Halleck, non un gruppetto di cospiratori che intendeva usare le apparecchiature di Averno per entrare illegalmente. Erano ospiti, giunti in buona fede… — E allora perché — chiese al computer del Mozzo — me ne sto qui al buio ad aspettare che tutte le spie d’allarme di Averno si spengano?
“Perché”, si rispose in silenzio da solo, “sono appena atterrati e già le coincidenze sono troppe.”
— Direttore Klyos.
Premette un pulsante dell’intercom. — Sì?
— Qui il capotecnico Rethro, signore. Abbiamo controllato la ricevente del Pianto volante. Mancano i sigilli con il marchio. Ritengo che l’abbiano mandato sulla Terra senza modificarlo. Un errore da parte nostra. Sul loro giornale di bordo non è registrato niente che riguardi la FA.
— Bene — disse. — Bene. Lasciateli liberi, e mandate una squadra per aiutarli a scaricare le attrezzature. Halpren è lì a riceverli?
— Signorsì. Scusate, signore, il concerto è solo per i prigionieri o può assistervi chiunque?
— Chiedetelo a Halpren. L’idea è sua. Per me può portarci tutte le guardie di sicurezza che vuole, purché siano fuori servizio.
— Grazie, signore.
— Ancora una cosa. — Si interruppe, soppesando un ultimo misero particolare.
— Signore?
— Controllate i dati di riparazione di quella spaziomobile prima dell’invio sulla Terra per la vendita.
Ci fu un brevissimo istante di silenzio. — Signorsì. Pensate…
— E mettete qualcuno a fare ricerche sui passaggi di proprietà. No. Non penso niente. Voglio solo sapere.
— Signorsì.
— Chiudo.
Attraversò il corridoio e andò in ufficio. Nils, seduto alla scrivania, sorseggiava caffè con aria assonnata.
— Cosa fai ancora sveglio? — chiese Jase.
— Mi sono messo di servizio al concerto.
— Capisco. — Alzò un sopracciglio. — Forse chiederò a Jeri di realizzare un programma di riabilitazione per il personale.
— Sarebbe una battuta, signore?
— No — rispose, sorpreso. — Mi lamento tanto già io, che dimentico che potrebbero lamentarsi anche altri. Siamo tutti chiusi qui senza via di fuga. Forse potremmo metterci d’accordo con quelli di Helios, per andare a pescare nei loro fiumi oppure…
— In cambio di che cosa?
Jase ridacchiò. — Qualcosa troverò. — Si sedette, diede un’occhiata alle schede dei visitatori, che l’archivio gli aveva mandato per i controlli di routine.
Nils disse: — Signore? — Il tono insolito della voce fece capire a Jase che c’era qualcosa di bizzarro nella sua immobilità. Riprese a respirare, battendo le palpebre, ma nelle schede non era cambiato nulla.
— Accidenti — mormorò.
— Cosa c’è?
— Non lo so… Rintracciami una Regina di Cuori, Settore Costadoro, hai voglia?
— Come diavolo ci riesce? — chiese il dottor Fiori al soffitto.
— Dottore, forse è la macchina.
— È lei.
Terra li fissò senza battere le palpebre. Non si era mossa per mezz’ora. L’immagine sullo schermo era cambiata due volte. Nessuna delle due immagini aveva un significato evidente. La prima immagine, avevano stabilito, era il volto gonfio e pesante del pianeta che incombeva su Terra quando era ancora bambina. La seconda immagine era una conchiglia marina.
— È la conchiglia di un nautilo — disse Reina, pronta. Il dottor Fiori fece un gesto di stizza.