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Il Mago abbassò lo sguardo sui tasti. Le sue spalle sobbalzarono leggermente come sotto un tocco gelido. Aaron capì all’improvviso che il Mago non l’aveva nemmeno sentito entrare.

Si sentì la gola chiusa, dolorante, ma si sforzò di parlare. — Magico Capo.

Il Mago si alzò. Tenne la mano sospesa sulla tastiera, la sfiorò appena, senza trarne alcun suono. Poi la ricoprì con cura, lanciò un’occhiata circolare alla spaziomobile, e infine guardò Aaron.

— Riportamelo tu a casa, ti spiace?

Aaron, abbandonato contro la paratia, rimase di nuovo in silenzio. — Mi spiace — mormorò. — Mi spiace.

Il Mago esaminò l’amico, o la situazione, spassionatamente. — Non venderlo, per il momento. — Teneva gli occhi sbarrati, come se avesse ancora visioni; il viso era pallidissimo.

— Non c’è nessuna possibilità che Klyos ti lasci andare. Ci sono io come testimone. C’è il giornale di bordo della lancia… anche la flotta d’inseguimento era in contatto, alla fine… — Il Mago scosse leggermente la testa e Aaron si interruppe.

— Ancora non posso pensarci — disse in tono lamentoso. — Quando lei… quando Terra è morta…

— Hai condiviso le sue sensazioni? — mormorò Aaron.

— Non ero mai morto prima.

— La maggior parte della gente non sa cosa vuol dire… Muore prima di… — Ci rinunciò con un gesto di stizza. — Klyos…

— Non potrebbe mai presentarsi in tribunale a parlare di un alieno su un altro pianeta, e continuare a essere direttore di Averno.

— Io lo costringerò. Lo assillerò. Stiamo parlando di verità, di giustizia, di legalità…

— Stiamo parlando di un alieno — disse pazientemente il Mago — e in qualsiasi modo ne parliamo sembrerà sempre che ci comportiamo esattamente come Terra: questo era nella visione; questo nella visione non c’era; la visione è finita.

— Lo sospetti soltanto? — chiese Aaron avventatamente. — O hai già visto che accadrà?

Il Mago lo guardò in silenzio. — Sto facendo un’ipotesi fondata — disse stancamente. — Sono troppo sfinito per avere ancora visioni. Gli altri quattro probabilmente non hanno nulla da temere. M’importa solo questo, per il momento. È me che vogliono. — Lanciò un’occhiata al portello, sentendo un rumore di passi. Aaron non si mosse, rifiutandosi ancora per un istante di concedere ad Averno tutto il passato del Mago.

— No.

Un guizzo attraversò l’insolita tenebra che velava gli occhi del Mago. Il musicista toccò leggermente Aaron. Sembrò di nuovo quasi umano. — Hai parlato con Michelle?

— No. — Aaron guardò con rabbia il pavimento, avvertendo la sorpresa del Mago. — Anch’io sono spaventato — ammise schiettamente. Le guardie rientrarono nella spaziomobile. Fecero un cenno silenzioso, perentorio. — Dove lo portate? — chiese Aaron, guardando l’amico scendere la rampa. Il Mago ammiccò un pochino, a metà strada, come se fosse uscito bruscamente alla luce.

— Sicurezza AC, livello B.

— Sono lì anche gli altri?

— Sono tornati agli alloggi per gli ospiti — disse la guardia da sopra la spalla. — Sotto sorveglianza.

Aaron si soffermò vicino al portello finché il Mago, affiancato da sei guardie, ebbe attraversato il molo e fu scomparso. Senza guardarsi indietro. Sentì un bizzarro senso di vuoto spalancarsi alle sue spalle; il Pianto volante, spogliato di ogni magia e musica, era solo un’altra vecchia spaziomobile piuttosto sciupata. Un bisogno irresistibile lo spinse a muoversi.

Quando si fermò davanti agli alloggi degli ospiti, sentì sul viso un leggero velo di sudore freddo. Le guardie, riconoscendolo dall’uniforme di settore, aprirono la serratura della porta. Quasar passeggiava avanti e indietro aspirando fumo, il Professore se ne stava accartocciato tristemente su una sedia, Nebraska traeva con le labbra un sommesso lamento malinconico da un piccolo strumento rettangolare. Michelle, raggomitolata in un angolo del divano, sollevò la testa, scostandosi i lunghi capelli dagli occhi.

