— Se l’avessi saputo, non avrei dovuto nascondermi. — Si sottrasse al suo sguardo, fissò il tappeto con occhi spalancati, ciechi. Il Mago la guardò, incapace di muoversi. Ma lei non pianse; la maschera resse. Alle loro spalle Quasar si accese una sigaretta; persino lei era senza parole.
— Volete accompagnarla, signor Restak? — Per un istante la domanda non ebbe alcun senso. Far visita a Terra Viridian non compariva in nessuno dei futuri che aveva intravisto. Il direttore parlava ancora, agitando la mano. — Il dottor Fiori non sa come Terra potrebbe reagire alla presenza di sua sorella. Però, e non chiedetemi come, lei sembra sapere che sua sorella è qui. — Lasciò cadere la mano e ripeté al Mago la domanda. — Verrete anche voi? Preferirei che con lei ci fosse qualcuno.
Il Mago annuì brevemente. — Sì. — Si rivolse al Professore sforzandosi di assumere un’aria di efficienza. — Appena puoi, comincia a preparare. Non so quanto ci metterò.
Il Professore annuì, sempre in silenzio. Il Mago chiuse la porta e seguì la sua cubista nell’Anello Scuro di Averno.
Dopo i primi cinque minuti rinunciò a tenere a mente il percorso per tornare indietro nel caso che la strategia d’attacco di Michelle Viridian includesse una rapida evasione. C’erano ascensori, montacarichi, nastri trasportatori, schermi monitor dappertutto, guardie dappertutto, comprese le due che il direttore aveva raccolto per strada; e dove non c’erano guardie umane c’erano robot. Dopo dieci minuti il Mago non aveva più idea se stavano salendo, scendendo o si muovevano lateralmente dentro gli anelli. La Regina di Cuori gli camminava davanti, a fianco del direttore. Una volta si girò per vedere se il Mago continuava a seguirla. Lui riuscì bene o male a rivolgerle un sorriso, anche se la rivedeva con la tuta macchiata addosso, sotto il quadro comandi, spietatamente indaffarata a mettere a repentaglio il Pianto volante. Percorsero un altro breve tratto su nastro trasportatore lungo la parete ricurva dell’Anello. Poi ci fu un altro ascensore, un altro corridoio, un’altra coppia di guardie, un’altra entrata.
Infermeria, padiglione D411.
Il padiglione era poco illuminato, pieno di sagome bizzarre e di movimento. Un dottore cominciò a parlottare con Michelle, mentre la donna che faceva parte del gruppetto dei tre assistenti lanciava al Mago una rapida occhiata e tornava a dedicarsi alla consolle e agli schermi che aveva davanti. Tutti gli schermi mostravano in continuazione differenti inquadrature a colori di Terra, tranne uno, che mostrava solo una conchiglia. Il Mago vide che quest’ultima immagine ondeggiava. Si girò, con la pelle d’oca, e solo allora distinse fra le ombre alle sue spalle la presenza della donna ripresa sugli schermi. Fissò affascinato la bolla gigantesca sospesa in un angolo della stanza. La Regina di Cuori avanzò di un passo. Di un altro.
C’era una sagoma rosa dentro il globo: un essere nudo, smagrito, appiattito contro la parete trasparente quasi fino a perdere forma, fuso attorno alle mani che si sforzavano di uscirne fuori. La voce era sottile come quella di un bambino, esausta.
— Michelle?
Il Mago si sentì gelare il viso e le mani. La Regina di Cuori gli passò davanti, con la vernice del viso macchiata da lacrime improvvise, e afferrò le mani dentro la bolla. — Terra — disse. — Terra. — La voce era scossa dalla commozione. Il Mago chiuse gli occhi. Ma continuava a vederle, due donne con l’identico viso, tutt’e due intrappolate dal passato, impossibilitate ad aiutarsi. Udì una voce lontanissima esclamare: — Guardate la Macchina dei Sogni!
E allora, dietro ai suoi occhi chiusi, ricordi che non gli appartenevano, vividi, precisi e casuali, gli turbinarono nella mente come un mazzo di carte lanciate in aria.
