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— Mio Dio — disse il Mago con voce malferma. — Quella creatura è programmata come un… come un…

“Come un cosa?” gridò Jase silenziosamente.

Le onde liberavano il cilindro. La superficie nebulosa era suddivisa in uno spettro di colori. Le onde la ricoprivano, si ritraevano lungo le linee vitree, portando via lentamente, accuratamente, ogni granello di sabbia.

Il sole, visto attraverso una cortina d’acqua…

— Il sole — disse piano Terra. — Il sole rosso…

— Il sole è un rivelatore direzionale — disse a sorpresa il Mago. — Un punto di riferimento. Questo spiegherebbe tutti gli atlanti stellari che ha inghiottito. Il bisogno…

— Il bisogno è l’eternità — disse semplicemente Terra.

— Il sole rappresenta la casa. La famiglia. Il bisogno è più profondo dell’intelligenza. Il sole, anche fioco e morente, è… — Sembrò che per una volta gli mancassero le parole. — È un simbolo. Molto tempo fa dev’essere stato più di un simbolo. La stella giovane dev’essere stata la fonte di calore, il processo medesimo. Ma la stella è invecchiata; l’imperativo di trasformazione si è evoluto secondo uno schema differente. Anche così, il ricordo evolutivo persiste. L’istinto è indirizzato a quel sole.

Jase inspirò, espirò in silenzio. Quando avrebbe rivisto il sole giallo, si disse, gli sarebbe sembrato per un istante completamente estraneo.

— Si muove — disse Terra. — Le ali si muovono.

Le ali si alzarono verso il vapore, cose d’aria e di luce, quasi invisibili. Molto lentamente si ripiegarono, serrate contro il corpo, poi si spiegarono e si distesero, lunghe e splendenti, su gran parte della spiaggia. Si piegarono ancora, si aprirono gentilmente, quasi sensualmente, nell’aria calda e umida.

— È bellissima — mormorò il Mago. — Enorme, magnifica, intelligente, e…

— Cosa? — disse Jase, anche se sapeva che il Mago non lo avrebbe udito.

— Sensibile. Fa parte del suo schema d’apprendimento. È stupita di essere in vita, è contenta del vapore, è sola, è cosciente di sé, è sgomenta del sole ma ne ha bisogno, come un bambino; è capace di amare e di essere illusa… — La sua voce si spezzò di colpo, arrochita dalla tensione e dalle sue stesse emozioni. — C’è forse un’unica cosa che non è: non è affamata. — Emise una debole risata, metà di timore reverenziale, metà d’ironia. — Si è sfamata in quel fuoco… si è rifornita ed è pronta a volare.

Jase si sentì gelare il sangue, sbalordito. Una nave, pensò confusamente. Una nave vivente? Atlanti stellari nel cervello, ali come vele solari… — Dio… — mormorò quasi con rispetto. Accanto a lui Aaron era di nuovo immobile; fissava dallo schermo stellare il bagliore rosso che era il Pianto volante, e gli ardenti mondi più lontani.

— Il bisogno è volare — disse Terra. Non vedeva niente di quello che aveva attorno; i suoi occhi erano pieni della grande creatura dalle ali delicate concepita nella sabbia di cristallo, nata da fuoco e acqua, che raccoglieva nelle sue ali la luce di un sole alieno. Una lacrima le scivolò lungo la guancia. “Ha già atteso tanto questo momento”, pensò Jase. “Finirà qui? O volerà via insieme a quella creatura, dentro quel cervello alieno, a scorrazzare per l’universo? È lei che immagina tutto e trasmette la storia al Mago? In questo caso, il racconto continuerà a lungo, perché qui non c’è niente che la spinga a tornare. Ha inventato questa creatura e fa in modo che sia reale anche per noi, e rimarrà con lei fino alla morte. È il suo solo modo di evadere dall’Anello Scuro.”

— Signore — protestò Ero. - Cosa sta succedendo?

— Limitatevi ad attendere — disse piano Jase. — Eseguite i vostri ordini.

Le ali si distesero completamente e si irrigidirono. L’enorme, unico occhio mise alla prova le proprie capacità: infrarosso, raggi X, ultravioletto, luce visibile. Un intenso calore rese liquida la sabbia, sfregiò la parete screpolata della scogliera. L’acqua si intorbidò di vapore. Le ali, all’ultimo istante, si ripiegarono, si serrarono. Ci fu una sbavatura di luce.

