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— Signor Restak, ogni volta che cominciate a parlare in questo modo mi fate sentire a disagio. Mi viene voglia di farmi la doccia al cervello.

— Per favore. Ascoltate. — Si interruppe di nuovo. Jase lo sentì scegliere le parole. E poi udì la profonda stanchezza che c’era sotto: il Mago che faceva giochi di prestigio con tavolini, sciarpe e tazzine da caffè, e un coltello di troppo. — Quando ho accompagnato voi e Michelle a vedere Terra: ricordate?

— Sì.

— C’era il computer, che mostrava immagini della sua mente. Noi siamo entrati; abbiamo guardato Terra, perché era la prima cosa che si notava, la pazza rapata a zero dentro la bolla. Poi voi avete guardato lo schermo. E lei ha guardato me. E io ho visto nella mia mente tutte le immagini che lei continuava a vedere. Ed è… era irresistibile. Era… direttore Klyos, qual è la cosa che desiderate di più dalla vita?

— Un trasferimento.

Il Mago rimase un attimo in silenzio. — D’accordo — disse con pazienza disumana. — Allora qual è la cosa che vi tocca più profondamente?

Jase rimase muto, colpito dalla domanda inaspettata. — Cosa cercate di dire, signor Restak?

— Che quello che lei… che tutt’e due vediamo, ha la stessa enorme importanza. È egualmente vitale. Non per noi. Non a livello umano. A livello…

— Oh Cristo, non comincerete a parlare di alieni!

— Le avete viste anche voi, quelle immagini.

Di colpo Jase vide ancora le immagini, la loro estraneità, sempre dal lato sbagliato degli ampi confini della sua personale esperienza. Sagome che scrosciavano giù come pioggia, che si allontanavano in fretta su una spiaggia ametista. L’ovale piegato, sereno come una luna caduta sulla sabbia. Il sole rosso… “I colori sono tutti sbagliati”, pensò. Ma lei aveva insistito su quei colori.

— Ha ucciso a causa di quelle immagini. Perché secondo me chiunque le generi ha provato un irresistibile stimolo di luce. Lo stimolo era probabilmente biologico, istintivo. Come quello di animali o rettili nati sulla terraferma, che sono spinti verso l’acqua perché altrimenti muoiono. Sono spinti. Cosa sia successo all’alieno, non lo so. Forse si collega in qualche modo al sole morente. Terra era nel deserto in pieno giorno. Ma l’immagine nella sua mente era buia. Lei vide le tenebre. Sentì le tenebre. Provocò la luce.

Il disprezzo nella voce di Aaron ebbe su Jase l’effetto di una scossa elettrica. — Magico Capo, non ci credo! Mi rifili stronzate assurde e ti aspetti che perdoni e dimentichi…

— Signor Fisher! — intervenne aspramente Jase, scorgendo con la coda dell’occhio lampi di luce lungo la canna del fucile. La voce del Mago, esausta per la tensione, lo interruppe a sua volta, zittendo tutti.

— Allora, maledizione, spiegalo tu! Dimmi perché sei qui, perché continui a inseguire la donna che hai inseguito per sette anni, infuriato con lei, infuriato con me, con la voglia di uccidere una donna processata e condannata da anni… Sette anni, Aaron! Hai chiesto spiegazioni, mi sono fatto in quattro per cercare di darti risposte, e non vuoi nemmeno starmi ad ascoltare perché dopo sette anni di amarezza e di odio non sei capace di provare altro!

— Tu… — La parola sembrò uscire in un soffio impetuoso, come se Aaron avesse ricevuto un calcio nello stomaco. — Magico Capo…

— Signor Fisher, cercate di calmarvi!

— È lei quella che ha ucciso! Perché sono io sotto processo?

— Perché tutto questo è anche colpa tua, come di tutti gli altri!

— Mia! — disse incredulo. Il rigido autocontrollo era scomparso, ma era svanita anche la furia. Sembrava, pensò Jase, genuinamente ferito da un pensiero mai avuto. Terra aveva abbassato il fucile. Jase vide la mossa, e ci rifletté sopra, pieno di stupore. Lei aveva abbassato il fucile. Poi, con stupore ancora maggiore, pensò: “Anche lei sta ascoltando.”

