— Sono così stanca. Così stanca.
— Parlatele — mormorò il dottor Fiori.
— Lei…
— Parlatele. Fate in modo che ricordi.
— Terra. — Si interruppe, cercando a tentoni il passato. — Ti… ti ricordi quando arrivammo al Settore Costadoro? Vedemmo l’erba sotto il sole per la prima volta. E grandi giardini di fiori sbocciati senza bisogno di serre. Ti ricordi?
— Uccelli… zanzare…
— Sì.
— Ragnatele stagliate contro la luce del mattino.
— Alberi di limone. Non avevamo parole sufficienti per tutte le cose che vedevamo.
— Parole.
— Avevamo 16 anni. Appena giunte sulla Terra. Eravamo tristi, dapprima. Ma dopo un po’ cominciammo a ridere di nuovo.
— Tu suonavi musica. Sempre, sempre… la sognavi, l’amavi, ne eri ossessionata… Era la tua visione.
— E tu badavi a tutt’e due. Mi giustificavi a scuola, cucinavi, mi compravi persino i vestiti…
— Tu guidavi l’elicar. Tu riparavi le cose. Tu avevi il sogno.
— Tu avevi…
— Non avevo nessun futuro.
— Tu…
— Aspettavo. Un futuro inesistente. Un luogo dove mi avrebbero tagliato i capelli.
— Ricresceranno…
— Non qui. Mai, nell’Anello Scuro. E non me ne andrò mai.
Michelle fece per parlare. Poi si portò le mani alla bocca, ingobbita, travagliata da un’angoscia muta. Il Mago, mosso a compassione, le si avvicinò di un passo. Ma un’ombra fiorì nella sua mente e lo bloccò. La figura si appiattì come una goccia di pioggia sul selciato, poi si raccolse su se stessa e sgattaiolò via dalla spiaggia viola. Fu seguita da un’altra. Un’altra. Dentro di lui crebbe un suono. Chiuse gli occhi, ma le ombre continuarono a fiorire. “Terra”, supplicò. “Terra.” E, sorprendentemente, le ombre si arrestarono.
— Si sta smarrendo. Continuate a parlarle, Michelle. — La voce del dottor Fiori era bassa, insistente. — Michelle. Chiedetele del Settore Deserto.
— No. — Scosse la testa vivacemente. — No.
— Chiedeteglielo.
“Buon Dio, no,” pensò il Mago, terrorizzato.
— Chiedeteglielo. Con cautela.
Michelle si girò, stravolta, tormentata; il dottor Fiori disse ancora: — Con cautela. Senza turbarla.
— Come? — Sospirò con un brivido. — Come posso chiederglielo senza turbarla?
— La conoscete meglio di noi.
— Non la conosco! Non l’ho mai conosciuta!
— Sst. Fatelo con dolcezza. Tentate. Per amor suo.
Lei si voltò ancora verso Terra, e la sua voce si ridusse a un mormorio appena intelligibile. — Terra, mi senti?
— Michelle.
— Quasi non vedo il tuo viso. Non hai freddo, lì dentro?
— Freddo. Qui non c’è freddo.
— Ricordi… ti ricordi dell’ultima volta che ci vedemmo? Sette anni fa? — Dentro la bolla ci fu silenzio. Il Mago udì il proprio cuore martellare. “Posso uscire da qui”, pensò, “posso andare lontano.” Ma il suo corpo aveva le stesse reazioni di una pietra. E ora per lui non c’era nessun luogo dell’universo oltre agli occhi di Terra, la visione di Terra.
— Terra. Ti ricordi?
— Non c’è tempo. — Le parole erano un sussurro.
— Mi desti un bacio d’addio. Indossavi l’uniforme.
— No.
— Terra, tentai… tentai di vederti, dopo. Io… loro non mi permisero…
— Lo so.
Nella stanza nessuno fiatava.
— Come potevi sapere? Non mi permisero di vederti, dissero che eri pericolosa, dissero…
— Il tuo viso non era nella visione, ma lo sapevo. Il resto… — Un braccio sottile si mosse. — Il resto era niente. — Si accartocciò sul pavimento della bolla, stringendosi le ginocchia, scuotendo la testa avanti e indietro. — Facce. Voci. Domande. Rumori. La visione.
