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Per un istante il Mago provò un gelido, tormentoso spasimo di terrore. Avrebbero suscitato sospetti se avessero tentato di decollare abbandonando le attrezzature; ma non potevano imbarcare tutto in due minuti; se avessero completato il carico, se fossero riusciti a decollare, avrebbe portato con sé quasi tutti i Nova, e come avrebbe fatto a spiegare… Non lo avrebbero mai perdonato per averli coinvolti; Quasar non lo avrebbe mai perdonato per averla piantata lì…

«Non bisogna guardarsi indietro», aveva detto il Professore. Si lasciò alle spalle le paure come qualcosa di palpabile, il suo stesso corpo o un’ombra, e raccolse una custodia di cubi mentre raggiungeva il Pianto volante.

Michelle lo incontrò sulla rampa, tornando indietro. Senza il trucco di scena, il suo viso pareva bizzarro: più piccolo, più giovane. Lo fermò, gli posò una mano sulla spalla, aggrottando le sopracciglia nel vedere il taglio che aveva in faccia. Lui scosse in fretta la testa.

— Non farci caso. Porta dentro i cubi. Decolliamo.

— Subito? — Improvvisamente spalancò gli occhi, gli occhi di Terra, leggendogli nel pensiero. — Magico Capo — mormorò. — Cos’hai combinato?

Lui le lasciò cadere fra le braccia la custodia. — Sbrigati — disse, e lei si girò. Sulla rampa di prua il piano aveva una buffa inclinazione, metà dentro metà fuori il portello. Nebraska spinse; il piano scivolò dentro. Il Mago li seguì a bordo, ritrasse la rampa e chiuse il portello.

“Terra”, pensò. Quel nome era una pulsazione nel suo cervello. “Dove? Dove? Da qualsiasi parte. Da tutte le parti.” Lui aveva legato Klyos, e lei era scomparsa. Scomparsa, e basta. Ma era collegata alla sua mente come la coda di una cometa; avrebbe dovuto sapere dove lui si dirigeva. “È sul molo. È dentro il Pianto volante. Deve esserci.”

Mai guardarsi indietro.

Andò sul ponte. Vide Quasar intenta a darsi lo smalto e sorrise di sollievo. Lei gli lanciò un’occhiata, considerò per un momento lo stato del suo viso, e disse in tono caustico: — Non è il colore che avrei scelto io.

Entrò Michelle, portando una custodia. — È l’ultimo — disse. Il Mago sigillò la spaziomobile, con mani fredde, tremanti, e girò attorno alle custodie per raggiungere i comandi. Michelle lo osservò, immobile, senza deporre l’ultima custodia. Il Mago disse: — Siediti. Se ne occuperà Nebraska.

La ragazza si sedette sul sedile del navigatore. D’un tratto il pennello di Quasar si bloccò. — Mago, ce ne andiamo? E i costumi, e tutto il resto…

— Se ci tieni — disse lui — vatteli a prendere.

Quasar restò in silenzio. I motori rombarono.

Dalla coda della spaziomobile venne un grido di sorpresa. Il Mago si chiese se avevano scoperto Terra. La ricevente gracchiò subito dopo.

— Pianto volante, qui Scalo Uno. La vostra partenza è in programma alle 7.00 ora terrestre.

— Scalo Uno, qui Restak — disse il Mago prontamente. — Abbiamo calcolato male il programma degli spettacoli. Dobbiamo essere a Rimrock prima di quanto pensavamo. Non siamo abituati allo spazio. Chiediamo il permesso di decollare.

Il pannello di controllo restò muto. “Proprio nel bel mezzo di un allarme”, pensò il Mago. “Con Terra in libertà e il Mozzo bloccato. Certo, Magico Capo, vattene pure. Congedati. E portati via anche la nostra detenuta.”

— Pianto volante, vi serve una scorta di decollo — disse gentilmente Scalo Uno. — Chiederemo il permesso al direttore Klyos. Restate in attesa.