Silenzio…

Molto lontano nelle tenebre fra i mondi la creatura riaprì le ali, si librò nei venti solari, delicata, immensamente potente e per il momento totalmente libera.

Jase si rese conto a poco a poco dei rumori circostanti: scambio di frasi fra Averno e la flotta d’inseguimento, uno scricchiolio del sediolo di Aaron, un debole segnale sonoro che indicava l’esaurirsi del carburante. Allungò la mano verso l’intercom, interruppe il gesto, fissandosi la mano, chiedendosi per un istante di chi fosse e a cosa servisse. Che creazione meravigliosa, pensò. Ti nutre, è utile nel fare l’amore, ripara una tubazione che perde, suona la musica… Il Mago. Batté le palpebre, risvegliandosi, e incontrò lo sguardo di Aaron.

Il viso del poliziotto era bianco come ossa calcinate; gli occhi, per qualche bizzarro miscuglio di emozioni e di riflessi circostanti, avevano lo stesso colore di quelli di Terra.

Terra.

Si girarono tutt’e due. Adesso la donna riusciva di nuovo a vedere; li osservava, respirando lentamente e a fatica dalla bocca. Quando loro la guardarono, inclinò la testa all’indietro, appoggiandola alla parete della cabina, quasi fosse troppo pesante per tenerla eretta. Chiuse gli occhi, per un attimo smise di respirare. Quando li riaprì, sembrava totalmente estranea.

Jase deglutì a vuoto, immobile sul sediolo. Una donna era salita a bordo della lancia; una persona del tutto estranea ne aveva occupato il corpo. I suoi occhi, pensò. Ecco cos’è cambiato. I pensieri che aveva nella mente le avevano cambiato l’espressione degli occhi.

La donna lanciò un’occhiata circolare alla cabina, poi fissò Aaron. Aveva gli occhi velati di stanchezza, ma non li teneva più concentrati con la terribile intensità di prima su eventi privati, invisibili. Sembrava sollevata da un’enorme tensione, cosciente del luogo in cui si trovava, attenta ma non spaventata. Sembrava…

Normale, pensò Jase, con la sensazione che la pelle gli si stirasse sul viso. Dio mio, era solo rinsavita.

— È finita — disse Terra. Aveva sempre la stessa voce, fragile e stanca. Poi guardò Aaron.

Lasciò quasi cadere il fucile, nel raccoglierlo; Jase vide che le braccia le tremavano. Lei attraversò la cabina lentamente, come se si muovesse sott’acqua o contro un oscuro vento impetuoso. La testa le ondeggiava; il viso, sotto le luci della cabina, era tanto pallido da sembrare livido. Aaron pareva ammaliato dal suo sguardo: non compì nessun gesto per fermarla, nemmeno quando fu abbastanza vicina da sfiorarlo. Lei gli lasciò scivolare il fucile fra le braccia.

— Perdonami.

A Jase sembrò che la donna cadesse per un tempo lunghissimo, prima che lui riuscisse ad afferrarla. Allungò la mano verso l’intercom. Aaron, finalmente in grado di muoversi, premette per primo il pulsante. — Michelle — disse. La sua voce diventò rauca, insistente, continuò a inviare quel nome nel vuoto come il battito del cuore. — Michelle. Michelle. Michelle…

8

Il ritorno su Averno fu, pensò Jase, il viaggio spaziale più tranquillo di tutta la sua vita. Il Mago aveva invertito la rotta senza una parola; il Pianto volante, circondato dalla flotta d’inseguimento, seguì lentamente la lancia in un silenzio da funerale. Aaron smise di tentare di parlare con Michelle. Comunicò con Scalo Uno a monosillabi; si rivolse a Jase una volta sola.

— Adesso cosa farete…

— Dopo — rispose concisamente Jase, e Aaron lasciò perdere.

Si spostarono a fianco dello scalo principale per guardare il Pianto volante che entrava di nuovo in Averno. Le parole d’ordine suonate dal Mago si diffusero sulla FA piene di delicata e misteriosa bellezza. Lo scalo principale si spalancò, inghiottì il Pianto volante. La flotta d’inseguimento ritornò alla Luna, e Aaron riportò con manovra impeccabile la lancia nel molo del Mozzo.