— Terra. Il Settore Deserto. Cosa accadde? — Silenzio. — Terra, mi dicesti addio e ti recasti in quel settore e io non… io mai… non tornasti mai indietro, tu…
Il sole era scuro, nella mente del Mago, sullo schermo della Macchina dei Sogni.
— Andasti nel deserto e…
La visione era luce.
Le labbra del Mago si aprirono. Soffocato, cieco nelle tenebre agognò la luce, sognò la luce, immaginò la luce. Creò la luce.
— Terra. Tu eri… — La voce si spezzò. Si coprì il viso. — Non posso — mormorò. — Non posso, non posso, non posso…
— La visione — disse il dottor Fiori. — Chiedetele cos’è la visione. Chiedeteglielo, Michelle.
— Terra, che cosa… che cos’è la visione? Cosa vedi?
Terra nascose ancora il viso contro le ginocchia. Emise un respiro stridente, esausto. Deglutì. — Parole. Domande. Parole senza suono — disse infine.
— Parole senza suono… — Michelle si girò finalmente a guardare con stupore la Macchina dei Sogni. Una macchia viscosa, vagamente giallastra, ribollì fra gli spruzzi nella mente del Mago. Si acquietò e svanì nel litorale crepuscolare, dove giaceva l’ovale piegato, di nessun colore o di tutti i colori, isolato e immutabile come una luna. Il Mago desiderò affidare il corpo immobile al tempo, annegare la mente nella fresca acqua viola.
— Una parola senza suonò — sussurrò Michelle. — Ma cosa significa?
— La visione.
Il Mago vide sabbia d’ametista, scabra, traslucida; si ritrovò nella sabbia; fu lui la sabbia. Non vide niente, non udì niente. Poi l’occhio di Dio, il sole rosso, squarciò le tenebre, e lui sentì un comando che lo trascinava come un’onda di marea sulla sabbia, che revocava il passato, trasformava i confini del mondo. Non riuscì a parlare, non percepì sensazioni. C’era solo la fame, inesorabile e assoluta; e con la fame, la visione.
La visione era luce. Fiammeggiò nella sua mente da cento direzioni; dove era ingoiata dalle vuote tenebre inanimate, lì irraggiava di nuovo, ancora, combattendo la lunga notte finché il buio non si arricciò via per rivelare caos e altra luce. Il sole giallo contro un violento cielo azzurro… che fissava in basso un paesaggio cangiante in cui confuse sagome ossessivamente familiari si trasformavano in luce. La sabbia, smorta, arida, divenne all’improvviso una distesa ardente di vetro fuso. Sotto l’occhio giallo anche l’ovale si fuse.
Divenne un viso di bambina stravolto in un muto urlo di terrore. E poi l’urlo non fu più muto.
Terra si era alzata; batteva i pugni contro la parete della bolla, urlando lo stesso urlo della bambina. Il Mago, barcollando, allungò le mani alla cieca. Colpì lo spigolo della Macchina dei Sogni, e poi due persone che lottavano.
— No. Non c’è nessun pericolo. Non può farsi male.
— Lasciatemi! — Era la sua cubista, ricordò, la Regina di Cuori. Il dottor Fiori le rispose rapidamente, cercando di calmarla. — Va bene, va bene, ora vi lascio andare.
Le due persone si separarono; il Mago si staccò da loro, riacquistò l’equilibrio e la capacità di vedere. Per un secondo il dottor Fiori abbandonò l’inesorabile inseguimento di Terra e si girò verso di lui.
— State bene? — chiese sorpreso. — Sembrate un cadavere. — Prima che il Mago potesse rispondere, aggiunse: — Ce la fate a resistere? Comincia a ricordare. Comincia ad affrontare la realtà. Avete visto com’è cambiato il simbolo.
— Simbolo. — Michelle, con il viso bizzarramente sporco di lacrime e di colori, lo fissava, cercando di capire il senso delle sue parole.
— Sta mascherando le proprie azioni dietro uno schermo di simboli che sono per lei più accettabili. Voi l’aiutate ad affrontare la verità.
Lei lo fissò ancora per un attimo, poi guardò le ombre, il computer, la detenuta rapata e piangente, gli assistenti e le guardie, il segmento del vasto anello ricurvo che li circondava. Altre lacrime le rigarono il viso. — A che scopo? — gli chiese. — Vi prego, ditemelo. A che scopo?