Aaron sentì che tutte le parole gli svanivano dalla mente. Incontrò gli occhi di lei, incapace di reagire, di muoversi, di parlare. Non riusciva a scorgere l’espressione che lei aveva sul viso; la vista gli si era leggermente annebbiata.

— Ti ho cercata… ti ho cercata per sette anni — disse infine, con l’impressione che fosse un altro a parlare. — Non so perché sia così spaventoso superare questi ultimi due metri. C’è una cosa che devo assolutamente dire. L’ultima cosa che Terra… che Terra disse a me. — Udì debolmente la sua voce, in lontananza, una domanda. — Perdonami.

Allora riuscì a camminare alla cieca verso di lei, sperando che fosse lì a incontrarlo, dove il passato terminava e iniziava il futuro.

Jase era seduto in ufficio e guardava corrucciato le parole sullo schermo.

Complotto…

Assalto…

Distruzione…

Fallimento…

Morte…

Tutte appropriate. Tutte vere. Eppure in un certo senso tutte imprecise.

Nils lavorava in silenzio alla propria scrivania, occupandosi dei rapporti, sforzandosi di inviare le spaziomobili a disposizione dov’erano indispensabili finché perdurava il blocco dello scalo principale. Sembrava dimentico di tutto; però, quando Jase cancellò tutto ricominciando da capo per la quarta volta in un’ora, commentò: — In genere non vi ci vuole tanto tempo per fare un rapporto. Di solito li fate di getto, a voce.

— Sono stanco — disse aspro Jase. Nils sollevò la testa, mantenendo un’espressione accuratamente neutra.

— Limitatevi a riferire — suggerì. — A raccontare cos’è successo. Avete prove sufficienti a far rinchiudere il Mago per buona parte della sua vita.

— Lo so.

— È vero.

— Lo so.

— Aaron Fisher…

— Aaron — ripeté piano Jase. Nils inspirò una o due volte, per calmare la confusione o, pensò Jase, la collera provocata da un comportamento non proprio ineccepibile, che tradiva una sorprendente debolezza. “Lui sa”, pensò Jase. “Odia saperlo, ma lo sa. Che il linguaggio che mi serve per questo rapporto non compare da nessuna parte.”

— Aaron Fisher è stato al vostro fianco per tutto il tempo. Farà il suo rapporto; confermerà il vostro. È tutto chiaro, dall’inizio alla fine.

Jase si appoggiò allo schienale, accorgendosi che cominciava ad andare in bestia. — Maledizione, Nils, l’unica cosa chiara in questa faccenda è che se dico la verità perdo il posto.

Nils lo fissò. Diventò tutto rosso. — No — disse. — Non potete dirmi questo. Non potete nemmeno insinuarlo. Che questa… faccenda della visione… che Terra era… non era…

— Io potrei anche non dire niente — disse Jase, fissandolo negli occhi. — Ma ho idea che Aaron dirà tutto.

Nils si alzò a mezzo, si lasciò ricadere sulla sedia. Jase guardò la furia del suo vice calmarsi lentamente. Alzò le mani sulla tastiera, sfiorò i tasti, poi le lasciò ricadere. Si chinò in avanti, prendendosi il viso fra le mani. Quando Jase riuscì a guardarlo di nuovo in viso, sembrava intontito.

— Merda.

— Proprio così — concordò Jase.

— Non ne voglio sapere niente.

— Me l’hai detto tu di limitarmi a raccontare cos’è successo.

— Non può essere vero.

— D’accordo. — Si strinse nelle spalle. — Metterò il Mago nell’Anello Chiaro, e la faccenda sarà chiusa. Oppure dirò quel che è accaduto realmente, e tu avrai il mio…

— Se lo fate — lo avvisò Nils — vi faccio saltare i denti. — Poi emise un sospiro, e il suo viso segnato mostrò tutta la tensione delle ultime ore. Diede un’occhiata allo schermo, batté due o tre ordini. Lasciò ricadere le spalle, fissò Jase.