Il viso di Michelle o di Terra, molto più giovane; un minuscolo sgorbio di luna rimpicciolito dal confronto con la rossa faccia rigonfia del pianeta; il pannello di guida di una navetta da minatore; l’aria umida e soffocante di una serra; una fruttiera d’arance; una poesia su uno schermo; forcine nere a forma di cuore; una stella rossa; il deserto sotto un’ardente stella gialla; una parete nera stagliata contro un nero più intenso; le ombre di una fila di soldati in marcia sulla sabbia; una costellazione sconosciuta; uno schermo di luce abbagliante, pericolosa; una bambina dai corti capelli chiari che si disegnava stelle azzurre sul viso; un coltello piegato; un ovale piegato su sabbia ametista lambita da un mare rossastro…
Le immagini rotearono come una pellicola cinematografica fatta scorrere troppo velocemente, poi si bloccarono, si strapparono. La mente del Mago si svuotò.
Finalmente riuscì a vedere di nuovo. Accanto a lui, dietro di lui, tutti fissavano lo schermo. Ma lui non riusciva a distogliere lo sguardo dalla sagoma dentro la bolla, più in alto. Vide il viso di Terra, velato da pareti trasparenti. Michelle l’aveva lasciata andare; la bolla aveva riacquistato una forma sferica. Terra si stava ritraendo nell’ombra, ma mentre si spostava incontrò i suoi occhi.
Il Mago si sentì rizzare i capelli. Era troppo stupito persino per tremare. “Tu”, dissero gli occhi di Terra. “Tu.” Lui chiuse di nuovo gli occhi, sentendo un rivolo di sudore gelido lungo la schiena. Ma i ricordi erano ancora nella sua mente: i ricordi di lei. Vide dov’era nata, vide il deserto in cui aveva ucciso, vide il colore dei suoi capelli da bambina. Come un ragno lei aveva intessuto una tela, spinta dal bisogno, e l’aveva catturato.
— Niente immagini — disse uno dei due assistenti maschi del dottore. — L’abbiamo persa?
— Michelle — disse gentilmente il dottor Fiori. — Ditele qualcosa.
— Terra. — La voce si inceppò, stridente. — Terra. — Michelle tremava di nuovo. Il Mago sembrava aver messo radici dove si trovava quando gli occhi di Terra l’avevano sfiorato. Michelle era sola con Terra, completamente dimentica di tutto. Le lacrime le rigavano il viso, e lei di tanto in tanto se le asciugava senza rendersene conto. — Terra. Puoi parlarmi?
Dalla bolla provenne un sussurro. — Michelle?
— Sì, Terra.
— Io sono un vento solare, nato dal fuoco.
Il dottor Fiori mormorò qualcosa. Michelle disse, senza girarsi: — È il verso di una poesia. L’ha scritta quando aveva 12 anni. Terra. Sei così magra! Non mangi?
— Quale?
— Come, quale?
— Quale parte di me? Io mangio e io non mangio. Non in questo momento. Non prima della fine.
— Quale fine?
— La fine della visione.
Il Mago si sentì oscurare la vista da un tenue tramonto viola. Si girò, con occhi annebbiati, colto dal panico, e scorse la propria visione proiettata sullo schermo. Qualcuno disse, guardandolo: — Ancora la nebbia d’ametista… un significato ce l’ha di sicuro, ma quale?
Il Mago respirò con più calma, mentre la luce si affievoliva. Sentì uno sguardo su di lui, e scoprì che il direttore Klyos lo fissava dalla soglia. Si accorse di avere la bocca secca, le mani strette a pugno. Forse doveva cercare di parlare, ma Terra lo attirò di nuovo, catturò ancora tutta la sua attenzione.
La sua voce perse il tono di distacco. — Michelle.
— Sì?
— Ascoltami. Ascolta.
Una scogliera a strapiombo nera come spazio profondo. Un confuso cielo rossastro sullo sfondo. Un ovale ripiegato su se stesso, di tutti i colori o di nessun colore, disteso su sabbia ametista. Una sfocata visione di una stella rossa. La scogliera. L’ovale. Il sole rosso… Il bisogno, il primigenio, prepotente, schiacciante bisogno… La visione.
Il Mago cessò perfino di respirare. Si accorse di tenere gli occhi sbarrati. Il viso magro, gli occhi enormi, che scorgevano visioni, che vedevano nei suoi, che lo costringevano a vedere…
Michelle mormorò: — Ti ascolto. — Era una domanda. Lei attendeva ancora, capì il Mago, aspettava ancora di udire quello che era stato appena detto… E infine giunse di nuovo la voce di Terra, quasi persa dentro la bolla.