— Grazie — disse il Mago, traducendo tra sé: “muoviti di un millimetro, Magico Capo, e salti in aria.” Un liquido salato gli penetrò nel taglio sull’occhio; fece una smorfia. Poi pensò: l’intercom del Mozzo è fuori uso. Non riusciranno a mettersi in contatto. Chiameranno i soldati.

— D’accordo — disse con decisione. Fece scivolare via il pannello di protezione dalla tastiera. Nebraska, con il fiato grosso, arrivò sul ponte. — Cosa succede? — chiese stupito. — Magico Capo, non ci hanno ancora pagato. I bagagli…

— Zitto — disse il Mago con molta calma — o finiamo all’altro mondo. — Sul Pianto volante scese il silenzio. Tutti i suoi pensieri abbandonarono il mondo circostante, il passato, il futuro, il pericolo e la confusione, e si concentrarono sulla musica che aveva in mente. Batté sui tasti un codice di scalo, collegò il Pianto volante al computer del Mozzo. — Qui Pianto volante. Chiediamo il permesso di lasciare Averno.

— Come? — chiese Aaron. — Come diavolo ha fatto? — Jase si sedette accanto a lui nella lancia del Mozzo. Finalmente aveva visto delle guardie nella sala computer, proprio mentre ritirava la scaletta. Ma non aveva tempo di dire loro cosa intendeva fare. L’intercom della lancia era muto; non poteva chiamare lo Scalo Comando dall’interno di Averno. La lancia del Mozzo era veloce, non sofisticata. Non aveva armamento, non aveva luci girevoli; bastava la voce di Jase per farla decollare.

— Non chiedetemelo — rispose Jase, disgustato. Aaron rimase in silenzio, fissando le luci rosse d’avvertimento. Jase gli rivolse un’occhiata, e trovò un istante di tempo per comprendere lo stupore di Aaron. Disse: — Mi spiace d’avervi cacciato in questi pasticci, signor Fisher. Le mie intenzioni erano ben altre. Ma ormai è fatta, e visto che avete già rischiato la vita per me un paio di volte, farò in modo che questo risulti sul vostro stato di servizio.

Aaron lo guardò, poi tornò a osservare le luci. — Grazie — disse in tono piatto. E poi: — Le luci sono passate al giallo.

— Klyos. Identificazione.

— Identificato — disse la lancia. — Camera stagna in fase d’apertura.

— Non riesco proprio a crederci — disse all’improvviso Aaron.

— Assurdo. Tutti quelli che conosco impazziscono da un giorno all’altro. Come può… come può accadere senza che me ne accorga? Il Mago… Paga le multe addirittura prima dei termini. E la… E Mi… — Chiuse la bocca, di nuovo senza parole. Jase terminò la frase per lui.

— La Regina di Cuori. Fino a che punto eravate amici?

— Lei. — Il sangue gli salì al viso; i suoi occhi diventarono neri come il cielo oltre la paratia che si spalancava. — Via libera. — Lasciò cadere senza rumore il pugno sul pannello e la lancia schizzò nell’ombra di Averno.

Jase premette nello stesso istante il pulsante dell’interponi.

— Klyos a Scalo Uno. Identificazione. Suonate l’allarme molo. Allarme molo. — La comunicazione era ancora ostacolata, pareva, dalla massa di Averno. — Nessun decollo. Ripeto: Klyos a Scalo Uno. Identificazione. Nessun decollo…

— Annullato — disse Scalo Uno con la voce stessa di Jase. Il direttore trattenne il respiro, poi lo lasciò uscire con furia e imprecò.

— Via.

La lancia acquistò velocità. Rimasero in silenzio, sentendo la voce del Mago.

— Permesso di lasciare Averno.

Ancora la voce del direttore di Averno.

— Parola d’ordine.

Silenzio. Poi un delicato brano di musica antica.

— Parola d’ordine.

Un altro fraseggio, breve, in chiave minore.

— Parola d’ordine.

Un terzo brano, dolce e completamente sconosciuto. La lancia del Mozzo superò la curva di Averno appena in tempo per scorgere la vasta cupola dello scalo che cominciava ad aprirsi, schiudendo le stelle.

— Pianto volante, avete il permesso di lasciare Averno.