— Mentre tu inseguivi Michelle Viridian per tutti questi anni, le hai dato qualcosa da cui nascondersi, da cui scappare con la stessa forza di adesso. Sei tu quello da cui lei si è nascosta in primo luogo: tu e tutto il tuo furore segreto. In questo mondo è pericoloso nascondere le cose. Se non le trasformi in linguaggio, si trasformano in qualcosa d’altro; riemergono quando pensi di averle sotterrate, le trovi dove meno te l’aspetti: la pazza con il fucile puntato alla tua schiena, la maschera sul viso della donna che amavi… hai trovato esattamente quello che cercavi, Aaron: le cose che odii.

Aaron mosse le labbra senza emettere suono. Fissò la spia luminosa dell’intercom, quasi si aspettasse di vederne uscire all’improvviso il Mago come un ologramma. Il suo viso era privo d’espressione, svanita insieme al colore.

— Sto cercando… Aaron, sto cercando di mostrarti un modo diverso di guardare quello che hai fissato con odio per sette anni. Non voglio ferirti. Cerco solo di mostrarti che non avresti mai potuto spiegare la strage di Terra, che Michelle non avrebbe mai potuto spiegarla… hai continuato a cercare la cosa sbagliata.

— Lo so — disse lui, con voce così bassa che il Mago la udì a stento. I suoi occhi catturarono bizzarramente la luce, velati da lacrime o ricordi. Tenne le mani abbandonate; tenne tutto il corpo abbandonato, come se accettasse il vuoto dell’aria. Jase si sentì d’un tratto pungere la gola. “Sette anni”, pensò. “Gli ci sono voluti sette anni per lasciar perdere. Dio santo, come riusciamo a sopravvivere, tutti noi, tra sofferenze e fuggevoli amori?”

— Mago — disse, accantonando con una scrollata di spalle quel problema, come un vecchio fardello familiare. — Avete ottenuto la nostra attenzione. Adesso potete spiegare meglio…

— Spaziomobile Ero a lancia — intervenne l’intercorri in tono aspro. — Flotta in avvicinamento alle ultime coordinate note del Pianto volante. Prego trasmettere nuove coordinate…

— A questo punto li abbiamo praticamente sotto il naso — disse Jase con irritazione. — Ora…

— Ordini per l’avvicinamento? Volete che apriamo il fuoco?

— Voglio che ve ne andiate… negativo. Raggiungeteli e scortateli.

— Signore — disse incredula Ero. - Codice cinque?

— Negativo Codice cinque. Sono disarmati.

— Signore, ne siete certo?

— Naturalmente. Sto trattando per una soluzione incruenta. Mantenete il silenzio; sgombrate i canali. Scortate e aspettate…

— Codice otto?

— Negativo — gridò Jase. — Negativo Codice otto. Niente azioni di forza. — Si interruppe perché il Mago in sottofondo aveva detto qualcosa di incoerente. — Signor Restak — disse all’improvviso, profondamente a disagio. — Mago. — Udì dietro di sé il respiro affannoso, irregolare di Terra. — Signor Restak! Rispondete! Maledizione, Ero, volete togliervi dai…

— Il bisogno — disse rigidamente Terra, congelando le corde vocali di Jase — è la luce.

7

Buio. Non il buio delle palpebre abbassate, con i suoi casuali barlumi colorati, non il buio della notte, con i suoi fuochi remoti, ma la muta, immota mezzanotte del vuoto… Lei era lì dentro. Vi era rinchiusa. Vi era sepolta. Stringeva il buio fra i denti, lo inspirava nei polmoni. Le sue ossa erano scolpite nella notte. I suoi occhi non contenevano luce. Avrebbe potuto trovarsi oltre il limite dell’universo, in un luogo in cui la luce ancora non era stata concepita.

— Questo buio — sussurrò al Mago perduto nella sua cecità personale, alle vaghe ombre umane, meno concrete di un ricordo, che tenevano lo sguardo inchiodato su di lei. — Questo buio… — Un verso di un’antica poesia le passò per la mente. «E buio su buio è buio…». È freddo, questo buio. Troppo ristretto, anche. Il buio è… una pelle che deve essere scartata…